N. 586 - Il CAPM e l'indicatore di appetito per il rischio: differenze teoriche e somiglianze empiriche

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di M. Pericoli e M. Sbraciamarzo 2006

Le forti oscillazioni registrate dai prezzi delle attività finanziarie negli ultimi anni sono state di sovente spiegate sulla base di mutamenti nell’avversione al rischio degli investitori. Tali mutamenti vengono identificati, generalmente, in base all’andamento di alcuni indicatori creati sia da società private, sia da istituzioni finanziarie internazionali. In questo lavoro si esaminano le proprietà di uno dei più recenti indicatori, denominato Risk Appetite Index (RAI), rappresentato dalla correlazione di rango tra i rendimenti attesi e la rischiosità delle attività finanziarie: secondo i proponenti, variazioni di questa correlazione sarebbero riconducibili a mutamenti nella propensione degli investitori a sopportare rischi finanziari.

Ipotizzando che i prezzi delle attività finanziarie vengano fissati secondo quanto previsto dal Capital Asset Pricing Model (CAPM), il modello più diffuso in finanza, il lavoro dimostra che le condizioni teoriche sotto le quali il RAI identifica correttamente l’avversione al rischio sono eccessivamente restrittive. Esse richiedono che tutte le attività nei portafogli degli investitori abbiano lo stesso peso o, in alternativa, che le distribuzioni dei rendimenti delle attività finanziarie siano mutuamente indipendenti, che gli shock che colpiscono la rischiosità delle diverse attività siano idiosincratici e che il numero di attività disponibili sia elevato.

Il lavoro inoltre esamina empiricamente il comportamento del RAI e lo confronta con quello di un indicatore di avversione al rischio basato sulla stima di un CAPM — un modello che non richiede l’adozione di ipotesi particolarmente restrittive. Il confronto viene fatto sulla base dei prezzi delle azioni degli indici Dow Jones Euro Stoxx per l’area dell’euro e Standard & Poor’s 500 per gli Stati Uniti, su dati mensili dal gennaio del 1973 al novembre del 2005. I risultati mostrano che, nonostante le marcate differenze da un punto di vista teorico, le stime empiriche dei due indicatori sono sorprendentemente simili. Questo apparente paradosso è spiegato dal fatto che il RAI può costituire una buona approssimazione della stima dell’avversione al rischio basata sul CAPM qualora il rapporto tra la varianza dei rendimenti e la varianza della rischiosità delle attività finanziarie sia costante : una condizione soddisfatta nel nostro campione.

Alla luce di tali risultati, sebbene empiricamente le stime basate sul CAPM e il RAI siano molto simili, quest’ultimo non presenta alcun vantaggio rispetto al primo indicatore. Infatti: esso non appare più semplice da calcolare; non è derivato dalla stima di alcuna equazione e, pertanto, non è possibile calcolare delle statistiche per valutare la sua bontà nello spiegare i dati; ha il limite di fornire indicazioni solo sui cambiamenti dell’avversione al rischio e non sul suo livello. Nel lungo periodo esaminato in questo lavoro, inoltre, si sono osservate alcune fasi in cui i due indicatori forniscono informazioni discordanti, in quanto la condizione sulle varianze specificata in precedenza non è soddisfatta. Ciò suggerisce, quindi, che l’utilizzo del RAI sia sempre preceduto da una analisi preliminare dell’andamento del rapporto tra la varianza dei rendimenti e quella della rischiosità delle attività finanziarie, rendendo l’impiego del RAI ancora più complesso.

Pubblicato nel 2009 in: International Finance, v. 12, 2, pp. 123-150