L'economia internazionale e l'area dell'euro
[1] Nel 2016 l’economia globale è cresciuta del 3,1 per cento, un ritmo inferiore alle attese; le prospettive sono migliorate nei primi mesi del 2017. L’espansione nei paesi emergenti e in via di sviluppo è stata contenuta. Gli Stati Uniti e il Regno Unito, pur mostrando una solida dinamica di fondo, hanno fornito alla crescita mondiale un contributo modesto, solo in parte compensato dall’espansione del Giappone e dell’area dell’euro.
Restano incerte le implicazioni del referendum britannico del 23 giugno sull’uscita del Regno Unito dall’Unione europea (UE). Non si è finora riscontrato un peggioramento delle prospettive di crescita di breve termine, anche per le politiche fortemente espansive messe in atto dalle autorità britanniche; gli effetti di medio e lungo periodo dipenderanno dal negoziato con la UE sulle condizioni di uscita, che si preannuncia eccezionalmente complesso.
L’inflazione globale è leggermente risalita, grazie al recupero dei prezzi dei beni energetici, ma rimane ancora debole la componente di fondo. La Riserva federale ha proseguito con il rialzo dei tassi, prospettando una normalizzazione della politica monetaria lievemente più rapida rispetto alle attese; il dollaro si è rafforzato. In Giappone e nel Regno Unito sono state adottate nuove misure espansive.
Le condizioni finanziarie sono nel complesso migliorate, ma la riduzione della volatilità sui mercati finanziari si è accompagnata a un forte aumento dell’incertezza sulle politiche economiche. I rendimenti dei titoli a lunga scadenza dei principali paesi avanzati sono aumentati dopo le elezioni statunitensi; i mercati azionari hanno raggiunto nuovi massimi. Nei paesi emergenti si è interrotto il deflusso di capitali.
[2] Il commercio mondiale nel 2016 è cresciuto ancora in misura modesta, ma ha recuperato alla fine dell’anno. Esso ha risentito della debolezza generale degli investimenti. L’accelerazione osservata nel quarto trimestre dovrebbe proseguire nell’anno in corso.
L’eccesso di offerta che ha caratterizzato il mercato del petrolio nello scorso biennio si è progressivamente riassorbito, favorendo un rialzo dei corsi dai minimi di inizio anno. Vi ha contribuito il taglio della produzione annunciato in novembre dal cartello dell’OPEC; la ripresa dei prezzi che ne è derivata è stata frenata dalla riattivazione dell’offerta da parte dei produttori non convenzionali negli Stati Uniti.
Anche il ribasso delle quotazioni delle materie prime non energetiche si è interrotto, grazie alla ripresa della domanda a livello internazionale e alla politica di bilancio espansiva della Cina, che ha sostenuto gli investimenti in infrastrutture e in costruzioni.
Persistono gli squilibri di parte corrente tra paesi. È proseguito il peggioramento dei saldi delle economie emergenti più dipendenti dalle esportazioni di petrolio; tra i paesi strutturalmente in avanzo si è ridimensionato il saldo della Cina, ma si sono ampliati quelli del Giappone e dell’area dell’euro. Le riserve valutarie cinesi sono ancora fortemente scese in seguito a ripetuti interventi delle autorità volti a contrastare le aspettative di deprezzamento del renminbi. Il calo si è interrotto alla fine dello scorso anno, anche per l’introduzione di nuovi controlli sui deflussi di capitali.
[3] Nell’area dell’euro si è consolidata la ripresa dell’attività economica, sostenuta dall’accelerazione degli investimenti e dei consumi, ma frenata dall’interscambio con l’estero. Nel 2016 il PIL è cresciuto dell’1,8 per cento; la ripresa è proseguita nel primo trimestre del 2017.
L’inflazione al consumo è stata quasi nulla nella media del 2016, ben lontana dal livello coerente con la definizione di stabilità dei prezzi della Banca centrale europea (BCE). Nella seconda parte dell’anno è gradualmente salita, superando di poco l’1 per cento in dicembre e toccando l’1,7 nel primo trimestre del 2017. L’aumento ha riflesso soprattutto la ripresa delle quotazioni del petrolio; l’inflazione al netto dei prodotti alimentari ed energetici è invece rimasta bassa, poco sotto l’1 per cento.
