L'autonomia della Banca d'Italia fra politica ed economia (only in Italian)

by Luigi Federico Signorini
Senior Deputy Governor of Banca d'Italia
Florence
24 November 2025

Dato il tema che gli organizzatori di questo evento hanno scelto per celebrare il centenario di Giovanni Spadolini, è naturale che il pensiero vada al 1981: l'anno in cui si insediò il primo governo Spadolini, e si realizzò il "divorzio" consensuale tra la Banca d'Italia e il Tesoro, avviando il processo con cui si sancì l'autonomia della politica monetaria nel nostro paese. Al "divorzio" dedicherò il cuore di questo intervento. Ma per arrivarci credo necessario premettere qualche considerazione sul concetto di autonomia della banca centrale, e sul modo in cui esso si è evoluto nell'ultimo mezzo secolo.

Autonomia della banca centrale

Benché la questione dell'autonomia dell'istituto di emissione si fosse posta anche in precedenza1, nel senso specifico in cui lo si intende oggi il concetto nasce negli anni Settanta del secolo scorso, sia nella teoria monetaria, sia nella pratica delle banche centrali. Questo concetto è legato alla natura puramente fiduciaria della moneta e alla necessità di stabilire presidi istituzionali sufficientemente credibili per preservare la fiducia nella sua stabilità e nella conservazione del suo valore.

La tentazione del sovrano di sfruttare il privilegio di battere moneta per finanziare la spesa pubblica attraverso un aumento della circolazione monetaria, generando inflazione, è vecchia forse quanto la circolazione monetaria stessa; né molto meno lunga deve essere la storia delle rimostranze più o meno ben argomentate avanzate contro di essa da parte di filosofi, moralisti, giuristi, e alla fine economisti. Ma nei regimi antichi, finché prevaleva la circolazione metallica, il problema si poneva in tutt'altri termini da quelli di oggi; in termini, cioè, di svilimento fisico2 e simili pratiche; né vi erano banche centrali in senso moderno, la cui autonomia dovesse essere preservata. Anche sotto il gold standard, quando le banche centrali cominciarono a svolgere un ruolo crescente nel governo della circolazione, l'ancoraggio al metallo prezioso (per quanto sempre più convenzionale, indiretto e per tanti aspetti problematico, nonché spesso interrotto da periodi di corso forzoso) restava un punto di riferimento per la teoria e la prassi monetaria3, e in questo senso faceva tra l'altro da freno alla monetizzazione del deficit. La protezione dell'indipendenza degli istituti di emissione era funzionale al mantenimento e al buon funzionamento di un regime monetario che si fondava concettualmente su un ancoraggio esterno4.

Il gold standard crollò nella prima metà del Novecento sotto i colpi di due guerre mondiali e della Grande depressione - oltre che della sua crescente inadeguatezza rispetto alle esigenze di un'economia sempre più complessa e dinamica. Per circa un quarto di secolo, dopo la fine della seconda guerra mondiale, lo sostituì uno standard imperniato sul dollaro degli Stati Uniti, unico paese ancora impegnato a onorare la parità aurea. Nel 1971, con la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro, viene meno il sistema di Bretton Woods e con esso l'ultimo legame, anche indiretto, tra la moneta in circolazione e un valore intrinseco sottostante.

La rottura del sistema si manifesta nel contesto di squilibri macroeconomici protratti del paese emittente la valuta che ne era l'ancora, gli Stati Uniti appunto: disavanzi commerciali, deficit pubblico, inflazione strisciante. In parte essa può ricondursi a una debolezza tecnica insita nello stesso sistema (nota come "paradosso" o "dilemma" di Triffin), probabilmente destinata a manifestarsi comunque prima o poi. Ma in parte maggiore essa riflette il fatto che gli eventi avevano messo in discussione uno degli elementi del paradigma della politica macroeconomica allora prevalente in America come altrove: in particolare la fiducia, che si rivelerà mal riposta, nella possibilità di usare sistematicamente una politica monetaria espansiva per stimolare la produzione e accrescere l'occupazione, sostenendo la domanda aggregata, senza mettere in discussione la stabilità monetaria5. Solo due anni dopo, la prima crisi petrolifera innesca nei paesi avanzati la fiammata inflazionistica più violenta dalla guerra; un secondo shock seguirà a pochi anni di distanza.

La necessità di comprendere come si preserva la stabilità della moneta una volta reciso qualsiasi legame con un'attività reale sottostante, di una moneta cioè basata esclusivamente sul 'fiat' del sovrano, non è più solo un affascinante oggetto di indagine teorica: diventa una questione pratica pressante. È in questo contesto che matura il concetto di autonomia della banca centrale nel significato che le si dà oggi6.

Sul piano teorico, una serie di contributi, tra cui fondamentali quelli di Kydland e Prescott (1977) e Barro e Gordon (1983)7, formalizzano il problema dell'"incoerenza temporale". Il concetto, in sintesi, è questo. Un'espansione monetaria può creare uno stimolo temporaneo per l'economia, purché gli agenti economici (produttori, consumatori) non si aspettino che ne consegua un aumento dell'inflazione. Lo stimolo però sarà di breve durata perché, se non mutano le determinanti fondamentali dell'economia, l'equilibrio reale di lungo periodo non muta; alla lunga, l'unico effetto dell'espansione monetaria sarà proprio accelerare l'inflazione. Via via che gli operatori dell'economia comprendono questo meccanismo, l'efficacia dell'espansione monetaria sul livello dell'attività sarà sempre minore; quello sull'inflazione, attraverso le percezioni e aspettative degli operatori, sempre più rapido. Questo fenomeno, unito agli shock esogeni di quegli anni, è posto all'origine dalla "stagflazione" degli anni Settanta - un termine inventato proprio allora, per definire una situazione che gli strumenti interpretativi del paradigma keynesiano sono impotenti a comprendere.

