La sostenibilità nell'industria finanziaria: vecchi modelli per nuovi scenari?

di Paolo Angelini
Vice Direttore Generale della Banca d'Italia
Convegno "La sostenibilità nell'industria finanziaria: vecchi modelli per nuovi scenari?"
Milano
02 aprile 2025

1. Premessa

A livello internazionale è in atto un processo di frammentazione geopolitica che frena la cooperazione, indebolisce il ruolo delle istituzioni multilaterali e ostacola lo scambio di conoscenze e tecnologie.

Questi sviluppi, insieme agli orientamenti dalla nuova amministrazione statunitense in materia di clima, costituiscono un freno alla transizione ambientale. Alcuni fatti: è in forse la disponibilità dei paesi avanzati a fornire risorse finanziarie per sostenere la transizione nelle economie emergenti e in via di sviluppo1; varie imprese impegnate nella transizione stanno rivedendo al ribasso i loro piani d'investimento; la principale coalizione di operatori finanziari privati per il raggiungimento della neutralità carbonica (Glasgow Financial Alliance for Net Zero - GFANZ) ha subito numerose defezioni, e sta valutando di moderare gli impegni di decarbonizzazione richiesti alle associate. Anche la UE, che è stata tra le giurisdizioni più attive nel promuovere la transizione ambientale, sembra oggi apprestarsi a una correzione di rotta.

È dunque opportuno chiedersi quali siano le implicazioni di questi sviluppi per le attività di tutti coloro che in questi anni hanno lavorato sui temi della sostenibilità ambientale. Ho in mente il Network for Greening the Financial System (NGFS) e i suoi membri, inclusa la Banca d'Italia, le banche multilaterali di sviluppo, le istituzioni internazionali. E ovviamente l'intera industria finanziaria.

In quanto segue tratteggerò brevemente alcuni spunti di riflessione dal punto di vista della banca centrale e dell'autorità di vigilanza. In sintesi, argomenterò che il mutato contesto influisce sul ritmo di marcia, e probabilmente su tratti del percorso, ma non cambia la direzione del cammino intrapreso.

2. Il nuovo contesto geopolitico cambia qualcosa per l'impegno in materia di sostenibilità?

L'impegno sul fronte della transizione ambientale da parte delle banche centrali e delle autorità di vigilanza mira in primo luogo a migliorare la capacità degli operatori finanziari di gestire i rischi climatici. Questo obiettivo viene perseguito principalmente attraverso l'attività di vigilanza (emanazione di linee guida, verifica del rispetto delle norme, confronto sullo stato di attuazione delle raccomandazioni in materia). Alla luce del nuovo contesto geopolitico esso rimane rilevante e anzi, aumenta d'importanza, in quanto il ritardo nella riduzione delle emissioni di gas a effetto serra tenderà ad accrescere ulteriormente i rischi fisici e la loro trasmissione ai tradizionali rischi finanziari.

Per le banche centrali rimane inoltre importante sviluppare modelli per l'analisi degli impatti del cambiamento climatico sulle dinamiche dei prezzi delle materie prime, energetiche e non (si pensi agli aumenti del prezzo di alcuni beni alimentari generati da forti riduzione nei raccolti causate da siccità, o dai danni subiti da certi ecosistemi), e quindi sulle variabili chiave per la stabilità monetaria, quali crescita e inflazione.

Per le banche centrali che possiedono o gestiscono portafogli finanziari non legati alla politica monetaria rimane essenziale studiare e mitigare gli effetti dell'aumento del rischio climatico sui propri investimenti2.

Ugualmente, appare opportuno proseguire il lavoro mirante a ridurre e, in prospettiva, azzerare le emissioni nette delle operazioni aziendali della banca centrale, obiettivo coerente con l'esigenza di migliorare l'efficienza dei processi e degli impianti operativi (ad esempio quelli per la produzione delle banconote).