L’orientamento della politica di bilancio dell’area è stato pressoché neutrale nel 2016 e continuerebbe a rimanere tale nell’anno in corso. In seno alla Commissione e al Consiglio europeo prosegue il dibattito sul ruolo della politica di bilancio discrezionale ai fini della stabilizzazione macroeconomica nell’area dell’euro.
Pochi progressi sono stati compiuti dopo la diffusione nel 2015 del rapporto dei cinque Presidenti, finalizzato a rafforzare l’assetto istituzionale dell’Unione monetaria. Il processo di completamento dell’Unione bancaria ha segnato una battuta d’arresto, rispecchiando differenze di opinioni tra i paesi che ritengono opportuna una maggiore condivisione dei rischi macroeconomici e quelli che reputano necessario in primo luogo un ulteriore contenimento di tali rischi, anche con il ricorso a nuove misure prudenziali. In coincidenza con il sessantesimo anniversario della firma del Trattato di Roma, la Commissione ha pubblicato un libro bianco nel quale vengono prospettati alcuni scenari alternativi sul futuro della UE.
[4] Le misure espansive adottate dal Consiglio direttivo della BCE hanno decisamente ridotto il rischio di deflazione, in un contesto caratterizzato da una stabile ma moderata crescita dell’attività economica, da una prolungata debolezza delle pressioni inflazionistiche e da un’elevata incertezza sull’evoluzione dell’economia globale. La politica monetaria resta finalizzata all’obiettivo di assicurare in prospettiva il graduale ritorno dell’inflazione su livelli coerenti con la definizione di stabilità dei prezzi.
Per due volte il Consiglio direttivo ha rafforzato lo stimolo monetario. Nel marzo 2016, a fronte dell’acuirsi dei timori sulla crescita mondiale e della forte volatilità nei mercati finanziari, il Consiglio ha ridotto i tassi ufficiali, ha ampliato la dimensione e la composizione del programma di acquisto di attività finanziarie e ha introdotto una seconda serie di operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine. Nella riunione di dicembre ha esteso la durata del programma di acquisto di titoli almeno sino alla fine del 2017.
La dinamica di fondo dei prezzi è rimasta tuttavia molto debole senza mostrare una tendenza stabile all’aumento. Per consolidare la ripresa dell’inflazione nel medio termine il Consiglio ha confermato la necessità di mantenere un’intonazione della politica monetaria fortemente espansiva; ha ribadito di attendersi che i tassi ufficiali restino su livelli pari o inferiori a quelli attuali per un prolungato periodo di tempo, ben oltre la durata degli acquisti netti di attività.
L'economia italiana
[5] Nel 2016 la crescita dell’economia italiana è proseguita (0,9 per cento), sostenuta soprattutto dal forte impulso della politica monetaria, dalla politica di bilancio moderatamente espansiva e da quotazioni petrolifere ancora contenute.
L’espansione dell’attività economica ha interessato tutte le principali aree del paese ed è continuata nel primo trimestre di quest’anno. Il prodotto resta tuttavia inferiore di sette punti percentuali rispetto a quello precedente la crisi, con un ritardo più ampio per il Mezzogiorno. L’attività economica si mantiene molto al di sotto del suo potenziale.
La domanda nazionale, valutata al netto delle scorte, ha fornito un contributo alla crescita più elevato rispetto al 2015. I consumi delle famiglie, pur rallentando, hanno sostenuto l’attività per il terzo anno consecutivo e la spesa in investimenti si è rafforzata. I consumi delle Amministrazioni pubbliche sono tornati a salire dopo cinque anni di calo, mentre gli investimenti pubblici sono ancora scesi. Il contributo dell’interscambio commerciale alla crescita del PIL, negativo nel 2015, si è sostanzialmente annullato per il rallentamento delle importazioni.
[6] La ripresa della produzione si è diffusa in misura più omogenea tra i diversi settori economici: l’attività ha continuato a recuperare nell’industria, ha lievemente accelerato nei servizi e ha interrotto una lunga fase recessiva nell’edilizia.
