Keynote Speech di Luigi Federico Signorini
La concorrenza è il motore di un'economia di mercato, il meccanismo che ne promuove l'efficienza in senso allocativo e operativo. (Tornerò tra poco a soffermarmi su questi due concetti, precisandoli, con riferimento specifico alle banche). È un meccanismo potente ma delicato, che per conservarsi ha bisogno di essere protetto, e se del caso promosso, dalle norme, dalle politiche, dall'attività amministrativa. Nell'Unione europea la tutela della concorrenza, sancita dai Trattati, è un pilastro fondamentale dell'ordinamento economico1.
In termini generali, questo principio si applica al mercato bancario come a qualsiasi altro settore dell'economia. Però l'attività delle banche è per certi aspetti speciale; e questo fatto rende necessario sottoporle a una regolamentazione e a una supervisione più penetranti rispetto ad altri settori economici. Gli elementi essenziali che definiscono i rapporti tra le banche e i loro clienti (depositanti da un lato, prenditori di fondi dall'altro) sono due: leva finanziaria e trasformazione delle scadenze. Da un lato, questi due elementi consentono alle banche di svolgere il proprio ruolo centrale nel contribuire al buon andamento e allo sviluppo dell'economia: canalizzando il risparmio, o comunque una sua parte significativa, verso gli impieghi più produttivi, senza che ogni agente che ha fondi in eccesso debba valutare da sé la convenienza di ogni singolo impiego finale, un compito impossibile. Dall'altro, essi possono funzionare solo grazie a un catalizzatore inerentemente delicatissimo, la fiducia: la fiducia, più precisamente, tra chi dà e chi riceve i fondi, dai due lati del bilancio bancario; il che, in presenza di incertezza e asimmetrie informative, espone le banche al rischio di dissesti, fughe, crisi di liquidità, i cui effetti travalicano i diretti interessati e possono causare gravi ripercussioni sull'intera economia.
La potenziale rilevanza sistemica delle crisi bancarie giustifica, in questo settore, l'esistenza di norme più articolate di quelle che si applicano ad altre imprese, così come di un regime di supervisione prudenziale. Ma richiede anche limitazioni alla concorrenza? Oggi si pensa di no, e la tutela della stabilità finanziaria è affidata ad altri strumenti, più appropriati. Ma in passato la questione ha visto prevalere di volta in volta idee opposte. Mi è sembrato utile dedicare la prima parte di questa conversazione a ripercorrere il modo in cui la tutela della stabilità e della concorrenza si sono intrecciate nella storia della regolamentazione bancaria in Italia, e discutere gli insegnamenti che se ne possono trarre.
Sapere donde veniamo è istruttivo. Ma ancora più importante è capire dove siamo e dove vogliamo andare. La seconda parte sarà quindi dedicata al presente e al futuro. Per la tutela della concorrenza nel settore bancario, norme e politiche nazionali continuano a essere rilevanti; tuttavia, oggi essa è anche, direi soprattutto, una questione europea. Richiede il completamento del mercato unico e l'abbattimento delle barriere, anche giuridiche, che tuttora di fatto esistono.
La posizione classica era che le banche commerciali non necessitassero di alcun regime particolare. Perfino Luigi Einaudi, futuro governatore della Banca d'Italia, almeno nei suoi scritti giovanili2 criticava l'idea che lo Stato, tramite vincoli e prescrizioni, dovesse finire col rendersi in qualche modo garante della solvibilità delle banche: la cui tutela andava invece affidata, come in ogni altro settore, all'accortezza dei creditori, in questo caso soprattutto i depositanti e le altre banche. Fino ai primi decenni del secolo scorso una specifica regolamentazione bancaria era pressoché inesistente (seppure con alcune eccezioni)3.
La prima legge che affidava esplicitamente alla Banca d'Italia responsabilità prudenziali è del 1926. Ma il terremoto che scosse il sistema finanziario e industriale italiano tra la fine degli anni Venti e il principio degli anni Trenta, unitamente alle mutate condizioni politiche e culturali, diede origine alla fine a un completo cambiamento di assetto. La vicenda, o meglio l'insieme di vicende, che vide crollare come castelli di carta alcuni dei più grandi conglomerati e travolse le maggiori banche commerciali del Paese, comportò gravi ripercussioni economiche e un massiccio impiego di risorse pubbliche. Essa fu in parte determinata dalla crisi internazionale di quegli anni. Mise però in piena luce anche i rischi insiti in un'eccessiva commistione tra banca e industria, in una disciplina inesistente dei conflitti di interesse, nella mancanza di elementari presidi normativi di liquidità e di prudenza.
Il risultato fu la legge bancaria del 1936, rimasta in vigore, seppure con aggiustamenti e adattamenti successivi, per più di mezzo secolo.