Che fare dunque? Poiché l'arma dello stimolo monetario è (quasi) spuntata, meglio adottare - si conclude - una politica monetaria prudente, tesa specificamente all'obiettivo di ancorare l'inflazione. Il problema dell'incoerenza temporale spunta però proprio qui. Una volta che le aspettative di inflazione sono ancorate, la politica monetaria riacquista la possibilità di stimolare temporaneamente l'attività economica, "sorprendendo" gli operatori. L'ancoraggio delle aspettative è ottimale ex ante, ma crea l'incentivo per un'inversione di politica ex post. La tentazione è più forte se la politica monetaria è sotto il controllo di un governo che ha di fronte la prospettiva di elezioni a breve termine. Questo gioco non può reggere alla lunga senza determinare un bias inflazionistico. L'unico modo per rompere il circolo vizioso è sottrarre la politica monetaria al diretto controllo governativo e affidarla a un'autorità indipendente e "conservatrice" 8, investita di un chiaro mandato con al centro la stabilità dei prezzi, limitandone la discrezionalità9 e rafforzando incentivi di tipo reputazionale.

L'idea, ovviamente, non è che i banchieri centrali siano "migliori" dei politici; neanche, a rigore, più lungimiranti in un senso generale; ma solo che essi dovrebbero avere un mandato, un insieme di regole, un sistema di incentivi e un apparato di guarentigie costruiti in modo tale da rafforzarne la credibilità e mitigare il rischio di incoerenza temporale rispetto a un obiettivo specifico, tecnicamente definito. Da qui discende l'architettura che tende ad affermarsi nei decenni successivi: stabilità dei prezzi come obiettivo primario della politica monetaria10; indipendenza, specie sugli strumenti; lunga durata dei mandati; protezione rispetto a rimozioni arbitrarie. Il tutto accompagnato da quei principi di trasparenza dell'azione della banca centrale verso il pubblico che sono indispensabili, in una società aperta e democratica, per evitarne l'autoreferenzialità11.

Più avanti si affermerà la prassi dell'inflation targeting: un obiettivo numerico, un ruolo centrale delle previsioni e una elevata trasparenza costituiscono una triade che ha dato buona prova in termini di stabilizzazione macroeconomica. Più avanti ancora, in Europa, il trattato di Maastricht segnerà la "costituzionalizzazione" del principio dell'indipendenza della politica monetaria: separazione tra potere di spesa e creazione di moneta, divieto di finanziamento monetario, definizione della stabilità dei prezzi come obiettivo primario, autonomia istituzionale dell'Eurosistema.

L'introduzione del nuovo assetto è sorretta dalla letteratura empirica, che fa vedere come nei paesi avanzati l'indipendenza della banca centrale si associa, nel lungo periodo, a un'inflazione più bassa e a una crescita non minore.

Ma torniamo all'epoca che ci interessa. Siamo verso la fine degli anni Settanta. All'evoluzione della teoria si accompagna un deciso cambio di rotta della prassi monetaria, in particolare negli Stati Uniti. Con l'arrivo di Paul Volcker nel 1979, la Fed adotta una politica fortemente restrittiva, pur tra vivaci critiche; a prezzo di una temporanea ma pesante recessione, il tasso d'inflazione viene abbattuto, nell'arco di alcuni anni, da quasi il 15 al 3 per cento. La Bundesbank segue un percorso analogo.

E l'Italia? Nel 1979 la crescita dei prezzi nel nostro paese è simile a quella americana; supererà il 20 per cento nell'anno successivo. Da noi l'inflazione è particolarmente ostinata. Alla sua persistenza contribuiscono un deficit pubblico elevato, un sistema di relazioni industriali dominato da automatismi salariali e basato su una contrattazione centralizzata priva di una "politica dei redditi", e infine - ed è questo che qui ci interessa di più - il fatto che la politica monetaria era vincolata dall'impegno della Banca d'Italia a fungere da acquirente residuale dei titoli di Stato che non trovano esito sul mercato12. Pur con gli interventi di "sterilizzazione" che la Banca d'Italia realizza, nei limiti del possibile, per neutralizzare la creazione di base monetaria tramite il canale del Tesoro, questa situazione configura di fatto una situazione di fiscal dominance13, che vincola l'autonomia della banca centrale e ostacola l'uso della politica monetaria in funzione antinflazionistica.

Al vertice della Banca d'Italia, dopo le drammatiche ingiustizie di cui fu vittima il governatore Baffi, arriva nell'ottobre del 1979 Carlo Azeglio Ciampi. Un anno dopo diventa ministro del Tesoro Beniamino Andreatta, che assume la carica nel governo Forlani e la conserverà nel primo governo Spadolini.