La spesa per investimenti fissi, soprattutto in beni strumentali, si è rafforzata; per la prima volta dal 2007 il recupero si è esteso agli investimenti in costruzioni. La ripresa dell’accumulazione è stata favorita dalle condizioni monetarie e finanziarie espansive, dai nuovi incentivi fiscali introdotti dal Governo e dalla migliorata fiducia degli imprenditori. Tuttavia, gli indicatori che misurano l’incertezza sulle politiche economiche, a livello europeo e nazionale, rimangono su valori elevati.
La redditività delle imprese è cresciuta. Il calo dei tassi di interesse ha contribuito alla riduzione degli indicatori di vulnerabilità finanziaria e al contenimento delle esigenze di finanziamento. Il rapporto tra autofinanziamento e investimenti ha raggiunto il valore più elevato da oltre quindici anni.
Le condizioni di offerta del credito sono migliorate, ma i prestiti alle imprese stentano a espandersi, in larga parte per la modesta domanda di finanziamenti. Resta ampia l’eterogeneità nell’andamento del credito tra le diverse tipologie di aziende.
[7] Si è rafforzata la crescita del reddito disponibile delle famiglie, beneficiando soprattutto della prosecuzione della ripresa dell’occupazione. Gli indici di disuguaglianza, in lieve riduzione tra il 2014 e il 2015, sono rimasti invariati, ma resta alto il numero di persone in condizioni di disagio economico; l’indicatore di povertà assoluta si è mantenuto su valori elevati.
I consumi hanno continuato a espandersi, sostenuti dalle migliori prospettive di reddito e dalle favorevoli condizioni creditizie. Nel corso dell’anno gli indicatori del clima di fiducia delle famiglie sono scesi, ma restano elevati. La propensione al risparmio si è stabilizzata su livelli molto inferiori a quelli medi dello scorso decennio.
La ricchezza delle famiglie è cresciuta, riflettendo il maggior flusso di risparmio; a fronte di una stabilità del valore delle attività finanziarie, quello delle attività reali è salito. Sul mercato immobiliare sono aumentate le compravendite di abitazioni e sono emersi segnali di recupero delle quotazioni.
Le famiglie hanno accresciuto i depositi e gli investimenti in strumenti del risparmio gestito; questi ultimi, anche attraverso acquisti di titoli esteri, hanno agevolato una maggiore diversificazione del rischio di portafoglio. I debiti finanziari delle famiglie hanno accelerato, sospinti dalle favorevoli condizioni di finanziamento, dal miglioramento delle prospettive del mercato immobiliare e dalla ripresa del reddito disponibile.
[8] È continuata e si è diffusa l’espansione dell’occupazione iniziata nella seconda metà del 2014. La crescita della domanda di lavoro si è estesa anche alle categorie maggiormente colpite dalla precedente lunga recessione: i più giovani, i meno istruiti e i lavoratori delle regioni meridionali. Nel settore privato il numero di lavoratori dipendenti, sostenuto dai forti sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato, è tornato sui livelli antecedenti la crisi. Sono ancora aumentate le posizioni lavorative permanenti. Nei primi mesi del 2017 la dinamica complessiva dell’occupazione è rimasta positiva grazie soprattutto a posizioni lavorative a termine.
I margini di capacità lavorativa inutilizzata restano ampi. Le ore lavorate per occupato rimangono inferiori di circa cinque punti percentuali rispetto ai livelli precrisi. Anche per effetto di un significativo aumento dell’offerta di lavoro, il tasso di disoccupazione si è ridotto di soli due decimi di punto, all’11,7 per cento, un livello ancora quasi doppio rispetto a quello del 2007.
La crescita dell’offerta di lavoro rispecchia la tendenza all’aumento dei livelli di istruzione media della popolazione e della partecipazione femminile, in atto già dal periodo precedente la crisi. Vi hanno contribuito anche le recenti riforme pensionistiche e, lo scorso anno, la riduzione del numero di coloro che si dichiarano scoraggiati nella ricerca di un impiego. Il tasso di attività rimane tuttavia di oltre otto punti inferiore a quello dell’area dell’euro.