L'assetto che si determinò in seguito a questa riforma era per molti aspetti tutto l'opposto di quello dei decenni precedenti. In linea di fatto, tutte le grandi banche erano ormai, o enti pubblici, o ex banche commerciali private acquisite al controllo pubblico dopo la crisi. In linea di diritto, anche l'impianto normativo fu radicalmente trasformato in senso pubblicistico. La legge attribuiva ampi poteri discrezionali agli organi di controllo, senza un'esplicita indicazione delle finalità di questi poteri e quindi dei limiti che il loro esercizio incontrava. Oltre a essere frutto dell'esperienza della crisi, il nuovo ordinamento si inquadrava anche nel generale impianto dirigistico che caratterizzava l'approccio del regime fascista alla politica economica. Per il governo, l'orientamento del credito poteva essere una leva di comando in più.
Ai difetti che avevano caratterizzato il tradizionale modello di "banca mista" (conflitti di interesse, trasformazione eccessiva delle scadenze, strategie aggressive, talvolta sconsiderate) e che avevano contribuito alla sua crisi, si provò a porre rimedio essenzialmente in due modi. Il primo fu quello di vietare alle banche l'acquisizione di partecipazioni industriali, e allo stesso tempo segmentare rigidamente il sistema del credito sulla base delle scadenze delle poste di bilancio e della specializzazione dell'attività: per il credito a lungo termine, in particolare, si crearono appositi "istituti di credito speciale", che si finanziavano con passività di durata pluriennale. Il secondo fu quello di istituire stringenti limiti alla concorrenza sul mercato del credito. Le banche erano suddivise in categorie giuridiche, ciascuna autorizzata a compiere un insieme determinato, più o meno esteso, di attività. Con l'eccezione di specifiche categorie di grandi istituzioni, le banche avevano una "competenza territoriale" determinata, e non potevano invadere l'una l'area geografica dell'altra. L'ingresso sul mercato, cioè la costituzione di nuove banche, era sottoposto al potere discrezionale delle autorità creditizie. Anche l'espansione dell'attività sotto forma di apertura di sportelli era rimessa al giudizio delle autorità, che decidevano, in assenza (almeno all'inizio) di criteri normativamente prefissati, sulla base di quelle che ritenevano essere le "esigenze economiche" del mercato.
L'ordinamento bancario italiano che si era così instaurato veniva definito un ordinamento "sezionale"4, espressione teoricamente generica, ma di fatto usata per lo più, per quel che sappiamo, in relazione proprio al caso del credito. Sulla base di questa definizione gli enti creditizi si inquadravano come "imprese-funzione", che le autorità del settore potevano orientare con atti amministrativi per il raggiungimento di obiettivi di natura pubblicistica. Conseguenza di questa impostazione era la qualificazione, confermata anche in sede giurisprudenziale, dell'attività bancaria come servizio pubblico in senso oggettivo.
L'impressione di chi vi parla è che di questo assetto nel complesso non si sia fatto un uso massiccio da parte del potere politico per orientare il credito (se non nel senso patologico che diremo fra un momento), anche perché - con riferimento ai poteri amministrativi della vigilanza - dopo il crollo del regime fascista l'indipendenza tecnica della Banca centrale, a cui restò affidata la vigilanza, fu sempre rispettata, e non si volle mai fare di essa lo strumento di strategie di parte; ma la questione è complessa, e meriterebbe un approfondimento che qui non c'è spazio per fare. Ai fini dell'argomento di oggi rileva invece un'altra domanda: tutte le limitazioni alla concorrenza di cui abbiamo parlato erano giustificate dal fatto che questo fosse lo strumento necessario per prevenire crisi bancarie?
Se negli anni Cinquanta, in pieno boom economico, e ancora negli anni Sessanta non si verificarono dissesti bancari di importanza sistemica, fu invece esteso e doloroso l'elenco delle crisi che si susseguirono tra gli anni Settanta e gli anni Novanta. I nomi, tra cui non mancano quelli di alcune grandi istituzioni ricche di storia e di prestigio, sono nella mente di tutti. In certi casi la crisi fu determinata da comportamenti fraudolenti; in altri, soprattutto da distorsioni nell'allocazione del credito, a loro volta riconducibili all'adozione di criteri di erogazione non ispirati a logiche imprenditoriali. In ogni caso, le limitazioni alla concorrenza ricordate sopra (segmentazione territoriale e per finalità, limiti all'accesso al mercato e all'espansione dell'attività) non agirono efficacemente da freno.
Anzi: si può ben argomentare che, allentando la pressione concorrenziale e quindi l'esigenza di allocare i fondi in maniera efficiente, la protezione di specifici mercati, unita alla natura pubblica di alcune istituzioni, abbia in alcuni casi patologicamente facilitato azioni tendenti a orientare l'erogazione del credito sulla base di criteri diversi da quelli della buona amministrazione economica. Ne scaturì quell'accumulo di prestiti inesigibili che fu alla fine esiziale per le istituzioni interessate.