Il divorzio

"Caro Governatore, ho da tempo maturato l'opinione che molti problemi di gestione della politica monetaria siano resi più acuti da un'insufficiente autonomia della condotta della Banca d'Italia nei confronti delle esigenze di finanziamento del Tesoro"14. Così si apre la lettera del 12 febbraio 1981 con cui Andreatta avvia, in sintonia con Ciampi, quello che è passato alla storia come il divorzio tra Tesoro e Banca d'Italia, un insieme di modifiche attraverso cui l'autonomia della Banca ottiene un pieno riconoscimento15.

La lettera si chiudeva con la richiesta di Andreatta di "conoscere, su queste proposte, il pensiero della Banca d'Italia, sempre in un quadro di rapporti di collaborazione stretti e proficui". Ciampi inviò la propria risposta il 6 marzo successivo, dichiarandosi d'accordo col ministro16: "Perché la politica monetaria non subisca vincoli imposti dalla dimensione e dall'andamento nel tempo del disavanzo statale è necessario che il finanziamento al Tesoro della Banca d'Italia possa essere da questa regolato in piena autonomia al fine di raggiungere gli obiettivi di controllo monetario".

Ciampi espresse anche in pubblico la stessa convinzione, pochi giorni dopo la lettera di Andreatta (il 18 febbraio)17: "Nel nostro paese l'ampia possibilità del Tesoro di accedere al finanziamento dell'Istituto di emissione accresce ulteriormente il rischio che il controllo degli aggregati monetari perda d'efficacia nel breve periodo. Gli squilibri tra spese e entrate pubbliche influenzano la creazione di base monetaria perché la Banca d'Italia sottoscrive a fermo titoli di Stato o acquista residualmente la parte non collocata presso il pubblico. Sarebbe opportuno che anche in Italia si addivenisse per gradi alla rimozione degli elementi di automatismo presenti nel finanziamento del Tesoro da parte della banca centrale attraverso l'acquisto di titoli".

La decisione di procedere al "divorzio", scrive Maria Teresa Salvemini, fu presa in una specie di "interregno governativo" tra il governo Forlani, caduto nel maggio, e quello Spadolini, insediatosi a fine giugno. Si realizzò concretamente a luglio18.

Spadolini ne rivendica la paternità operativa e di governo, riferendosi al divorzio come alle "misure predisposte nel luglio 1981 dal governo da me guidato, con l'apporto dell'allora ministro del Tesoro Andreatta". Ricorda, nel suo discorso per il centenario della Banca d'Italia nel 199319, le tappe di questa separazione consensuale, che incluse anche la limitazione dello scoperto a cui il Tesoro poteva accedere automaticamente sul conto corrente presso la Banca d'Italia fino al 14 per cento delle spese iscritte in bilancio, e il potere formale di modificare il tasso di sconto20.

Il governo Spadolini fu dunque il primo a doversi confrontare con un atto (non "sedizioso",21 ma consensuale) che scosse dalle fondamenta un sistema nel quale "l'accomodamento delle esigenze finanziarie del Tesoro vanificava ogni aspirazione a una politica monetaria indipendente"22. Esso rappresentò un significativo passaggio culturale e una rivoluzione tecnica. Non fu "un apprendimento facile, quello del Tesoro"23: si dovettero modificare i meccanismi d'asta24; imparare i principi di gestione del debito pubblico e le modalità di valutazione del fabbisogno da finanziare; decidere l'ammontare dei titoli da offrire insieme alla loro composizione per scadenze.

Non si verificò la necessaria rivoluzione gemella, che avrebbe dovuto modificare procedure e prassi della politica di bilancio indirizzandola verso una maggior disciplina25. Dopo dieci anni dal divorzio il fabbisogno annuo del settore statale era ancora tra il 10 e l'11 per cento del PIL. Il disavanzo primario rimase su livelli elevati per tutti gli anni Ottanta (in media il 3,2 per cento del prodotto), contribuendo in misura significativa all'innalzamento dell'incidenza del debito sul PIL, che superò il 60 per cento nel 1982 e il 120 per cento nel 199426.

Qualche nodo cominciò a venire al pettine subito, durante lo stesso governo Spadolini, che si trovò a fare da apripista in un contesto tutto nuovo. Anche se egli si impegnò direttamente nell'impostazione della legge finanziaria per il 1982, nella definizione della manovra di bilancio "i contenuti risentirono, prima, dei contrasti che emersero all'interno del governo e fra gli stessi titolari dei Ministeri economici, poi, delle modifiche, prevalentemente in direzione di un minor rigore, apportate nel corso della discussione parlamentare"27. Lo stesso Ciampi, nelle Considerazioni Finali lette nel maggio del 1982, disse che alla consapevolezza delle criticità non corrispondevano azioni efficaci28. Il suo monito era rivolto a tutte le parti politiche, ma Spadolini se ne risentì e per anni, seppur con cordialità, ricordò quella vicenda29.

Il nuovo assetto del rapporto Tesoro-Banca d'Italia fu messo alla prova nell'autunno del 1982. In ottobre le condizioni macroeconomiche, tra cui un accenno di ripresa dell'inflazione, suggerivano di aumentare il tasso di interesse a cui venivano offerti i titoli pubblici sul mercato. Ma il Tesoro non volle modificare il tasso base, con il risultato che l'asta mensile "registrò un insuccesso"30. A livello politico, questo evento provocò un acuirsi del dibattito sulla gestione del debito, fino alla contesa tra i ministri del Tesoro e delle Finanze che condusse alla crisi del secondo governo Spadolini31.