In sintesi, direi che per tutti questi aspetti l'evoluzione del contesto geopolitico non dovrebbe apportare significativi cambiamenti all'agenda delle banche centrali e delle autorità di vigilanza. Mi sembra che considerazioni analoghe valgano anche - per gli aspetti che rilevano - per l'attività degli intermediari finanziari.

Valutazioni diverse riguardano invece il tema del rischio di transizione. Sinora, secondo la narrazione prevalente, tale rischio originerebbe da due fonti principali: l'innovazione tecnologica e le politiche climatiche dei governi, e riguarderebbe principalmente le attività e le imprese connesse con le fonti fossili. Questo quadro cambia per almeno due motivi.

In primo luogo, il fatto che importanti giurisdizioni rallentino o arrestino i propri sforzi in materia di transizione non può non avere effetti sulle altre. Tra i due estremi dello spettro - quello in cui si realizza un equilibrio mondiale di tipo cooperativo in materia di clima, e quello opposto, in cui prevalgono i comportamenti opportunistici da parte dei singoli stati - ci siamo chiaramente spostati verso il secondo. Ciò determina, nel breve e medio periodo, una diminuzione del rischio di un abbandono (disordinato o meno) delle fonti fossili.

In secondo luogo, si registra un numero crescente di casi in cui reazioni avverse alla transizione climatica creano rischi per le imprese "verdi" e per i loro finanziatori. Si pensi alle azioni legali attivate da vari attori statunitensi contro le politiche di investimento sostenibile di alcuni fondi pensione e gestori del risparmio, o alle difficoltà registrate da imprese dell'eolico a seguito delle politiche della nuova amministrazione americana. Ma anche, ben prima delle elezioni negli Stati Uniti, ai fallimenti di grandi produttori europei di batterie, o alle azioni legali contro le politiche di transizione adottate da vari paesi in via di sviluppo3.

A questi rischi gravanti sulle imprese "verdi" si aggiungono quelli tipici delle grandi transizioni tecnologiche. L'esperienza storica indica che una transizione prende avvio con molte tecnologie in concorrenza tra loro, la gran parte delle quali soccombe a un limitato numero di tecnologie vincenti, impossibili da individuare ex ante.

In sintesi, se rimane probabilmente vero che le fonti fossili sono caratterizzate da rischio di transizione relativamente elevato, è oggi meno probabile che tale rischio si manifesti nel breve-medio periodo.

3. Conclusioni

Il nuovo contesto geopolitico mondiale sollecita riflessioni in materia di transizione ambientale da parte degli investitori e dei gestori del risparmio. Ne offro quattro, con la certezza che molte altre scaturiranno dalla discussione.

In primo luogo, il contesto attuale è caratterizzato da grande incertezza. È opportuno valutare con cautela quanto sta avvenendo, e attendere che gli orientamenti politici negli Stati Uniti, ma anche nell'UE, si chiariscano prima di trarre conclusioni sulle conseguenze per la transizione climatica e la finanza sostenibile. Vari indicatori suggeriscono che difficilmente la transizione si arresterà, anche se potrà richiedere più tempo di quanto sarebbe auspicabile4.

In secondo luogo, se è vero, come ho cercato di argomentare, che gran parte delle motivazioni di fondo che giustificavano un impegno sul fronte ambientale rimangono inalterate, la UE dovrebbe evitare il rischio di correzioni di rotta eccessive. Ad esempio, qualora la recente proposta di direttiva cosiddetta Omnibus venisse approvata nella sua versione attuale, il numero di imprese italiane soggette ad obblighi di reportistica di sostenibilità si ridurrebbe di circa l'85 per cento rispetto alle attuali previsioni della CSRD. Verrebbero esentate grandi imprese che già adottano la reportistica di sostenibilità, con risparmi marginali o nulli, mentre gli investitori verrebbero privati di informazioni importanti per una accurata valutazione dei rischi. Un provvedimento del genere andrebbe oltre l'obiettivo, auspicabile, di semplificare il quadro regolamentare, e potrebbe addirittura creare ulteriore complessità5.