Come che sia, sopprimere la concorrenza costa. All'efficienza allocativa si è già accennato un attimo fa; ma è importante qui sottolineare che in generale, cioè anche senza considerare il caso di eventuali degenerazioni clientelari o d'altro genere, la concorrenza costituisce uno stimolo importante affinché la banca distribuisca i fondi prestabili sulla base del rendimento atteso al netto del rischio, contribuendo per questa via all'efficienza complessiva del sistema economico; la sua assenza, invece, apre un maggiore spazio al perseguimento di allocazioni sub-ottimali. A questa considerazione si aggiunge quella relativa all'efficienza operativa, cioè alla minimizzazione dei costi, anch'essa molto sensibile all'operare della frusta rappresentata dalla competizione sul mercato. Non è un caso che sotto il "vecchio regime" della legge bancaria del 1936 le banche tendevano a mostrare costi alti e, ciononostante, vaste rendite. Il costo sociale dell'intermediazione creditizia era alto. Le riforme dei primi anni Novanta vi incisero in modo drastico: tra la metà degli anni Novanta e la metà del successivo decennio l'incidenza dei costi operativi sul margine d'intermediazione (il cosiddetto cost-income ratio) si ridusse dal 70 al 60 per cento; la produttività, misurata dalle risorse amministrate per addetto, crebbe del 30 per cento in termini reali.
Quale insegnamento si può trarre da questa rapida carrellata? Che limitare la concorrenza comporta costi certi in termini di efficienza e, alla lunga, benefici scarsi se non inesistenti in termini di stabilità. Quest'ultima va perseguita con strumenti differenti. Fermo restando che nessun sistema prudenziale, per quanto accorto, potrà mai evitare del tutto le crisi bancarie, specie in periodi di difficoltà dell'economia reale, non vi è evidenza che, se la stabilità è la meta a cui si tende, limitare drasticamente la concorrenza sia la via per arrivarci.
Oggi forse questa conclusione è scontata (è da almeno 35 anni, cioè dai tempi della legge Amato, che in sostanza se ne è preso atto), ma bisogna rendersi conto che allora occorse un nuovo cambiamento culturale. Non si trattava di tornare all'antica idea che l'attività bancaria non avesse bisogno di presidi prudenziali, bensì di accettare l'idea che la limitazione della concorrenza non costituiva un presidio efficace. Il cambiamento fu graduale, e coinvolse sia l'azione amministrativa, sia il contesto normativo.
Fin dagli anni Settanta la Banca d'Italia aveva intrapreso una riflessione che la portò a perseguire, utilizzando tutta la flessibilità che le era conferita dall'ordinamento bancario vigente, l'allentamento e poi il superamento dei limiti alla concorrenza tra le banche, anche sotto la spinta della prima direttiva comunitaria in materia creditizia5. A partire da allora, infatti, i poteri autorizzativi, per esempio quello relativo all'apertura di nuovi sportelli, cominciarono a essere esercitati sulla base di criteri concorrenziali, prestando esplicita attenzione ai profili di efficienza6. Venne abbandonata la politica del "caso per caso": prima introducendo, a partire dal 1978, "piani sportelli" che limitavano la discrezionalità del relativo potere autorizzativo; e poi, a partire dal 1990, rimettendo l'apertura e il trasferimento delle succursali alla piena autonomia dei singoli intermediari.
Questi provvedimenti innestarono elementi di competizione su un tronco che però restava quello, fondamentalmente dirigistico, della legge bancaria del 1936. Alla fine divenne chiaro che era necessario aprire una fase di riforma organica. Essa sarebbe culminata con l'emanazione nel 1993 del nuovo Testo unico bancario (TUB), preparata da un intenso lavoro tecnico, con il coinvolgimento anche dell'industria e del mondo accademico7. La materia fu innovata in modo radicale.
Vi contribuirono impulsi sia esterni, sia interni. Tra i primi, va menzionato soprattutto - in sede internazionale - il primo Accordo sul capitale definito dal Comitato di Basilea nel 1988, che introdusse un requisito minimo di capitale uniforme. Si venne così a creare un presidio prudenziale (specificamente, un limite alla leva finanziaria8) che era compatibile con gli incentivi degli operatori (per aumentare il livello dei rischi assunti era necessario aumentare il capitale), e al tempo stesso in linea di principio coerente con i meccanismi concorrenziali (valeva allo stesso modo per tutti).
In sede europea, la seconda direttiva bancaria del 1989, con l'obiettivo di creare un mercato unico dei servizi bancari e finanziari, adottò i principi dell'armonizzazione minima e del mutuo riconoscimento. Questi principi crearono un meccanismo di concorrenza fra ordinamenti che rendeva difficile applicare norme non in linea con l'evoluzione generale.
Sul piano interno, infine, la svolta più importante prima del TUB si ebbe con la legge Amato del 19909, che riordinò la "foresta pietrificata" del sistema delle banche pubbliche, imponendone la trasformazione in società per azioni e creando le condizioni per la loro successiva privatizzazione e concentrazione. Nello stesso anno, le banche vennero sottoposte - seppure con qualche regola particolare - alle norme sulla tutela della concorrenza appena introdotte per tutte le imprese10. Nel frattempo la Corte di cassazione, modificando il precedente orientamento, aveva stabilito definitivamente che l'attività bancaria ha natura privatistica11.
