N. 444 - Sulla ‘conquista’ dell’inflazione

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di Andrea Gerali e Francesco Lippiluglio 2002

Il periodico susseguirsi di fasi inflative e deflative osservato nei paesi industrializzati è stato recentemente interpretato da Sargent (1999) come la conseguenza di un ciclico processo di apprendimento, in cui continuamente si modificano le stime a disposizione dell’autorità di politica monetaria sull’effettiva relazione empirica che lega il tasso di disoccupazione al tasso d’inflazione (Phillips curve). Questa teoria riveste particolare importanza, più che per il passato, per le sue implicazioni future; difatti, nel mondo descritto da Sargent, il potenziale per un progressivo avvitamento inflazionistico delle politiche economiche è sempre in agguato e la capacità di promuovere la stabilità dei prezzi è un fenomeno non destinato a durare nel tempo.

Il lavoro si propone di analizzare la plausibilità di tale scenario, valutando come le conclusioni del modello teorico di Sargent dipendano dalle specifiche ipotesi adottate, in particolare da quella sul grado di avversione all’inflazione del banchiere centrale.

Un primo risultato dell’analisi mostra che il banchiere centrale “conservatore” (cioè altamente avverso all’inflazione) cade meno spesso nell’illusione statistica di ritenere che esistano i margini per sfruttare la curva di Phillips per ridurre la disoccupazione (al costo di una moderata inflazione supplementare). Le politiche adottate dal banchiere conservatore inducono una bassa variabilità nel tasso d’inflazione e gli impediscono di esplorare a sufficienza lo spazio dei possibili risultati; si troverà quindi più raramente di fronte a una evidenza empirica che lo convinca dell’esistenza di una curva di Phillips inclinata negativamente, su cui far leva per disinflazionare l’economia. In questa situazione si troverà invece più di frequente un banchiere centrale più preoccupato della crescita, sotto la cui guida si produrrà un certo numero di episodi di rapida (benché temporanea) disinflazione. Ciononostante, e questo è il secondo risultato, quest’ultimo non riesce ad ottenere nel lungo periodo un tasso di inflazione medio migliore del banchiere conservatore, per il quale risulta premiante la capacità di conseguire tassi d’inflazione molto bassi in condizioni normali, seppur riesca raramente a indurre disinflazioni estreme.

Nel complesso pare dunque che, anche nel contesto di un modello con incertezza e apprendimento, un banchiere centrale con un chiaro e specifico mandato a garantire la stabilità dei prezzi rappresenti la condizione migliore per ridurre permanentemente il tasso d’inflazione di un’economia.

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