L'insuccesso nel collocamento dei titoli pubblici portò all'esaurimento del margine di credito disponibile sul conto corrente di tesoreria. Il 10 novembre Ciampi scrisse ad Andreatta, ministro del Tesoro, per fargli presente "ai fini dei conseguenti necessari interventi, la situazione di crescente, prolungato superamento del limite massimo di debito consentito dalla legge"32. La situazione di sbilancio, infatti, poteva durare fino a venti giorni, trascorsi i quali la Banca d'Italia, per legge, avrebbe dovuto sospendere i pagamenti a valere sul conto del Tesoro.

Il governo Spadolini cadde nello stesso mese. Non furono prese contromisure e la situazione del conto di Tesoreria si aggravò ulteriormente. Si rese necessaria la richiesta di un'anticipazione straordinaria alla Banca d'Italia.

Il 23 dicembre 1982, in una lettera al nuovo ministro del Tesoro, Giovanni Goria, Ciampi presentò una dettagliata ricostruzione storica delle norme che regolavano il regime di anticipazioni ordinarie e straordinarie della Banca al Tesoro. Essa implicava che l'anticipazione straordinaria non si potesse disporre con un decreto-legge e che fosse necessaria una decisione del Parlamento33.

Si giunse così alla legge che autorizzò la Banca d'Italia a concedere al Tesoro un'anticipazione straordinaria di 8.000 miliardi di lire per il periodo di un anno, al tasso dell'1 per cento34. La legge fu approvata dal Senato il 24 gennaio 1983, ultimo giorno utile (il ventesimo consecutivo di sbilancio del conto di tesoreria) per scongiurare la sospensione dei pagamenti dello Stato. Era un lunedì. In un documento di storia orale, Ciampi racconta che il Senato si sarebbe dovuto riunire il martedì 25 gennaio per votare35. Fu lui stesso a convincere l'allora Presidente del Senato, Tommaso Morlino, ad anticipare la seduta al 24 perché il giorno successivo sarebbe stato troppo tardi: "mi dispiace io la mattina del martedì sospendo i pagamenti, la legge è chiara".

Queste vicende iniziali non fermarono il percorso verso l'autonomia della banca centrale, che vide il governo di Giovanni Spadolini agire da pioniere. Nonostante le difficoltà, Spadolini tenne la barra dritta, convinto che solo una banca centrale autonoma potesse concorrere efficacemente al perseguimento di stabilità e sviluppo attraverso la lotta all'inflazione. Nelle sue dichiarazioni programmatiche del luglio 198136, Spadolini aveva chiamato l'inflazione "la più grave minaccia all'avvenire della nostra società come società industrializzata e avanzata".

Il tasso di inflazione, che aveva toccato il 21 per cento nel 1980, scese sotto il 10 per cento nel 1986, poi si aggirò intorno al 5-6 per cento a cavallo fra i due decenni. Il calo proseguì negli anni Novanta. Nel 1999, alla vigilia dell'adozione dell'euro, l'inflazione italiana si era ridotta al di sotto il 2 per cento.

Spadolini e la Banca d'Italia

Data l'occasione, questa conversazione non può chiudersi senza un cenno alla relazione speciale che Giovanni Spadolini ebbe con la Banca d'Italia, segnatamente con Paolo Baffi e Carlo Azeglio Ciampi.

Al primo, ormai ex-governatore, Spadolini chiese di svolgere il ruolo di consulente esterno del suo governo per le questioni economiche e monetarie. Quasi due anni dopo gli propose di candidarsi alle elezioni per il Parlamento europeo37.

Con Ciampi, Spadolini interagì principalmente nella forma del dialogo tra governatore e capo del governo38. Nel giugno del 1981, alla vigilia dell'insediamento del suo governo, Ciampi gli espose in un colloquio la propria ricetta per la riconquista della stabilità monetaria. La ricetta era stata presentata due settimane prima nelle Considerazioni Finali39.

"Il ritorno a una moneta stabile", scrisse allora Ciampi, "richiede un vero cambiamento di costituzione monetaria, che coinvolge la funzione della banca centrale, le procedure per le decisioni di spesa pubblica e quelle per la distribuzione del reddito". Nella visione del governatore, essa si fondava su tre pilastri: autonomia della banca centrale; nuove regole e vincoli per la spesa pubblica; un codice di contrattazione collettiva che facesse sempre minore affidamento su automatismi.

Spadolini fece sue queste riflessioni. Quando presentò al Senato le dichiarazioni programmatiche del governo,40 sottolineò la "necessità assolutamente prioritaria della lotta all'inflazione, anzi di un vero e proprio patto anti-inflazione"; esortò alla ricerca di un "dialogo non occasionale tra le parti sociali"41; indicò nel freno alla spesa pubblica e al costo del lavoro un momento centrale della lotta all'inflazione. Non parlò dell'autonomia della Banca d'Italia ma, scrisse Ciampi, "[n]on fu, ritengo, un'omissione. Spadolini era convinto sostenitore dell'autonomia della banca centrale; ma il modo migliore per salvaguardarla ed accrescerla, era di operare, più che di parlarne" 42.