In terzo luogo, per i gestori del risparmio è necessaria - oggi ancor più di ieri - un'opera di trasparenza e di verità. A mio modo di vedere, ci siamo lasciati alle spalle la fase in cui la finanza pareva destinata a guidare la transizione, "forzando" le imprese altamente inquinanti a decarbonizzare le proprie produzioni. C'è oggi maggiore consapevolezza del fatto che la finanza è un essenziale elemento abilitante, ma che le sorti della transizione dipendono da scelte che sono nelle mani dei governi e degli azionisti delle imprese non finanziarie, specie quelle ad alte emissioni. In questo contesto, il dovere fiduciario nei confronti della propria clientela dovrebbe indurre gli intermediari finanziari a chiarire ai risparmiatori che investire in sostenibilità può anche comportare una rinuncia al rendimento, incerta nel "se" e nel "quanto"6. Da una rilevazione della Consob sul mercato al dettaglio emerge con chiarezza che solo un numero relativamente ridotto di risparmiatori sarebbe disposto a questa rinuncia7, ma ciò può riflettere molte motivazioni, compresa una inadeguata comprensione dei fenomeni e degli obiettivi degli investimenti sostenibili. Gli operatori del risparmio gestito potrebbero svolgere un ruolo importante in questo ambito.

Infine, il quadro di frammentazione geopolitica incentiva gli investimenti per l'efficienza energetica di immobili e processi produttivi e per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Questi investimenti contribuiscono non solo alla transizione, ma anche a isolare il conto economico delle imprese e i bilanci familiari da shock ai prezzi dell'energia, e rafforzano la resilienza e l'autonomia strategica dei sistemi energetici nazionali, specie in paesi poveri di risorse fossili come il nostro8. L'industria del risparmio, in un quadro chiaro di indirizzo politico, potrebbe farsi promotrice di proposte miranti ad agevolare questi investimenti.

La Banca d'Italia continuerà a seguire con attenzione le tematiche di sostenibilità per tutti gli aspetti che rientrano nel proprio mandato, nella convinzione che la transizione climatica e ambientale sia necessaria per assicurare la stabilità finanziaria e la crescita economica del paese.

  1. 1 Cfr. ad esempio Joint Statement from the International Partners Group on the US Withdrawal from the Just Energy Transition Partnership in South Africa.
  2. 2 È questo il caso della Banca d'Italia. Cfr. Rapporto annuale sugli investimenti sostenibili e sui rischi climatici, giugno 2024.
  3. 3 Paolo Angelini, Intervento al Convegno "Le molteplici sfumature del cambiamento climatico attraverso le lenti della risoluzione delle controversie", organizzato da Unidroit e l'università Roma TRE, Roma, 8 novembre 2024.
  4. 4 Cfr. I. Faiella e E. Bernardini, Dalla rivoluzione all'involuzione verde?, in corso di pubblicazione sulla rivista Energia.
  5. 5 Per i paesi che hanno già recepito la CSRD nell'ordinamento nazionale (ad esempio, Italia e Francia) sarà necessario rimettere mano alla legge per evitare che una modifica sostanziale degli obblighi di rendicontazione già imposti a livello nazionale mini la parità di trattamento concorrenziale.
  6. 6 P. Angelini, Portfolio decarbonisation strategies: questions and suggestions, Questioni di Economia e Finanza n. 840, marzo 2024.
  7. 7 Consob, Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane, 2022.
  8. 8 In campo energetico si parla di «trilemma» per indicare l'impossibilità di conseguire contemporaneamente sicurezza degli approvvigionamenti, accessibilità della spesa energetica e sostenibilità ambientale. In realtà ciò vale nel breve-medio periodo; oltre tali orizzonti, una progressiva e ordinata riduzione delle fonti fossili aiuterebbe a risolvere il trilemma, contribuendo anche a mitigare gli effetti indesiderati della volatilità dei prezzi dell'energia.