Le obbligazioni vendute allo sportello, ora azzerate, sono obbligazioni LT2 “old style”. Cioè obbligazioni che prevedono, in caso di liquidazione della banca, di venir pagate dopo i crediti chirografari/privilegiati e dopo le obbligazioni senior. In pratica, per un paio di punti percentuali di rendimento in più, si accetta una recovery minore rispetto ad altri strumenti. Questo non significa che non si abbia, in base al contratto stipulato, diritto alla recovery, ma semplicemente si viene dopo qualcuno. Non pensate che tale contratto, stipulato molti anni fa, quando il “Bail-in” e la direttiva BRRD non esistevano, non verrà rispettato se il decreto “Salva-Banche” avrà luogo?
In caso di liquidazione della banca i portatori di obbligazioni subordinate hanno diritto al rimborso solo dopo che siano stati soddisfatti gli altri creditori (depositanti, portatori di obbligazioni non subordinate); ciò è in linea con la gerarchia fallimentare. Per quanto riguarda la recovery delle obbligazioni LT2, pur sussistendo un diritto contrattuale alla restituzione, l’eventuale rimborso è subordinato all’esistenza di risorse residue dopo il pagamento dei creditori senior. Quando le perdite sono maggiori dell’ammontare di capitale, riserve e altri strumenti subordinati eventualmente emessi dalla banca (tecnicamente si parla di strumenti di Upper tier 2, Additional Tier 1 e Lower Tier 2), i portatori di questi ultimi non riceverebbero alcun rimborso.
La legge italiana di recepimento della direttiva europea sulla risoluzione delle banche richiede all’autorità di risoluzione (costituita all’interno della Banca d’Italia) di applicare, in caso di crisi bancarie, le nuove misure di risoluzione. Queste includono il c.d. write down, ossia la riduzione, tra gli altri, degli strumenti di capitale nella misura necessaria per coprire le perdite e convertire le obbligazioni subordinate in azioni per ricapitalizzare la banca (si veda anche la risposta alla domanda 6). In base alla direttiva e alla legislazione nazionale di recepimento, nessun creditore può subire, a seguito del write down (e, dal 2016, del bail in) perdite maggiori rispetto a quelle che avrebbe subito se, invece della risoluzione, la banca fosse stata oggetto di liquidazione coatta amministrativa (c.d. principio del “no-creditor worse off”).
Il punto che va ben compreso è il seguente: se nelle scorse settimane le banche in crisi non fossero state oggetto di risoluzione, l’unica alternativa consentita dalla legge sarebbe stata la liquidazione coatta amministrativa. In quest’ultimo caso tutti i creditori – e quindi non solo gli obbligazionisti subordinati – sarebbero stati rimborsati solo dopo la liquidazione degli attivi della banca, verosimilmente in misura parziale e solo dopo anni. I detentori di titoli subordinati, data l’entità delle
perdite destinate a gravare prioritariamente su tali titoli, non avrebbero recuperato nulla. La liquidazione avrebbe per di più richiesto l’immediato rientro di una parte rilevante dei prestiti concessi da ciascuna banca, con conseguenze negative dirompenti sia sul valore di questi crediti sia sull’economia locale.
Va sottolineato che queste innovazioni recepiscono norme europee che la Banca d’Italia ha spiegato in più occasioni (anche pubblicando sul proprio sito internet un apposito documento ampiamente ripreso dalla stampa nazionale). In particolare, si è chiarito che la scelta di applicare le nuove norme anche agli strumenti già collocati (e, di conseguenza, la possibilità che la risoluzione di un intermediario in crisi comporti la riduzione del valore/conversione di strumenti emessi in passato) è dovuta alla direttiva europea sul risanamento e la risoluzione delle banche.
L’azzeramento parifica il livello di subordinazione delle LT2, piazzate ai risparmiatori, a strumenti ben più rischiosi quali le UT2 e le T1. Questa parificazione non è naturalmente prevista dal contratto. Perché, invece, sono stati parificati?
Gli strumenti assoggettati a riduzione, così come anche l’entità della riduzione (che può arrivare a un vero e proprio azzeramento) dipendono dall’entità delle perdite, emerse dalle valutazioni.