Nel 1993, con il TUB, si abbandonarono del tutto i controlli di vigilanza finalizzati alla limitazione della concorrenza (i "controlli strutturali", come allora si chiamavano). Furono rimossi i vincoli alla costituzione e all'attività delle banche, cancellati gli effetti della loro suddivisione in categorie giuridiche, eliminata in sostanza la segmentazione ex lege del mercato. Si confermò il carattere imprenditoriale dell'attività bancaria12. Si stabilirono inoltre le prime norme sulla trasparenza dei contratti bancari: queste ultime avevano il fine diretto di proteggere gli utenti dei servizi bancari, ma nel perseguirlo contribuivano anche, indirettamente, ad accrescere la pressione concorrenziale sul mercato.
Furono rese esplicite, in attuazione dell'art. 47 della Costituzione che attribuisce alla Repubblica il compito di tutelare il risparmio, le finalità della vigilanza, tra cui l'efficienza e la competitività comparvero accanto alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati e alla stabilità del sistema.
Da allora, il sistema bancario si è trasformato completamente.
Per diversi anni il numero delle filiali bancarie, che era già salito considerevolmente a partire dai primi provvedimenti di liberalizzazione della Banca d'Italia, crebbe ulteriormente. In un'epoca in cui quasi tutta l'attività bancaria ancora si svolgeva allo sportello (torneremo sulla questione tra poco), fu questo il modo in cui le banche cominciarono a competere direttamente tra loro sul territorio, insediandosi l'una sul terreno dell'altra. Crebbe la presenza delle banche nei mercati locali e si ridusse il relativo grado di concentrazione. Nel 1980 il numero medio di banche per provincia era 21; alla fine del 1996 esso era cresciuto a 2913.
Questo avvenne nonostante una netta diminuzione del numero delle aziende di credito conseguente a un'ondata di fusioni. Le operazioni di fusione tra intermediari, contrariamente a quello che si potrebbe superficialmente pensare, di fatto accrebbero il tenore concorrenziale del mercato bancario, grazie al superamento della segmentazione dei mercati locali. Esse stimolarono l'adozione di strategie di rafforzamento tecnico e organizzativo delle aziende di credito e incentivarono un miglioramento della qualità dei servizi offerti alla clientela. Aumentò anche la presenza di banche estere14.
Un ruolo assolutamente centrale giocò infine la privatizzazione di buona parte delle banche pubbliche, anche di quelle di più grandi dimensioni. Nel decennio tra il 1992 e il 2002, la quota delle attività bancarie facenti capo a istituti al cui capitale gli enti pubblici e le fondazioni partecipavano per più della metà diminuì dal 68 al 10 per cento.
L'aumento della pressione competitiva determinato dall'insieme di questi fattori - riforme, integrazione europea, concentrazioni - è confermato tra l'altro dalla diminuzione dei mark-up, un risultato messo in luce dalle analisi empiriche della Banca d'Italia15.
La crescita della concorrenza bancaria in Italia è un dato di fatto, il risultato di decenni di innovazioni normative e di sviluppi di mercato. Vorrei ora spiegare perché non possiamo fermarci qui, e perché la prospettiva deve ormai spostarsi dall'ambito nazionale a quello europeo. Mi sembra utile sottolineare due sviluppi degni di nota.
Il primo consiste nell'evoluzione della tecnologia, e più in generale della struttura dell'offerta di servizi bancari. Questa ha inciso fortemente sulle economie di scala bancarie e, di conseguenza, sulla dimensione dei mercati di riferimento. Un tempo i prodotti in cui investire e i servizi da richiedere erano relativamente pochi e semplici; qualunque banca, anche piccola, era in grado di offrire autonomamente quasi tutto ciò che serviva alla maggioranza dei clienti. Inoltre, il rapporto con la clientela era per lo più basato su contatti personali a livello territoriale. Bisognava recarsi materialmente a uno sportello per aprire e chiudere un conto, ritirare o depositare contante, incassare un assegno, disporre un bonifico, richiedere un prestito, farsi consigliare sugli investimenti dei risparmi (e, quanto a questi ultimi, per i piccoli risparmiatori la scelta era limitata). Date la necessità di una presenza fisica e la scarsa importanza delle economie di scala, l'ambito rilevante per la concorrenza era prettamente locale16.
