N. 374 - Strategic Monetary Policy with Non-Atomistic Wage-Setters

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di Francesco Lippigiugno 2000

Il lavoro utilizza un modello teorico per studiare i possibili effetti dell’orientamento anti-inflazionistico della banca centrale (“conservatorismo”) sui comportamenti in sede di contrattazione salariale. Nella letteratura economica è diffusa la proposizione secondo cui, in presenza di aspettative razionali, un aumento del “conservatorismo” della politica monetaria riduce il tasso medio d’inflazione ma non ha effetti su quello di disoccupazione. Nel modello presentato, invece, il “conservatorismo” della politica monetaria può influenzare anche il livello medio (o tasso “naturale”) di disoccupazione, se sul mercato del lavoro operano sindacati sufficientemente grandi da internalizzare le ripercussioni inflazionistiche delle proprie azioni.
Il modello è basato su una configurazione oligopolistica del mercato del lavoro. In presenza di una banca centrale fortemente avversa all’inflazione, ogni sindacato può essere indotto a strategie salariali più moderate perché realizza che l’impatto di un aumento salariale sull’occupazione dei propri iscritti è maggiore. In termini intuitivi, si riduce la possibilità di “trasferire” su altri soggetti parte del costo derivante da un aumento salariale. La riduzione di tale esternalità accresce la disciplina salariale e favorisce l’occupazione, attraverso la predisposizione di un contesto economico in cui ogni agente internalizza pienamente le conseguenze delle proprie azioni.

Pubblicato nel 2003 in: Review of Economic Studies, v. 70, 4, pp. 909-919

Testo della pubblicazione