Nel 1993 Spadolini partecipò alle celebrazioni del centenario della Banca con un magistrale discorso in cui ripercorse la storia dell'Istituto. Nel titolo, "La Banca d'Italia: autobiografia della Nazione" 43, era condensata l'idea centrale dell'intervento: quella per cui "la parabola della Banca d'Italia rifletta la vita stessa della Stato unitario"44.

Spadolini tracciò questa parabola a partire dagli istituti di emissione operanti all'indomani dell'unificazione del Paese. Si soffermò sulla "tragedia" della Banca Romana45, sconcertante intreccio fra la politica e il mondo economico nell'Italia di fine dell'Ottocento "desolata e infantile". Ma vi fu una reazione, scrisse, e fu la dimostrazione che "la forza del regime democratico parlamentare non consista nel fatto che in esso non esistono i disonesti: questo è impossibile […]. Più semplicemente, in una democrazia, i disonesti vengono scoperti e colpiti".

Parlò di "destino nazionale" nel ricordare che "i grandi istituti" dell'Italia moderna si sono affermati solo "sotto l'incalzare di sequenze drammatiche e tormentate". E l'istituzione della Banca d'Italia non fu un'eccezione: "arrivò con grandissimo ritardo" rispetto a quanto sarebbe stato necessario.

Sottolineò come la Banca nel dopoguerra fu in grado di reinserirsi nel Paese anche grazie alle professionalità rimaste integre "[…] e allo spirito sacerdotale di servizio che era riuscito a sopravvivere nel palazzo di Via Nazionale alle stesse regole della dittatura fascista". Definì la Banca d'Italia "cemento e il simbolo della nostra unità".

La Costituzione repubblicana non cita espressamente la banca centrale, scrisse Spadolini. Ma le competenze dell'Istituto di Via Nazionale sono rinvenibili nella "costituzione economica che sottintende alla costituzione formale" attribuendo alla Banca d'Italia peculiari poteri e rendendola "un pilastro senza il quale il governo dell'economia risulterebbe mutilato, incompleto, per molti versi inefficace".

Conclusioni

Come Spadolini sapeva perfettamente, e lo dimostrò in concreto nella propria azione di governo, la tutela con cui molti ordinamenti proteggono l'autonomia della banca centrale non è, o almeno non è solo, questione di garantire la necessaria libertà di manovra a persone dotate di una specifica competenza tecnica. Questa esigenza vale in molti campi; la moneta qui non ha nulla di speciale. Quello che essa ha di speciale, specie da quando il valore del segno monetario si fonda solo sulla fiducia di chi lo usa nelle transazioni, è che l'autonomia è mezzo necessario per ottenere un fine preciso: assicurare il mantenimento di quella fiducia, consentire alla moneta di svolgere la propria funzione centrale in un'economia basata sugli scambi.

L'autonomia richiede di essere stabilita con norme robuste e confermata da prassi coerenti. La tentazione di superarla, asservendo la funzione monetaria a esigenze eterogenee, è sempre presente; ma comporta rischi sia a breve sia a lungo termine, di cui è bene essere consapevoli.

D'altro canto, essa carica di una grande responsabilità i banchieri centrali, che sono chiamati a esercitarla con prudenza e giudizio; consci della propria fallibilità; pronti a reagire al mutare delle situazioni e all'evolversi dei delicati meccanismi del mondo monetario e finanziario, e a render conto con trasparenza delle proprie azioni.

Spadolini l'avrebbe chiamata virtù civica: "Non c'è repubblica - scrisse - senza virtù"46. Noi la chiamiamo, senza enfasi, competenza e spirito di servizio. E forse un po' d'orgoglio; ma anche, con una parola che non si riesce a tradurre efficacemente in italiano, accountability.