Oggi la situazione è ben diversa. L'evoluzione della finanza ha reso accessibili anche ai piccoli risparmiatori prodotti diversificati, che possono ampliare la possibilità di adattare le scelte di investimento alle esigenze di ciascuno e migliorare a un costo modesto il relativo profilo di rischio-rendimento. Tali prodotti però hanno bisogno di grandi masse investite e di professionalità specializzate, con un'incidenza pronunciata delle economie di scala: eccetto alcune tra le più grandi, le banche per lo più distribuiscono prodotti di "fabbriche" esterne, spesso operanti sul piano internazionale. Anche certi tipi di prestiti possono essere trattati come strumenti di massa e offerti a condizioni standardizzate.I servizi di pagamento, poi, hanno subito una rivoluzione: gli assegni sono quasi spariti, i bonifici si fanno a distanza, il ruolo del contante continua a ridursi, e in ogni caso non occorre più fare la fila in banca per procurarselo. Vi sono banche che operano soltanto on line, a volte su scala transnazionale. Per certe materie che richiedono interazioni personalizzate (consulenze, valutazioni individuali del merito di credito, per fare due esempi) il contatto diretto rimane importante, e le stesse banche locali continuano in molti casi a svolgere un ruolo significativo nel sostegno all'economia del territorio. Ma per parecchi aspetti chiave l'agire combinato delle accresciute economie di scala e della minore necessità di contatti fisici fa sì che la concorrenza operi ormai in un ambito molto più ampio del passato.
Il secondo aspetto su cui vorrei richiamare la vostra attenzione è il contributo che può dare l'esistenza di un sistema bancario unitario e concorrenziale alla realizzazione della cosiddetta Unione dei risparmi e degli investimenti, cioè alla creazione di un mercato dei capitali, bancario e finanziario, ben integrato, che favorisca lo sfruttamento effettivo delle potenzialità del mercato unico europeo.
Sui motivi per cui questo progetto, oggi al centro dell'attenzione delle autorità europee, è un obiettivo importante, mi sono soffermato recentemente17, e non voglio qui troppo ripetermi. Dirò soltanto che l'Europa, come osservano tra l'altro i rapporti Letta e Draghi18, ha un grande bisogno di attrarre investimenti per recuperare i ritardi accumulati sul piano della tecnologia e della produttività, perseguire efficacemente la transizione climatica e l'innovazione digitale, creare le condizioni per un robusto sviluppo; che a mancare in Europa non sono certo i risparmi necessari per finanziarli, che sono anzi abbondanti, e finiscono in parte non piccola all'estero; che l'Europa ha per di più il doppio vantaggio di una popolazione istruita e di un enorme mercato; ma che quest'ultimo funziona in parte solo sulla carta, a causa di pervasive barriere interne che impediscono di coglierne appieno i benefici; ed è dunque imperativo darsi da fare per abbatterle.
L'integrazione dei mercati consente agli operatori di sfruttare economie di scala, riducendo i costi di accesso. Essa accresce la concorrenza; amplia le possibilità di diversificazione degli investimenti; assicura una migliore allocazione delle risorse; aumenta la capacità di assorbimento degli shock; contribuisce alla stabilità del sistema finanziario. In un mercato integrato e competitivo le condizioni di prestito per le imprese caratterizzate dallo stesso livello di rischio tendono a uniformarsi tra i diversi paesi, accrescendo così l'efficienza dell'allocazione delle risorse nell'economia e sostenendo la crescita.
Il completamento dell'unione bancaria è un elemento importante di questo processo. Lo è in primo luogo in via diretta, cioè perché promuove, come si è appena notato, una migliore allocazione di quella parte dei flussi finanziari che il sistema bancario intermedia. Ma lo è anche in via indiretta, perché a sua volta facilita una più stretta integrazione dei mercati finanziari, agevolando così il conseguimento di simili effetti per i flussi di capitale diversi da quelli intermediati dalle banche19. Dall'emissione alla sottoscrizione di titoli, infatti, le banche forniscono servizi essenziali per il funzionamento di tali mercati20. Questo punto è stato ribadito di recente dalla Commissione europea nel proprio documento strategico sull'unione dei risparmi e degli investimenti21.
Nel campo bancario, è importante rammentare subito che alcuni risultati fondamentali sono stati già raggiunti: primi fra tutti l'armonizzazione di fondo delle regole prudenziali e una supervisione ormai pienamente integrata nelle norme e nella prassi. Con tutto ciò, e senza volere in alcun modo sminuire quel che si è fatto, occorre essere consapevoli che c'è ancora un bel po' di strada da fare prima che l'unione bancaria possa dirsi interamente compiuta22. Tra l'altro le analisi empiriche mostrano che la penetrazione delle banche insediate in uno Stato membro nei mercati degli altri paesi dell'Unione è modesta; che l'entità dei prestiti transfrontalieri a famiglie e imprese è limitata. I progressi nell'integrazione conseguiti dopo l'istituzione dell'Unione monetaria sono in parte venuti meno nel periodo successivo alla crisi finanziaria globale. Le operazioni di fusione e acquisizione hanno mostrato un trend discendente. Quelle domestiche sono sempre più numerose di quelle transfrontaliere, e la tendenza si è accentuata. Benché non vi siano restrizioni legali, poche banche operano nel mercato al dettaglio di altri Stati membri.
