N. 466 - Cosa si impara dall’analisi di dati retrospettivi sul consumo?

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di E. Battistin, R. Miniaci e G. Weberfebbraio 2003

L’indagine campionaria ideale sui comportamenti economici delle famiglie dovrebbe fornire informazioni di buona qualità su una molteplicità di aspetti: sull’offerta di lavoro dei singoli componenti la famiglia, sui loro redditi, sulla ricchezza, nonché sulla spesa per i diversi beni di consumo. I dati sugli acquisti sono particolarmente difficili da raccogliere: verosimilmente l’informazione di migliore qualità si ottiene richiedendo agli intervistati di compilare un “libretto degli acquisti” per un determinato periodo di tempo (come nella Family Expenditure Survey britannica e nell’Indagine sui Bilanci delle Famiglie dell’ISTAT). Ma compilare tali libretti è laborioso, e per questa ragione molte indagini campionarie ricorrono a misure dei consumi basate su domande retrospettive (recall questions, come nel Panel Study of Income Dynamics negli Stati Uniti).

In questo lavoro valutiamo il contenuto informativo delle domande retrospettive per la misurazione della spesa delle famiglie. A tal fine utilizziamo due indagini italiane, quella sulla Ricchezza ed il Reddito delle Famiglie - condotta dalla Banca d’Italia - e quella sui Bilanci delle Famiglie, realizzata dall’ISTAT. Nella prima vengono poste “recall questions” sulla spesa complessiva per l’acquisto di beni non durevoli e di generi alimentari. Nella seconda, alle famiglie viene richiesto di compilare il “libretto dei consumi”.

L’analisi evidenzia che la misura dei consumi fondata sulle domande retrospettive è affetta da problemi di arrotondamento e concentrazione attorno a punti focali, sia per la spesa complessiva sia per quella per i generi alimentari. Modellando in maniera opportuna tali processi di arrotondamento e concentrazione mostriamo che la distribuzione sottostante dei consumi alimentari ottenuta sulla base delle “recall questions” nell’indagine della Banca d’Italia risulta essere uguale a quella dell’indagine ISTAT, mentre lo stesso non accade per quanto riguarda i consumi non durevoli complessivi.

Come si possono utilizzare le due fonti statistiche per imputare una misura alternativa dei consumi non durevoli nell’indagine con informazioni basate su domande retrospettive? La procedura standard richiede l’esistenza di un insieme di variabili esplicative comuni tra indagini quali composizione demografica, istruzione, regione di residenza ed età del capofamiglia. La regressione della variabile d’interesse (consumo dei non durevoli) su questo insieme di variabili nell’indagine con la migliore qualità dell’informazione (quella che prevede la compilazione del libretto degli acquisti) permette quindi di predire la variabile d’interesse anche per le osservazioni nell’indagine con informazioni di minore qualità.

Qui proponiamo invece di considerare i dati sui consumi alimentari, dopo aver tenuto conto degli errori di arrotondamento e di concentrazione, come informazione aggiuntiva utile per imputare il consumo dei beni non durevoli nell’indagine basata su domande retrospettive. Tale procedura richiede di imputare una nuova misura di consumi alimentari per ogni osservazione, passo che risulta essere informativo sulla struttura dell’errore di misura che affligge il dato sui consumi alimentari derivati dalle domande retrospettive.

Il confronto tra l’imputazioni ottenute sulla base dei due metodi (sfruttando o non sfruttando l’informazione sui consumi alimentari) mostra che sebbene esse abbiano proprietà statistiche simili, le due distribuzioni dei consumi così ottenute hanno implicazioni economiche marcatamente differenti.

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