La dinamica delle retribuzioni contrattuali orarie si è ulteriormente indebolita, seguendo il rallentamento dei prezzi e delle attese di inflazione in atto dalla fine del 2013. Alcuni rilevanti accordi rinnovati nel 2016 hanno apportato significative modifiche all’assetto contrattuale prevalente negli anni precedenti.
[9] Nella media del 2016 l’inflazione in Italia è stata appena negativa. Alle pressioni deflazionistiche provenienti dall’estero si è accompagnata la debolezza dell’inflazione di origine interna; a quest’ultima ha contribuito la fiacca dinamica salariale, frenata dal livello di disoccupazione ancora elevato e dalle aspettative di bassa inflazione progressivamente incorporate nei nuovi contratti.
Nonostante l’inflazione di fondo resti debole, la dinamica dei prezzi è risalita dall’autunno e nei primi mesi del 2017 ha raggiunto i valori più elevati degli ultimi quattro anni, risentendo soprattutto del rincaro del greggio.
La competitività di prezzo delle imprese italiane è sensibilmente migliorata negli ultimi anni; nel 2016 è rimasta stabile nei confronti dei partner dell’area dell’euro; è lievemente diminuita rispetto agli altri paesi, per effetto dell’apprezzamento registrato dalla moneta comune all’inizio dell’anno.
[10] L’avanzo corrente della bilancia dei pagamenti è aumentato e ha raggiunto il 2,6 per cento del PIL, grazie al miglioramento del saldo dei redditi da capitale e alla contrazione del deficit energetico. Il saldo rimarrebbe ampiamente positivo anche in termini strutturali, ossia tenendo conto degli effetti del ciclo economico sfavorevole sulle importazioni; vi contribuiscono il buon andamento delle esportazioni e la riduzione dei prezzi energetici.
Le esportazioni di beni hanno tenuto il passo della domanda proveniente dai mercati di sbocco; è rimasta stabile anche la quota dell’Italia sul commercio mondiale. Le importazioni hanno continuato a crescere, anche se meno rispetto al 2015.
L’ampliamento del saldo passivo della Banca d’Italia sul sistema dei pagamenti TARGET2 ha rispecchiato, come in altri paesi, la redistribuzione attraverso vari canali della liquidità in eccesso immessa dall’Eurosistema. È proseguito il processo di ricomposizione dei portafogli degli investitori italiani verso titoli esteri, in larga parte quote di fondi comuni; le banche residenti hanno diminuito la raccolta sul mercato interbancario internazionale e gli investitori esteri hanno ridotto i loro stock di titoli italiani, in particolare di quelli a medio e a lungo termine.
È diminuito in misura cospicua il passivo sull’estero dell’Italia, sceso nel 2016 al 14,9 per cento. La riduzione del saldo debitorio della posizione patrimoniale sull’estero, pari a ben 10,4 punti percentuali di PIL rispetto al picco raggiunto alla fine del 2013, è attribuibile per quasi due terzi al surplus di conto corrente.
[11] Nel 2016 l’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche in rapporto al PIL è diminuito dal 2,7 al 2,4 per cento, riflettendo sia la riduzione della spesa per interessi sia l’aumento dell’avanzo primario. Il rapporto tra il debito e il prodotto è salito dal 132,1 al 132,6 per cento; al netto della variazione delle disponibilità liquide del Tesoro è tuttavia rimasto pressoché stabile. La politica di bilancio ha privilegiato l’obiettivo di non ostacolare l’irrobustirsi della ripresa economica, pur mirando a mantenersi all’interno dei margini di flessibilità stabiliti dalle regole europee. Anche nel 2017 è previsto un orientamento espansivo.
Nel Documento di economia e finanza dell’aprile 2017, il Governo ha delineato i programmi per i conti pubblici per il triennio 2018-2020. L’indebitamento netto scenderebbe dal 2,1 per cento del prodotto atteso per il 2017 all’1,2 il prossimo anno e raggiungerebbe un sostanziale pareggio nel 2019, in termini nominali e strutturali. L’incidenza del debito sul prodotto comincerebbe a ridursi nel 2017, sebbene lievemente; il calo proseguirebbe a un ritmo più sostenuto nei tre anni successivi. La significativa discesa del disavanzo programmata per il 2018 è in gran parte connessa con l’attivazione delle clausole di salvaguardia in precedenza procrastinate, che il Governo si propone di sostituire con misure da specificarsi in sede di definizione della manovra di bilancio.