Perseguire l'obiettivo del completamento dell'unione bancaria richiede varie iniziative.
In primo luogo, è tempo di spingere ulteriormente l'armonizzazione della regolamentazione bancaria europea e di perseguirne al tempo stesso una semplificazione, senza ridurre la robustezza del sistema. Alcune recenti iniziative annunciate dalla Commissione europea vanno in questa direzione. La regolamentazione è divenuta ormai estremamente complessa non solo per mole, ma anche per varietà di fonti e di livelli. Idealmente, si vorrebbe un "testo unico" europeo della banca che, analogamente al nostro TUB, raggruppasse in un'unica sede tutte le disposizioni, organizzandole in maniera sistematica. Come ha recentemente affermato il Governatore23, "occorre puntare sulla semplificazione, eliminando sovrapposizioni e ambiguità normative e diminuendo gli oneri amministrativi. Una regolamentazione più chiara e coerente ridurrebbe l'incertezza per gli operatori e renderebbe l'azione di supervisione più efficace e tempestiva. In Europa la semplificazione deve iniziare dall'armonizzazione normativa tra gli Stati membri, evitando che gli operatori attivi su più mercati debbano confrontarsi con regole diverse". Semplicità e uniformità della regolamentazione sono uno stimolo chiave per la concorrenza a livello europeo.
L'introduzione di un sistema di garanzia dei depositi unico - altro tassello importante dell'unione bancaria - resta purtroppo politicamente controversa. Per questo motivo sono emerse alcune proposte di compromesso che, pur senza puntare a un vero e proprio meccanismo di garanzia unico europeo, mirano ad accrescere l'integrazione bancaria nell'eventualità di una crisi24. Resta il fatto che il giorno in cui si riuscirà a introdurre un sistema europeo di protezione dei depositi davvero unificato si semplificherà il quadro normativo, si elimineranno barriere e differenze che fungono di fatto da ostacoli alla concorrenza nell'Unione, e si realizzerà, con un più ampio pooling dei rischi, un sistema di assicurazione più efficiente.
Il compimento dell'unione bancaria presuppone infine la rimozione effettiva di ogni barriera in materia di fusioni e acquisizioni transfrontaliere. È una condizione necessaria per realizzare l'integrazione e il rafforzamento dei mercati, accrescendo la concorrenza e facilitando il raggiungimento di un'adeguata scala dimensionale.
Tutto questo nell'ambito specificamente bancario. Ma la creazione di un'unione dei risparmi e degli investimenti richiederà anche di rendere più uniformi ed efficaci la regolamentazione e la supervisione negli altri comparti della finanza, in primis i mercati dei capitali e le assicurazioni. Per l'industria della gestione del risparmio, in particolare, è necessario definire un "single rulebook" e fare passi avanti verso un modello di vigilanza più accentrato a livello europeo, soprattutto con riferimento agli operatori di maggiore dimensione25. Nel settore assicurativo è auspicabile un rafforzamento della supervisione a livello europeo sulle compagnie con operatività transfrontaliera, anche per realizzare una protezione uniforme ed efficace degli assicurati.
Più in generale, vi è una questione di fondo che riguarda la realizzazione del mercato unico bancario non meno che qualunque altra forma di integrazione di mercato a livello europeo. Come mi è capitato di osservare in varie occasioni26, un mercato unico non può veramente dirsi tale senza un quadro giuridico sostanzialmente uniforme in alcune materie chiave per la vita degli agenti economici: diritto societario, regole sulle crisi di impresa, norme di trasparenza e standard contabili, concetti base del regime fiscale. La frammentazione normativa in simili campi costituisce di per sé un sistema di barriere interne la cui rilevanza non può essere sottovalutata: è quindi un freno rilevante al dispiegarsi della concorrenza e un ostacolo al conseguimento dei suoi benefici effetti.
Superarla, s'intende, non è facile. Vi si oppongono la vastità della materia e l'indubbia difficoltà di mettere in comune tradizioni consolidate e radicate in termini di norme, giurisprudenza e prassi.
In astratto, vi sono tre modi per perseguire l'obiettivo: un'armonizzazione massima; la creazione di un "ventottesimo regime" europeo che si affianchi ai regimi nazionali; il mutuo riconoscimento di questi ultimi. Ciascuno di essi ha pro e contro, problemi e vantaggi potenziali; tutti sono stati tentati in qualche misura e per qualche materia, con determinazione variabile e con risultati più o meno felici; è da presumere che occorrano, pragmaticamente, combinazioni diverse a seconda della materia.