Il cd. Lower Tier 2 è stato assoggettato a write down/burden sharing perché l’azzeramento degli strumenti ancora più subordinati (capitale, riserve, Tier 1 e Upper Tier 2) non bastava a coprire tutte le perdite. Il write down, infatti, rispetta la gerarchia fallimentare dei crediti nell’addossare le perdite alle diverse fasce di creditori, e non impedisce che creditori appartenenti a fasce diverse sopportino perdite per l’intero ammontare dei loro crediti, se ciò è necessario ad assorbire le
perdite della banca.
Pertanto, non è stata operata una parificazione di trattamento applicando lo stesso livello di subordinazione a strumenti diversi tra loro. L’esigenza di coprire per intero le perdite delle banche ha comportato di fatto – dato il regime contrattuale di ciascuna tipologia di strumento - l’estensione del sacrificio a tutti gli strumenti subordinati. In caso di liquidazione delle banche, d’altra parte, il risultato sarebbe stato lo stesso – azzeramento del valore – per tutti questi strumenti.
Per Carife ed Etruria il FITD aveva diramato la notizia dell’impegno alla sottoscrizione di AUC dedicati rispettivamente per 300 e 400 mln €. Non pensate che queste notizie siano state diramate pubblicamente distorcendo l’informativa di mercato e dando confidenza agli investitori rispetto a quanto accaduto poi con l’emissione del decreto?
Nei mesi scorsi il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) ha deliberato interventi di sostegno a favore di Cassa di Risparmio di Ferrara in amministrazione straordinaria e di Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio in amministrazione straordinaria.
Gli interventi prevedevano che il FITD sottoscrivesse i necessari aumenti di capitale, ponendo le basi per il superamento delle crisi delle banche. Le informazioni fornite al mercato dal FITD su tali delibere corrispondevano alle finalità degli interventi di volta in volta programmati a favore delle banche in amministrazione straordinaria.
L’intervento del FITD avrebbe consentito di porre i presupposti per il risanamento delle banche evitando la procedura di risoluzione. Ciò non è stato possibile per la preclusione manifestata dagli uffici della Commissione Europea, che hanno ritenuto di assimilare ad aiuti di Stato gli interventi del Fondo di tutela dei depositi. Ciò ha reso impossibile ricorrere a questo meccanismo di salvataggio, a fronte del rapido deterioramento delle situazioni aziendali. L’Unità di Risoluzione della Banca d’Italia
ha pertanto dovuto attivare, non appena pubblicato in G.U. il decreto legislativo 180/2015 (il 16 novembre scorso), gli strumenti introdotti dal nuovo quadro normativo europeo in materia di gestione delle crisi.
Secondo fonti Governative "l'azzeramento del valore delle obbligazioni subordinate - come tali parte del capitale di rischio - costituisce un vincolo non eludibile, imposto dalla Direzione Generale Competitività per approvare gli interventi del fondo di risoluzione.” Essendo il salvataggio dei quattro istituti, almeno a detta degli esponenti apicali del MEF e di Banca d'Italia, effettuato con i fondi volontari di natura privata e senza toccare i risparmi dei contribuenti, si ritiene che il coinvolgimento degli azionisti/obbligazionisti (burden sharing) non possa essere assolutamente una misura obbligatoria imposta dalla Direzione Generale Competitività, che interviene solo nei casi in cui si possano configurare aiuti di stato che ovviamente non ricorrono in caso di intervento privato. Perché questa misura è stata imposta dalla Direzione Generale Competitività?
Il salvataggio delle quattro banche non è stato effettuato utilizzando fondi volontari di natura privata, ma con l’intervento del Fondo di Risoluzione nazionale, recentemente istituito in applicazione della disciplina che dà attuazione in Italia alla direttiva europea sul risanamento e la risoluzione delle banche. In linea con il diritto europeo, gli interventi del Fondo di Risoluzione, pur se alimentato con risorse versate dal sistema bancario, sono considerati pubblici e, dunque, aiuti di Stato poiché attivati con una decisione dell’autorità di risoluzione. Questa impostazione è confermata dagli orientamenti della Commissione Europea del 2013 (Comunicazione sulle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria) ed è espressamente sancita nella direttiva europea sulla risoluzione delle banche, che disciplina i fondi di risoluzione nazionali, prevedendone l’intervento solo se accompagnato dalla preliminare compartecipazione alle perdite da parte di azionisti e creditori subordinati (c.d. burden sharing).
