N. 583 - Il valore dei contratti a termine: evidenza da un campione di imprese italiane

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di P. Cipollone e A. Guelfimarzo 2006

Nel lavoro si stima il valore monetario che le imprese attribuiscono alla possibilità di assumere lavoratori con contratti a termine.

L’esercizio è condotto su un campione di circa 300 imprese del settore metalmeccanico per gli anni 1997-2001. Il valore della flessibilità è determinato esaminando la reazione di queste imprese all’introduzione del credito di imposta previsto dall’articolo 7 della legge 300 del 2000 (la legge finanziaria per l’anno 2001) a favore delle imprese che assumevano lavoratori a con contratti a tempo indeterminato. Questa norma implicitamente poneva alle imprese la scelta tra l’utilizzo di un contratto senza costi di licenziamento e uno con costi di licenziamento ma che al contempo permetteva un risparmio oltre 400 euro al mese (600 per le imprese del sud) sul costo del lavoro di un lavoratore a tempo indeterminato.

La convenienza dello scambio era diversa da impresa ad impresa a seconda del diverso livello del costo del lavoro; è possibile perciò osservare come l’assunzione con contratti di lavoro a tempo indeterminato sia variata in funzione del risparmio conseguito da ciascuna impresa.

I risultati del lavoro indicano che le imprese hanno valutato la possibilità di assumere l’1 per cento dei nuovi ingressi con un contratto a tempo determinato quanto una riduzione del costo del lavoro del 1,3-2,8 per cento. Ne segue che l’aumento di circa 8 punti percentuali della quota di persone assunte con contratto a tempo determinato nel settore privato dell’economia italiana, verificatosi tra il 1995 e il 2003, è giudicato dalle imprese equivalente ad una riduzione del costo del lavoro dei contratti a tempo indeterminato di 10,4- 22,4 punti percentuali. Poiché l’elasticità di lungo periodo dell’occupazione al salario è stimata in Italia intorno a -0,3, l’accresciuta flessibilità del nostro mercato del lavoro grazie all’introduzione dei contratti a termine può spiegare una quota tra il 37 e l’80 per cento della crescita dell’occupazione del settore privato nello stesso periodo.

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