Note

  1. * Ringrazio F. Barbiellini Amidei, G. Ferrero e M. Gomellini per l'aiuto che mi hanno fornito nel preparare questa relazione.
  2. 1 Si veda, per una breve disamina, S. Nicoletti Altimari, Indipendenza della Banca Centrale e Stato di diritto. Roma, Banca d'Italia. Un famoso, precoce contributo teorico e propositivo in tema di autonomia del governo della circolazione è quello del 1824 di David Ricardo.
  3. 2 Riduzione della quota di metallo prezioso contenuta in una moneta caratterizzata da un determinato valore nominale.
  4. 3 L'Italia, per esempio, fu di fatto in regime di corso forzoso per oltre trent'anni dei 53 che separano l'Unità dallo scoppio della Prima guerra mondiale; eppure, quando la convertibilità fu ripristinata nel 1902 (dopo un tentativo abortito), la parità aurea era rimasta quella fissata nel 1866.
  5. 4 Si aggiunga che allora molti istituti di emissione erano banche private, per quanto caratterizzate da speciali obblighi e privilegi, e per i banchieri centrali la battaglia per l'autonomia si combatteva a volte su due fronti, nei confronti del governo e nei confronti degli azionisti. In proposito, e con riferimento alla Banca d'Italia, si vedano le considerazioni sulla posizione di Bonaldo Stringher, direttore generale della Banca d'Italia dai primi del Novecento, contenute nella nostra presentazione della Storia della Banca d'Italia di Gianni Toniolo (Genova, 23 ottobre 2023).
  6. 5 In questa visione, tra l'altro, l'ancoraggio aureo non ha più una chiara funzione da svolgere, e anche per questo motivo difficilmente avrebbe potuto sopravvivere.
  7. 6 Quella che segue è per forza di cose una discussione molto schematica, e non ogni economista sarà d'accordo su ogni dettaglio. Ma confido che nel complesso essa dia un'idea dei ragionamenti che sono alla radice della centralità che oggi si attribuisce all'autonomia dell'istituto di emissione.
  8. 7 F.E. Kydland e E.C. Prescott, Rules rather than Discretion: The Inconsistency of Optimal Plans, Journal of Political Economy, Vol. 85, No. 3, 1977; R.J. Barro e D.B. Gordon, Rules Discretion and Reputation in a Model on Monetary Policy, Journal of Monetary Economics, Vol. 12, No. 1, 1983.
  9. 8 Kenneth Rogoff (1985), The Optimal Degree of Commitment to an Intermediate Monetary Target, Quarterly Journal of Economics, Vol. 100, No. 4, pp. 1169-1189.
  10. 9 Un elemento importante della riflessione teorica di allora, a partire dal paper di Kydland e Prescott, è l'enfasi sul limitare la discrezionalità dell'azione della banca centrale, in particolare attraverso regole predeterminate di crescita degli aggregati monetari. Questa posizione non mancò di influenzare l'azione della Fed di Volcker. Benché allora essa abbia aiutato a conseguire l'obiettivo di una radicale disinflazione, oggi l'insistenza di allora sulla predeterminazione della crescita degli aggregati monetari come regola generale pare un'idea troppo rigida. Ma chi scrive ha già avuto occasione di esprimere l'opinione (Presentazione della "Storia monetaria degli Stati Uniti, 1867-1960" di M. Friedman e A. Schwartz, Roma, 17 ottobre 2022) che gli aggregati monetari, usati con giudizio, conservano un valore informativo; e che passare da un'attenzione esclusiva se non ossessiva per gli stessi a una sostanziale disattenzione possa essere una scelta altrettanto estrema.
  11. 10 Come è noto la Federal Reserve americana conserva un doppio obiettivo, stabilità dei prezzi e occupazione.
  12. 11 S. Nicoletti Altimari, op. cit.
  13. 12 La prassi era stata introdotta nel 1975 in occasione della riforma del mercato dei Bot. Cfr. M. Draghi, 2011, L'autonomia della politica monetaria. Una riflessione a trent'anni dalla lettera del Ministro Andreatta al Governatore Ciampi che avviò il "divorzio" tra il Ministero del Tesoro e la Banca d'Italia, Intervento al convegno su "L'autonomia della politica monetaria" organizzato dall'AREL presso l'Associazione Bancaria Italiana, Roma, Palazzo Altieri, 15 febbraio 2011.
  14. 13 O così pare a chi scrive; ma le opinioni in proposito sono divise. Si veda la Presentazione della "Storia monetaria degli Stati Uniti, 1867-1960" di M. Friedman e A. Schwartz, nota 20.
  15. 14 ASBI, Banca d'Italia, Direttorio Ciampi, pratt. n. 69, fasc. n. 1.
  16. 15 La possibilità di modificare il regime esistente solo attraverso un semplice scambio di lettere fra ministro e Governatore, "senza sottoporre la questione al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio per un'approvazione formale, è consentita secondo i legali del ministero, dal fatto che la revisione delle disposizioni date alla Banca d'Italia rientra nella competenza esclusiva del ministro" (M. Draghi, op. cit., p. 4).