Ad avviso di chi vi parla, è comunque necessario un deciso colpo di acceleratore. Se, come si è appena detto, non ci si possono nascondere le difficoltà del compito, neppure ci si può illudere di poter conseguire il risultato (un mercato davvero unitario, una piena concorrenza europea) senza abbattere l'ostacolo più importante (la frammentazione giuridica). Il caso della supervisione bancaria, pur con tutti i miglioramenti che ancora crediamo necessari, è lì a dimostrarlo: data una ferma volontà politica, specie se rafforzata dalla minaccia rappresentata dagli effetti di gravi eventi (all'epoca, la crisi finanziaria globale), certi obiettivi che parevano irraggiungibili si possono invece realizzare. Simili, radicali progressi sono stati compiuti per esempio in materia di pagamenti, e in altri campi ancora.
C'è da augurarsi che le sfide non da poco che l'Europa è chiamata a fronteggiare in questo momento valgano a diffondere la consapevolezza della necessità di passi avanti decisivi e fungano da sprone ad agire.
Note
- 1 Desidero ringraziare Giorgio Albareto, Emilia Bonaccorsi Di Patti, Alessio De Vincenzo, Roberta Occhilupo, Enza Profeta, Maurizio Trapanese, che hanno contribuito in vario modo a preparare il materiale su cui è basato questo intervento.
- 2 In questi scritti Einaudi mostrava la sua forte contrarietà alla "sorveglianza delle banche da parte dello Stato", perché essa "darebbe soltanto una mano a banchieri furbi e disonesti per accalappiare i depositanti squadernando nei manifesti e negli annunci al pubblico il controllo dello Stato e menandone un vanto assordante". Einaudi L., (1959) "Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925)", vol. I, 1893-1902, Einaudi, Torino.
- 3 Nei decenni precedenti alla legge bancaria del 1926 le casse rurali, le banche popolari e le casse di risparmio erano sottoposte a una disciplina speciale a motivo della loro tipicità organizzativa e operativa che le differenziava profondamente dalle altre imprese bancarie. Cfr. Toniolo G., (2022), "Storia della Banca d'Italia", Tomo I, Il Mulino, Bologna; De Bonis R., e Trapanese M., (2023), "Le quattro età della regolamentazione bancaria: che fare oggi?", Banca d'Italia, Questioni di Economia e Finanza, n. 756, settembre; Molteni M., e Pellegrino D., (2021), "Lessons from the Early Establishment of Banking Supervision in Italy (1926-1936)", Quaderni di Storia Economica della Banca d'Italia, n. 48, ottobre.
- 4 Cfr. Giannini M. S., (1949), "Istituti di credito e servizi di interesse pubblico", Moneta e Credito, vol. 5; Porzio, M., (1976), "Il governo del credito", Liguori, Napoli; Costi R., (1994), "L'ordinamento bancario", Il Mulino, Bologna.
- 5 Cfr. Ciocca P., (1991), "Banca, Finanza, Mercato", Einaudi, Torino.
- 6 I criteri ai quali avrebbe dovuto attenersi la Banca d'Italia nell'autorizzare l'apertura di nuove succursali o il trasferimento di quelli esistenti erano stati definiti in una delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR) del 6 gennaio 1978. Essa mirava ad accrescere l'integrazione delle infrastrutture bancarie nelle zone non sufficientemente servite, in relazione alle necessità di sviluppo attuali e prospettiche delle singole aree, e un più omogeneo grado di concorrenza nelle varie aree del mercato bancario, nonché a incrementare i livelli di efficienza del sistema bancario nel suo complesso. Cfr., Costi R., (1994), "L'ordinamento bancario", Il Mulino, Bologna. Il lento mutamento di prospettiva determinatosi durante il governatorato di Guido Carli, e le azioni che la Banca cominciò allora a intraprendere, sono riassunti in Ciocca P., (2022), "La Banca d'Italia. Una istituzione speciale", Aragno, Torino. Ne riportiamo un passaggio: "Carli [...] fece eliminare dalle istruzioni di vigilanza le disposizioni che invitavano i direttori delle filiali a sorvegliare i comportamenti troppo aggressivi delle banche, liberalizzò la prestazione di alcuni servizi (come il ritiro del contante), rimosse i divieti alla pubblicità, allargò le maglie della competenza territoriale, superò i controlli qualitativi attraverso il limite di fido... [Inserì] fra i criteri che la vigilanza avrebbe posto a base dei suoi piani di autorizzazione dell'apertura e del trasferimento degli sportelli bancari l'obiettivo antimonopolistico, segnatamente nelle aree territoriali dei mercati dei depositi che vedevano presente una sola banca".
- 7 Già a metà degli anni Ottanta la stratificazione delle norme di legge in materia bancaria aveva raggiunto un livello tale da indurre il Governatore della Banca d'Italia a dichiarare "utile una aggiornata esposizione organica della Legge bancaria". Cfr. Ciampi C.A., (1986), "Considerazioni finali", Roma, 31 maggio. Il materiale normativo da coordinare e innovare avrebbe poi subito un ulteriore e cospicuo incremento negli anni immediatamente successivi. Cfr. Castaldi G., (1995), "Il riassetto della disciplina bancaria: principali aspetti innovativi", Banca d'Italia, Quaderni di ricerca giuridica, n. 36, secondo cui "il Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (...) ha consolidato in modo organico le numerose leggi che per oltre cinquant'anni hanno adeguato la disciplina del credito all'evoluzione dell'ordinamento, man mano affastellandosi intorno al ceppo originario della legge bancaria del 1936, della quale non veniva mai posta in discussione la centralità. (Sono) 162 articoli del Testo Unico (che) ne sostituiscono circa 1400, contenuti in più di 130 provvedimenti legislativi".