Ne discende che l’intervento del Fondo di Risoluzione è possibile solo dopo il burden sharing disposto dall’Autorità in Risoluzione. A partire dal 1° gennaio 2016, l’intervento del Fondo di Risoluzione potrà richiedere, se il burden sharing non è sufficiente a ripianare le perdite, anche il sacrificio dei creditori chirografari quali gli obbligazionisti non subordinati (c.d. bail in). Non subiranno, invece, alcuna perdita i depositi protetti (ossia quelli di ammontare fino a 100.000 euro).
Va, infine, rammentato che la Commissione Europea qualifica come aiuti di Stato anche gli interventi degli schemi di garanzia dei depositanti, quali il FITD. Per la Commissione Europea azionisti e creditori subordinati sono comunque chiamati a ripianare le perdite delle banche in crisi ovvero a ricapitalizzarle per la parte eventualmente residua attraverso il burden sharing.
Dov'è l'atto con cui la Direzione Generale Competitività obbliga l'ente di risoluzione ad azzerare azioni ed obbligazioni dei 4 istituti?
La necessità di azzerare le azioni e le obbligazioni subordinate deriva dalle decisioni della Commissione di approvare i piani di risoluzione delle quattro banche condizionatamente al coinvolgimento degli azionisti e dei creditori subordinati al costo della risoluzione, in linea con i principi di burden sharing contenuti nella comunicazione dell’agosto 2013. Il comunicato stampa della DG-Competition del 22 novembre dà conto di ciò , specificando che "il contributo degli azionisti e dei creditori subordinati ha consentito di limitare l’entità dell’intervento del fondo di risoluzione, in linea con i principi sul burden sharing".
Pur presupponendo un'imposizione da parte della Direzione Generale Competitività in merito al coinvolgimento degli azionisti/obbligazionisti nella risoluzione degli istituti, si ritiene come non sia credibile che la direzione ne abbia imposto l'azzeramento, in quanto le forme di burden sharing prevedono misure di riduzione/conversione dei crediti, che sono del tutto discrezionali in capo all'ente di risoluzione. Dobbiamo quindi dedurre che la scelta di azzerare tutto è interamente imputabile all'organo di risoluzione? A conferma di quanto detto si ricorda che, ai sensi del D.L. 183/2015, la risoluzione non prevede necessariamente la misura di conversione/riduzione di azioni ed obbligazioni, il che lascia dedurre che sia sempre una scelta discrezionale dell'organo di risoluzione e non predeterminato dalla legge agire in tal senso.
Il D.Lgs. 180/2015 prevede, in armonia con la direttiva europea, che in caso di avvio di una procedura di risoluzione, è necessario disporre in primo luogo il c.d. write down, ossia la riduzione e/o la conversione in capitale degli strumenti computabili nel patrimonio di vigilanza, incluse le azioni e le obbligazioni subordinate (v. sopra risposta 4). L’entità della riduzione e l’eventuale conversione delle obbligazioni subordinate in azioni della banca non costituiscono scelte discrezionali; la riduzione/conversione è effettuata seguendo il rigido ordine indicato dalla legge e l’ampiezza dei sui effetti dipende dalla situazione patrimoniale della banca in crisi, determinata in base a precise modalità e secondo criteri di valutazione stabiliti dalla direttiva europea sulla risoluzione delle banche:
- la Banca d’Italia deve, innanzitutto, ridurre il valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate finché ci sono perdite della banca da coprire; ne consegue che se le perdite superano questo valore, esso dovrà essere azzerato;
- solo quando le perdite sono inferiori al valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate, la Banca d’Italia prima riduce il valore di azioni e obbligazioni subordinate nella misura necessaria a coprire le perdite e poi dispone la conversione delle obbligazioni subordinate in azioni della banca, nei limiti necessari per assicurare il rispetto dei requisiti prudenziali.
Nel caso delle quattro banche messe in risoluzione in novembre, le perdite da valutazione di ciascuna banca erano superiori al valore degli strumenti di capitale, che includono le azioni e le obbligazioni subordinate; per questa ragione le azioni e le obbligazioni subordinate sono state sacrificate per l’intero ammontare del loro valore. Le perdite ulteriori, non coperte dal burden sharing, sono state coperte dal Fondo di Risoluzione.