  17. 16 ASBI, Banca d'Italia, Direttorio Ciampi, pratt. n. 69, fasc. n. 1. In un'intervista rilasciata da Ciampi nel 2007 nell'ambito di un progetto di oral history avviato in quel periodo dalla Banca d'Italia, l'ex-Governatore rivela come l'idea dello scambio di lettere fu, in realtà, sua. Andreatta (il quale già nel 1976, in uno scambio di opinioni con i vertici della Banca d'Italia, aveva espresso il parere che occorresse "una ferma dichiarazione di indipendenza della banca centrale dal Tesoro": Draghi 2011, op. cit., p. 3) intendeva procedere per via legislativa. Ma Ciampi lo dissuase, perché in Parlamento, disse, "si sa come si entra ma non si sa come si esce […] si entra con un disegno di legge e non sappiamo quando ne usciamo e con quali modifiche. Continua Ciampi nell'intervista: "Cerchiamo di fare una cosa molto più semplice […] è bene che l'iniziativa la prenda lei (io avevo sempre questa impostazione di rispettare l'autorità politica): lei mi scrive una bella lettera in cui pone il problema e io le rispondo convenendo". ASBI (Multimediale), Banca d'Italia, Progetto Storia Orale, doc. n. 6.4.
  18. 17 Conferenza tenuta in Roma il 18 febbraio 1981 nell'ambito del ciclo promosso dall'Associazione Nazionale Aziende Ordinarie di Credito e dall'Istituto Centrale di Banche e Banchieri. L'intervento del Governatore Ciampi è pubblicato con il titolo Tra mercato e controlli: aspetti operativi della politica monetaria, in Banche e Banchieri, n. 2, anno VII, febbraio 1981, pp. 89-100.
  19. 18 Una nota ufficiale del 19 luglio, emanata congiuntamente dal Tesoro e dalla Banca d'Italia, diceva: "La maggiore autonomia della Banca d'Italia nella regolazione della liquidità dovrebbe evitare che alle spinte inflazionistiche causate dalla dimensione e dalla composizione dei disavanzi pubblici si sommino le tensioni derivanti da un eccessivo finanziamento monetario del Tesoro. [...] La graduale rimozione degli elementi di automatismo con la piena riappropriazione della base monetaria quale strumento di controllo del credito sarà in grado di favorire uno smantellamento per tappe del sistema dei vincoli amministrativi". M.T. Salvemini, L'indipendenza della Banca centrale e il 'divorzio', in A. Gigliobianco e S. Rossi, (a cura di), Andreatta economista, Il Mulino, Bologna, 2009.
  20. 19 G. Spadolini, La Banca d'Italia: autobiografia della Nazione, in Il centenario della Banca d'Italia, Libri Scheiwiller, Milano 1994.
  21. 20 "Mi riferisco al cosiddetto 'divorzio' dal Tesoro, al potere di variare i tassi ufficiali di interesse attribuito alla Banca d'Italia nel 1992 e alla legge di riforma del conto corrente di tesoreria, varata nel 1993". G. Spadolini, 1994, op. cit. In realtà, dunque, il divorzio, "raro dialogo costruttivo […] frutto di condivisione progettuale, sintonia operativa e volontà di realizzazione […] si realizzò a un ritmo conveniente", scrive C. D'Adda nel capitolo: 'Divorzio' tra Banca d'Italia e Tesoro: frutto di una preziosa intesa, in Carlo Azeglio Ciampi Governatore della Banca d'Italia, Atti del Convegno tenutosi a Roma, Centro Carlo Azeglio Ciampi per l'educazione monetaria e finanziaria, 9 luglio 2019.
  22. 21 La famosa espressione con cui Guido Carli definì nel 1974 il possibile rifiuto da parte della Banca d'Italia di finanziare il "disavanzo del settore pubblico astenendosi dall'esercitare la facoltà attribuita dalla legge di acquistare titoli di Stato". Banca d'Italia, Assemblea Generale Ordinaria dei Partecipanti - Considerazioni Finali, Roma, 31 maggio 1974, p. 32.
  23. 22 M. Draghi, Introduzione. Ritratto di un economista eclettico, in Gigliobianco e Rossi 2009, op. cit., p. 12. Cfr. anche nello stesso volume, M. Monti, Ciampi e il 'divorzio': tra Italia ed Europa.
  24. 23 Salvemini 2009, op. cit.
  25. 24 Per lo studio degli aspetti tecnici fu costituito un gruppo di lavoro misto Tesoro-Banca d'Italia con il compito di preparare la modifica del sistema creato con la riforma del 1975. Il gruppo era coordinato dalla professoressa Maria Teresa Salvemini per il Ministero del Tesoro e da Antonio Fazio per la Banca d'Italia. Fu introdotto un sistema di aste quindicinali, anziché mensili (già Ciampi 1981, op. cit., aveva scritto: "Una frequenza inframensile delle emissioni contribuirebbe a rendere più strette le connessioni tra emissione di titoli e flussi di cassa del Tesoro, che possono discostarsi anche sensibilmente da quelli previsti all'inizio del mese") e l'adozione di un asta competitiva al posto di quella marginale (in cui il tasso base, o di esclusione, veniva fissato dal Tesoro) per favorire un miglioramento delle capacità di previsione della liquidità disponibile degli intermediari e un affinamento nell'analisi di mercato al fine di proporre il proprio prezzo di domanda. Cfr. Salvemini 2009, op. cit.
  26. 25 Scrive Ciampi nelle Considerazioni Finali alla Relazione Annuale della Banca d'Italia sul 1982, p. 25: "Il triangolo in cui si iscrive il ritorno alla stabilità monetaria si chiude restituendo alla banca centrale piena autonomia nella creazione di moneta. V'è chi crede che l'esercizio di questa autonomia in senso inflessibilmente restrittivo sia condizione sufficiente per assicurare l'equilibrio e per contenere gli stessi disavanzi pubblici […] Non c'è una mano invisibile che operi un rapido e duraturo riequilibrio della dinamica salariale e del disavanzo pubblico in risposta al controllo della moneta".
