Nel 2023 è proseguita la fase di progressivo indebolimento dell'attività economica umbra in atto dalla metà dello scorso anno. In base all'indicatore trimestrale dell'economia regionale (ITER) nel primo semestre il prodotto è cresciuto dell'1,3 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022, in linea con il dato italiano ma in forte rallentamento. L'indicatore coincidente Regiocoin-Umbria, che fornisce una stima dell'evoluzione delle componenti di fondo dell'economia regionale, mostra un peggioramento a partire dal mese di marzo; nella fase più recente è divenuto negativo.
Nei primi nove mesi dell'anno le vendite del settore industriale hanno evidenziato una modesta crescita. L'attività ha perso vigore in relazione alla debolezza della domanda sia interna sia estera, che si è riflessa anche sul clima di fiducia delle imprese. L'accresciuta incertezza sull'evoluzione della congiuntura e il sensibile aumento dei costi di finanziamento hanno frenato gli investimenti.
È proseguita l'espansione dell'attività edilizia, sebbene con un'intensità inferiore a quella registrata nel biennio precedente; alla minore spinta derivante dalle misure di incentivo fiscale si è contrapposta la crescita degli investimenti degli enti pubblici territoriali, che hanno cominciato a beneficiare dei progetti finanziati dal PNRR. Nel terziario si è affievolita la dinamica del commercio, che ha riflesso il brusco rallentamento dei consumi; il comparto turistico ha invece continuato a fornire un contributo ampiamente positivo grazie all'ulteriore robusto incremento delle presenze sia di italiani sia di stranieri.
La redditività delle imprese si è rafforzata; vi hanno contribuito l'attenuazione delle difficoltà legate all'approvvigionamento e ai rincari energetici e la dinamica salariale ancora modesta. Le disponibilità liquide sono rimaste su livelli elevati. L'aumento del costo opportunità di detenere fondi sui conti correnti ha indotto le imprese a riallocarli in attività con una più elevata remunerazione, a partire dai depositi a scadenza. I finanziamenti al settore produttivo hanno mostrato una flessione sempre più accentuata, a causa del calo della domanda di credito e dell'inasprimento dei criteri di offerta. Gli indicatori di deterioramento della qualità del credito si sono attestati su valori storicamente bassi.
Il numero di occupati ha ripreso a crescere. L'incremento ha riguardato esclusivamente i lavoratori dipendenti e ha consentito di completare il recupero dei livelli precedenti l'emergenza sanitaria. Le attivazioni nette di contratti sono cresciute per la componente a termine e, tra i settori, soprattutto nel turismo. Nonostante il rallentamento dell'inflazione rispetto ai massimi dello scorso anno, il potere di acquisto delle famiglie ha continuato a essere eroso. I depositi bancari sono diminuiti, anche per la ricomposizione del portafoglio a favore di attività più remunerative. Le richieste di mutui per l'acquisto di abitazioni si sono ridotte in misura significativa a causa dell'incremento dei tassi di interesse.
Le aspettative di breve periodo degli operatori economici regionali sono orientate in larga parte al pessimismo; su di esse gravano anche le possibili ricadute delle tensioni geopolitiche, accentuate dai recenti eventi in Medio Oriente. I piani aziendali prevedono un calo della spesa per investimenti; vi incidono condizioni di offerta di credito improntate a cautela, per il maggior rischio percepito dalle banche. Un impulso significativo alla domanda aggregata e alla trasformazione digitale ed ecologica del sistema economico è rappresentato dall'attuazione del PNRR: al 10 ottobre le risorse complessivamente assegnate agli enti territoriali della regione erano pari a 1,8 miliardi di euro.