[12] Il rilancio della crescita richiede di rimuovere gli ostacoli allo sviluppo del sistema produttivo posti dall’eccessiva regolamentazione di alcuni mercati e dalle inefficienze della giustizia civile e della Pubblica amministrazione.
È ancora all’esame del Parlamento la prima legge annuale sulla concorrenza, prevista fin dal 2009 per dare continuità e sistematicità agli interventi di liberalizzazione e presentata due anni fa.
In tema di disciplina dei fallimenti e delle esecuzioni immobiliari, numerosi sono stati gli interventi disposti nell’ultimo biennio con primi effetti positivi. Gli strumenti di gestione delle crisi di impresa restano però nel complesso poco efficaci, anche per inefficienze nell’attività dei tribunali.
Nel settore della giustizia civile le misure adottate negli anni scorsi hanno contribuito a deflazionare il nuovo contenzioso e a ridurre il carico dei procedimenti pendenti; le ricadute sul funzionamento del sistema restano tuttavia ancora limitate. Permangono elevate differenze nella produttività dei diversi tribunali, in generale peggiore nel Mezzogiorno, conseguenza anche di persistenti disfunzioni sotto il profilo organizzativo.
È proseguito il processo di riforma volto a migliorare la qualità dell’azione pubblica: è stata completata la revisione della normativa sugli appalti; si è concluso l’iter della riforma della Pubblica amministrazione, la cui efficacia può essere tuttavia indebolita dai mancati interventi sulla dirigenza pubblica.
[13] La qualità del credito delle banche italiane ha beneficiato della ripresa dell’economia e delle condizioni monetarie espansive. L'alta incidenza dei crediti deteriorati è conseguenza della prolungata e profonda recessione che ha generato elevati flussi di insolvenze delle imprese; vi contribuisce anche la durata delle procedure di recupero. Nel 2016 il flusso di nuovi crediti deteriorati in rapporto ai prestiti è sceso ai livelli registrati prima della crisi finanziaria; la loro consistenza, al netto delle rettifiche di valore, si è contratta di 24 miliardi; l’incidenza sul totale dei crediti verso la clientela si è ridotta dal 10,8 al 9,4 per cento.
Il credito al settore privato non finanziario ha ripreso a espandersi, seppure a ritmi molto contenuti. I finanziamenti alle famiglie e alle imprese di grandi dimensioni sono aumentati, mentre quelli alle imprese più piccole hanno continuato a ridursi.
La raccolta delle banche è lievemente cresciuta; l’aumento del rifinanziamento presso l’Eurosistema e dei depositi da clientela ha compensato la riduzione della raccolta obbligazionaria.
Il margine operativo delle banche ha risentito del calo dei ricavi e dell’aumento dei costi connessi con i piani di ristrutturazione; la scelta di alcuni intermediari di aumentare significativamente il grado di copertura dei prestiti deteriorati si è riflessa in consistenti rettifiche di valore e in un utile netto complessivamente negativo. Il grado di patrimonializzazione è rimasto stabile se si tiene conto dell’aumento di capitale completato dal gruppo UniCredit nel primo trimestre dell’anno in corso.
Continua il riassetto del sistema bancario italiano. Nel 2016 è stata varata una riforma del settore del credito cooperativo per favorirne il rafforzamento patrimoniale. Otto delle dieci banche popolari interessate dalla riforma del 2015 hanno completato la trasformazione in società per azioni.
Alla fine del 2016 il Governo ha introdotto misure di sostegno alle banche. Banca Monte dei Paschi di Siena, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno emesso obbligazioni avvalendosi della garanzia pubblica e hanno presentato istanza per accedere alla ricapitalizzazione pubblica precauzionale.
Nella prima metà di quest’anno si è perfezionata la cessione a Unione di Banche Italiane (UBI Banca) di tre delle quattro banche ponte costituite in seguito alla risoluzione nel novembre del 2015 di quattro banche in amministrazione straordinaria. È stato inoltre stipulato il contratto per la cessione della rimanente banca ponte a Banca Popolare dell'Emilia Romagna (BPER Banca).
