N. 886 - Immigrazione, struttura occupazionale e protezione dell’impiegoEvidenze empiriche per l’Europa prima e durante la Grande Recessione

Go to the english version Cerca nel sito

di Francesco D'Amuri e Giovanni Periottobre 2012

Secondo la recente letteratura economica, l’immigrazione non avrebbe effetti negativi sui lavoratori del paese ospitante, in termini né di tassi di occupazione né di livelli retributivi. Tali risultati sembrano contraddire l’intuizione secondo cui un maggior numero di immigrati dovrebbe ridurre i posti di lavoro e le retribuzioni per i lavoratori dell’economia ospitante. Lo studio analizza, teoricamente ed empiricamente, i potenziali canali di aggiustamento del mercato del lavoro in risposta all’aumento dei lavoratori stranieri. Nel modello teorico si ipotizza che le imprese, per poter produrre, abbiano bisogno di far svolgere ai propri occupati una serie di mansioni che vanno da quelle più semplici, caratterizzate da un contenuto prevalentemente manuale, a quelle più complesse. Se gli immigrati sono più produttivi nelle mansioni semplici che in quelle complesse rispetto ai lavoratori del paese ospitante, si dimostra che la crescita del loro numero ha due principali conseguenze:

  • a causa della complementarietà tra i due tipi di mansione, l’incremento di offerta di mansioni manuali genera un aumento della retribuzione per le mansioni più complesse;
  • i lavoratori del paese ospitante, sfruttando il loro vantaggio comparato, si ricollocano nelle occupazioni più complesse.

La validità di questo meccanismo è confermata dall’analisi empirica basata sui dati dell’indagine sulle forze di lavoro dell’Unione europea per il periodo 1996-2010. Un aumento della quota di immigrati causerebbe una maggiore specializzazione in mansioni complesse per i lavoratori del paese ospitante. Le simulazioni effettuate indicano che, grazie a tale riallocazione, un raddoppio del numero di immigrati sarebbe associato a un incremento delle retribuzioni medie pari allo 0,7 per cento. I risultati sono statisticamente significativi e robusti rispetto alla presenza di altri fattori che potrebbero aver modificato la domanda di lavoro nel periodo considerato, come l’off-shoring e il progresso tecnologico; le tecniche econometriche utilizzate, inoltre, tengono opportunamente conto dei potenziali effetti distorsivi dovuti al fatto che gli immigrati non scelgono i paesi di destinazione in maniera casuale, ma si recano presso quelli che offrono le migliori condizioni lavorative. Infine, il lavoro mostra che il processo di riallocazione, che non si sarebbe arrestato durante la crisi del 2008-09, non avverrebbe a discapito del numero complessivo di posti di lavoro disponibili per i lavoratori dell’economia ospitante e sarebbe più intenso nei paesi in cui il mercato del lavoro è più flessibile.

Pubblicato nel 2014 in: Journal of the European Economic Association, v. 12, 2, pp. 432-464.

Testo della pubblicazione