  27. 26 Per l'evoluzione del rapporto debito/PIL nella storia italiana, si veda: F. Balassone, M. Francese e A. Pace, Public Debt and Economic Growth in Italy, Banca d'Italia, Quaderni di Storia Economica, n. 11, ottobre 2011. Cfr. inoltre D. Franco, S. Momigliano e N. Sartor, Lo scenario i piani e le realizzazioni, in N. Sartor, (a cura di), Il risanamento mancato, Carocci, Roma, 1998.
  28. 27 C.A. Ciampi, 1981: Emergenza economica e nuove vie per il risanamento, in Nuova Antologia, Rivista di lettere, scienze ed arti fondata da Giovanni Spadolini, anno 130°, vol. 575° - fasc. 2196, Felice Le Monnier, Firenze, ottobre-dicembre, 1995.
  29. 28 Banca d'Italia, Assemblea Generale Ordinaria dei Partecipanti - Considerazioni Finali, Roma, 31 maggio 1982.
  30. 29 Ciampi 1995, op. cit.
  31. 30 Salvemini 2009, op. cit.
  32. 31 La disputa, che vide protagonisti Beniamino Andreatta (Tesoro) e Rino Formica (Finanze), viene ricordata come "la lite delle comari".
  33. 32 ASBI, Banca d'Italia, Direttorio Ciampi, pratt., n. 173, fasc. n. 1, pp. 18-39.
  34. 33 Ivi, p. 26: "[…] il divieto per l'Istituto di emissione di concedere anticipazioni straordinarie al Tesoro [previsto dal D.lgs. 21 gennaio 1948, n. 7] ha un indubbio rilievo costituzionale dal momento che rappresenta una forma di controllo del Parlamento sull'Esecutivo in ordine alla dilatazione dell'indebitamento pubblico (in senso lato)".
  35. 34 Cfr. G. Mulone, La Banca d'Italia e la tesoreria dello Stato, Banca d'Italia - Collana Tematiche istituzionali, ottobre 2006, p. 47.
  36. 35 ASBI (Multimediale), Banca d'Italia, Progetto Storia Orale, doc. n. 6.3.
  37. 36 https://legislature.camera.it/_dati/leg08/lavori/stenografici/sed0344/sed0344.pdf
  38. 37 Scrisse Spadolini a Baffi in una lettera autografa proponendogli la candidatura: "Il primo nome che è venuto in mente sia agli amici liberali sia a me, è il tuo" ASBI, Carte Baffi - Governatore onorario, pratt. n. 41, fasc. n. 6. Come noto, nessuna delle due collaborazioni poi si concretizzò, la prima, in particolare, anche per il riaccendersi (a più di due anni dall'incriminazione e nonostante la sua "perfetta innocenza") della questione giudiziaria che toglieva ancora all'ex-Governatore, come egli scrisse, "quella tranquillità che avevo immaginato di poter ritrovare".
  39. 38 Lo ricorda lo stesso Ciampi nello scritto pubblicato su Nuova Antologia nel 1995. Ho avuto già modo di soffermarmi su queste vicende qualche anno fa nel mio intervento dal titolo: Carlo Azeglio Ciampi. Scritti nella Nuova Antologia, Sede di Firenze della Banca d'Italia, 12 marzo 2018.
  40. 39 Banca d'Italia, Assemblea Generale Ordinaria dei Partecipanti - Roma, 30 maggio 1981.
  41. 40 Le dichiarazioni si focalizzarono su quattro emergenze: morale, civile, economica e internazionale. Sulla questione morale scrisse Ciampi, 1995, op. cit.: "Fu nota distintiva dell'azione politica di Spadolini quella di aver posto la questione morale al centro della battaglia politica. Egli ne sentiva stretta la connessione con il rinnovamento istituzionale, con la riforma della pubblica amministrazione".
  42. 41 "Nel rispetto dei ruoli differenziati di governo e sindacati". Nella discussione sulle comunicazioni del governo che si tenne alla Camera dei deputati nella seduta dell'11 luglio 1981, n. 349, Spadolini aggiunse che l'obiettivo del governo era quello "della definizione, o la ricerca della definizione, di un tasso di inflazione contrattato con le parti sociali, entro cui mantenere la dinamica di tutte le variabili rilevanti […] inclusa quella impressa al costo del lavoro dalla scala mobile". Scrive Ciampi nel 1995: "Era l'enunciazione di una politica dei redditi che intendeva trasformare l'impostazione della politica salariale e inserirla in un contesto più ampio; che si proponeva, pur mantenendo la scala mobile, di contenerne gli effetti perversi, graduandone gli scatti al tasso di inflazione programmato, anziché a quello effettivo". Sulle successive vicende della scala mobile, fino alla sua soppressione dieci anni dopo, altri in questa conferenza ha maggior titolo di me a parlare.
  43. 42 Ciampi, 1995, op cit.
  44. 43 G. Spadolini, 1994, op. cit.
  45. 44 Sulla stessa linea la riflessione più recente di Gianni Toniolo: "La Banca d'Italia ha giocato un ruolo nello sviluppo dell'economia italiana maggiore di quello svolto da altre banche centrali nei rispettivi paesi. La storia della Banca d'Italia è dunque, in parte, la storia dell'intera economia italiana". G. Toniolo, Storia della Banca d'Italia. Tomo I. Formazione ed evoluzione di una banca centrale, 1893-1943, Collana Storica della Banca d'Italia, Serie Contributi e Saggi, 14, Bologna, Il Mulino, 2022.
  46. 45 Per dare soluzione a questa vicenda la Banca Romana, insolvente e travolta dagli scandali, dovette essere liquidata dalla nascente Banca d'Italia creata nel 1893 dalla fusione di tre preesistenti istituti di emissione: la Banca Nazionale nel Regno, la Banca Toscana di Credito e la Banca Nazionale Toscana. Si veda Toniolo, 2022, op. cit.
  47. 46 Carducci. Dai Giambi garibaldini al discorso di San Marino, in "Scritti garibaldini", a cura di Luigi Lotti, Biblioteca di San Marino, 1982, pp. 205-206.