[14] Nel 2016 i mercati finanziari italiani hanno risentito di episodi di volatilità connessi soprattutto con la crescente incertezza sull’evoluzione delle politiche economiche a livello europeo e globale. L’impatto di tali tensioni è stato tuttavia contenuto dall’orientamento fortemente espansivo della politica monetaria nell’area dell’euro e dalle aspettative favorevoli suscitate dal consolidamento della ripresa economica. Le preoccupazioni sulla solidità del settore bancario emerse in alcune fasi dell’anno si sono affievolite all’inizio del 2017, in seguito all’esito molto positivo di alcune operazioni di ricapitalizzazione e all’avvio di altre iniziative.
Sono aumentati i differenziali di rendimento dei titoli di Stato con i titoli tedeschi, sebbene i tassi di interesse restino complessivamente su livelli molto bassi. Per le imprese italiane le condizioni di finanziamento sui mercati obbligazionari sono ulteriormente migliorate, grazie a una marcata diminuzione dei rendimenti e dei premi per il rischio di credito. Vi ha contribuito l’estensione degli acquisti di attività finanziarie da parte dell’Eurosistema alle obbligazioni emesse da società non bancarie. La raccolta di capitali da parte delle società non finanziarie è aumentata sui mercati azionari, mentre è lievemente diminuita su quelli obbligazionari.
I corsi azionari della borsa italiana sono scesi nel 2016, ma hanno poi registrato un ampio rialzo nei primi mesi del 2017. Lo scorso anno l’indice generale del mercato azionario è diminuito dell’8 per cento; quello relativo al settore bancario di oltre un terzo. Tra gennaio e maggio del 2017 l’indice generale ha più che recuperato le perdite dello scorso anno; anche le quotazioni del settore bancario sono risalite significativamente.
[15] La debolezza della produttività rappresenta il principale freno alla crescita economica di lungo periodo dell’Italia. Dalla seconda metà degli anni novanta la sua dinamica è stata modesta sia nel confronto storico sia rispetto agli altri principali paesi dell’area dell’euro. A ciò ha contribuito soprattutto la crescita contenuta della produttività totale dei fattori e, negli anni più recenti, la riduzione della intensità di capitale.
L’andamento è stato però fortemente differenziato tra comparti produttivi e imprese: la produttività è nuovamente in crescita nella manifattura dai primi anni duemila, mentre resta stagnante nei servizi privati non finanziari. Tra le imprese, il ritardo di produttività rispetto ai principali partner europei è esclusivamente imputabile alle aziende più piccole.
Dall’inizio dello scorso decennio, e più intensamente dal 2011, sono emersi segnali di ristrutturazione del sistema produttivo, con una riallocazione delle risorse a favore delle imprese migliori. Durante la recessione si è rafforzato l’impulso fornito dalla selezione del mercato: è aumentata la mortalità tra le imprese meno efficienti; sono entrate aziende mediamente più produttive e in grado di accrescere in misura maggiore l’occupazione e la produttività nei primi anni di vita.
Alcuni dei molteplici fattori che contribuiscono all’efficienza di un’economia sono stati oggetto di un intenso sforzo riformatore avviato nel 2011. Le misure sul mercato del lavoro hanno ridotto il dualismo tra occupati a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato, aumentato gli incentivi all’accumulazione di capitale umano, favorito il trasferimento di risorse verso le produzioni più efficienti, diminuito i costi delle imprese e sostenuto, più che in passato, il lavoratore in caso di perdita dell’occupazione.
L’azione di riforma è ancora necessaria su altri fattori. Hanno implicazioni particolarmente rilevanti per l’efficienza allocativa e per le dinamiche demografiche di impresa le restrizioni all’avvio di nuove iniziative imprenditoriali, le complesse procedure di gestione delle crisi aziendali, i tempi della giustizia, i disincentivi fiscali e regolamentari alla crescita dimensionale. La rimozione di questi ostacoli crea un ambiente più favorevole all’attività di impresa e aumenta la propensione a investire per conseguire guadagni di efficienza e ampliare il perimetro aziendale.
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- Relazione annuale sul 2016 in sintesipdf 3.3 MB Data Pubblicazione::31 maggio 2017