Abbiamo esempi recenti di salvataggi bancari (perfino in Grecia), approvati dalla stessa Direzione Competitività, in cui gli obbligazionisti hanno volontariamente convertito il proprio credito in azioni pur di salvare le banche. La necessità di chiedere il contributo degli obbligazionisti è causata dall'eccessiva svalutazione dei crediti deteriorati (svalutati al 17% quando nei bilanci bancari non sono svalutati a meno del 45%) e dal fatto che con la cessazione delle attività delle vecchie banche si siano persi centinaia di milioni di anticipi (crediti) d'imposta, per cui il deficit da ripianare è aumentato esponenzialmente. Non pensate basterebbe quindi rivalutare i crediti in sofferenza finiti nella bad bank riportandoli ad una svalutazione congruente a quelle comuni ai bilanci degli istituti di credito italiani e riportare (con decreto legge) nelle nuove banche i crediti d'imposta per scongiurare l'intervento degli obbligazionisti nel salvataggio?
Si premette che il trasferimento delle sofferenze alla bad bank, costituita ai sensi dell’art. 45 del D.Lgs. 180/2015, viene qualificato come "cessione di attività" e, pertanto, deve essere effettuato nel rispetto di pertinenti criteri valutativi. Si è fatto in particolare riferimento ai principi contenuti nel Regulatory Technical Standard EBA, in via di emanazione, sulla valutazione ex art 36 della BRRD.
Per la valutazione delle sofferenze destinate a essere cedute, le disposizioni applicabili prevedono che si tenga conto anche di quanto indicato, in materia di aiuti di Stato, nella Comunicazione della Commissione Europea del 25 febbraio 2009 (Comunicazione sul trattamento delle attività che hanno subito una riduzione di valore nel settore bancario comunitario - 2009/C 72/01). Per questo motivo, tali valori si discostano da quelli determinati dalle ordinarie prassi contabili, trattandosi di un prezzo di trasferimento che riflette il valore economico di mercato del sottostante, determinato con metodologia semplificata. La Commissione europea nel comunicato stampa del 22 novembre ha fatto esplicito riferimento a questo elemento.
La materia dei crediti d’imposta è oggetto di una disciplina recente, contenuta nell’art. 3 del Decreto Legge del 22 novembre 2015. Per effetto di tale disposizione, la quasi totalità delle attività fiscali anticipate presenti nei bilanci delle banche oggetto di risoluzione è stata convertita, con effetto immediato (anziché al momento dell’approvazione del bilancio dell’amministrazione straordinaria), in credito d’imposta e trasferita ai nuovi enti ponte e pertanto non è corretto che "si sono persi centinaia di milioni".
Gli azionisti delle 4 banche erano pronti a sottoscrivere un aumento di capitale; perché attraverso il commissariamento e il decreto non l'avete permesso?
Non ci risulta. Prima di arrivare alla risoluzione delle quattro banche abbiamo accertato, anche nel corso delle procedure di amministrazione straordinaria, che non vi erano privati disponibili a intervenire per risolvere la situazione di crisi delle banche; non abbiamo riscontrato iniziative concrete e serie disponibilità da parte dei soci a promuovere aumenti di capitale.
Non vi sembra che vi sia stata un'assoluta mancanza di trasparenza nella procedura di risoluzione?
La procedura per l’adozione dei provvedimenti di risoluzione è disciplinata dal D.Lgs. 180/2015, che prevede alcune deroghe alle norme applicabili in via ordinaria in materia di pubblicità dei procedimenti amministrativi. Queste deroghe sono giustificate dalla delicatezza della materia e dal carattere d’urgenza delle misure da adottare al fine, tra l’altro, di non pregiudicare gli obiettivi della risoluzione ed evitare reazioni ingiustificate che potrebbero minare la stabilità del sistema finanziario, coinvolgendo banche sane.
Il decreto prevede che le nuove banche ed i crediti deteriorati debbano essere venduti in fretta entro gennaio. La mancanza di tempo, non si scontra con la necessità di rimborsare al meglio i risparmiatori?
La vendita delle quattro banche avverrà rapidamente ma non certo entro gennaio 2016.