N. 812 - I costi sociali dell’inflazione e la circolazione estera di dollari statunitensi

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di Alessandro Calza e Andrea Zaghinigiugno 2011

Il lavoro propone una stima della funzione di domanda dell’aggregato monetario M1 negli Stati Uniti depurato del circolante detenuto all’estero. In base all’ammontare di banconote da cento dollari inviate all’estero dai tre uffici di New York City, Miami e Los Angeles, la Riserva federale stima che almeno il 40 per cento del circolante statunitense sia detenuto all’estero.

Il lavoro sottolinea come l’utilizzo dell’aggregato M1 non depurato della componente estera abbia significative implicazioni sia per la stima dei costi sociali indotti dall’inflazione, sia per la gestione della politica monetaria. Infatti, da un lato induce una distorsione per eccesso nella stima della domanda di moneta dei residenti, dall’altro trascura il trasferimento di risorse dall’estero che si realizza a causa della tassa da inflazione sulla quota di dollari detenuta dai non residenti.

Applicando la metodologia tradizionale di Bailey e Friedman all’aggregato M1 depurato per il circolante detenuto all’estero, lo studio propone una valutazione dei costi sociali dell’inflazione negli Stati Uniti. Tali costi sono imputabili alla rinuncia ai servizi forniti dalla moneta nel facilitare gli scambi quando cresce il costo opportunità della sua detenzione, rappresentato dal tasso di interesse nominale.

I costi sociali dell’inflazione per i cittadini statunitensi risulterebbero significativamente minori rispetto a quelli ottenuti dalle stime presenti in letteratura, che non considerano la componente estera. Inoltre il trasferimento di risorse dall’estero fa si che il costo sociale sia minimizzato in corrispondenza di un livello positivo dell’inflazione (e quindi del tasso di interesse nominale), contrariamente a quanto postulato dalla regola aurea di Friedman, che suggerisce di mantenere il tasso di interesse nominale a zero.

A titolo di confronto, la riduzione a zero dell’inflazione da un livello del 10 per cento, indurrebbe un beneficio sociale dello 0,1 per cento del PIL, contro stime precedenti comprese tra lo 0,3 e il 3 per cento.

Pubblicato nel 2011 in: The B.E. Journal of Macroeconomics, v. 11, 1, Art. 12

Testo della pubblicazione