- 8 All'altra questione chiave, la trasformazione delle scadenze e il connesso rischio di liquidità, i primi due accordi di Basilea non prestavano l'attenzione che essa avrebbe meritato. Standard per i presidi di liquidità sono stati introdotti solo a partire dal Basilea III; e ad avviso di chi scrive la materia meriterebbe ancora qualche riflessione in più. Sul punto, si vedano le considerazioni contenute in Signorini L.F., (2023), "Intervento alla 'Giornata del Credito", 5 ottobre.
- 9 Legge 30 luglio 1990, n. 218.
- 10 Legge 10 ottobre 1990, n. 287. Fino al 2006 la tutela della concorrenza nel settore bancario rimase affidata alla Banca d'Italia.
- 11 Conseguentemente, agli operatori bancari, quando esplicano la normale attività di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, non sono riferibili le qualificazioni soggettive di pubblico ufficiale o di persona incaricata di pubblico servizio. Cass. S.U. penali, sentenze n. 5 del 23 maggio 1987; n. 9863 del 7 luglio 1989.
- 12 Cfr. Ciocca P., (2000), "La nuova finanza in Italia. Una difficile metamorfosi (1980-2000)", Bollati Boringhieri, Torino.
- 13 De Bonis R., Ferrando A., (2000), The multimarket contacts theory: an application to Italian banks, n. 387.
- 14 Tra il 1990 e il 2000 ebbero luogo 356 operazioni di fusione e incorporazione e 158 acquisizioni della maggioranza del capitale (cfr. Relazione sul 2000); nel decennio precedente il numero era stato meno di un quarto. Il numero delle banche scese da 1156 a 841, ma aumentò il grado di sovrapposizione tra banche nei mercati locali. Nello stesso arco di tempo furono costituite 191 nuove banche, e le filiali e filiazioni di banche estere salirono da 41 a 71.
- 15 Si veda ad esempio Angelini P. e Cetorelli N., (2003), The Effects of Regulatory Reform on Competition in the Banking Industry, Journal of Money, Credit, and Banking, vol. 35, n. 5, pp. 663-684; De Bonis e Ferrando, op. cit.
- 16 Nell'esercizio dei propri poteri antitrust, che esercitò fino al 2006 (cfr. supra, nota 10), la Banca d'Italia scelse di individuare come ambiti rilevanti per la concorrenza le province per il mercato dei depositi, le regioni per quello degli impieghi. La scelta era basata sulle analisi dei rapporti di sostituzione degli strumenti finanziari tra le varie aree e del grado di mobilità della domanda.
- 17 Signorini L. F. (2025), Unione del Risparmio e degli Investimenti, Keynote speech, VIGOnomics, 30 aprile.
- 18 Letta E. (2024), Much More Than a Market; Draghi M. (2024), The future of European competitiveness.
- 19 Cfr. Constâncio V. (2017), Synergies between banking union and capital markets union, Keynote speech at the Joint Conference of the European Commission and ECB on European Financial Integration, 19 maggio; De Guindos L. (2023), Banking Union and capital Markets Union: high time to move on, Keynote speech at the Annual Joint Conference of the European Commission and ECB on European Financial Integration, 7 giugno.
- 20 Cfr. Panetta F. (2023), Europe needs to think bigger to build its capital markets union, ECB Blog, 30 August.
- 21 Commissione Europea (2025), "Savings and Investments Union. A strategy to foster Citizens' Wealth and Economic Competitiveness in the EU", COM(2025) 124 final, 19 marzo. Questa strategia rappresenta uno degli "horizontal enablers" ritenuti necessari per accrescere la competitività dell'Unione europea (Commissione Europea, "A Competitiveness Compass for the EU", COM(2025) 30 final).
- 22 Per una recente valutazione del processo di integrazione finanziaria in Europa cfr. Buch C. (2024), Financial integration in Europe: where do we stand after the banking union's first decade?, Speech at the 'Globalisation: What's Next?' conference, Parigi, 30 aprile.
- 23 Banca d'Italia, Considerazioni finali del Governatore, Relazione annuale, 30 maggio 2025.
- 24 Cfr. Enria A. (2021), How can we make the most of an incomplete Banking Union? Speech at the Eurofi Financial Forum, Ljubljana, 9 settembre.
- 25 Allo stesso tempo, dovrebbe essere rafforzata la cooperazione tra le autorità di vigilanza, anche attraverso un potenziamento del ruolo dei collegi di supervisione.
- 26 Da ultimo, Unione del Risparmio e degli Investimenti, cit.