N. 877 - Esportatori e importatori di servizi: evidenze a livello d'impresa in Italia

di Stefano Federico e Enrico Tosti
Settembre 2012
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Il lavoro utilizza dati individuali sulle imprese provenienti da un’indagine campionaria svolta dalla Banca d’Italia, per analizzare il commercio internazionale di servizi dell’Italia. I datisi riferiscono al 2009 e comprendono le principali tipologie di servizi (quali informatica e comunicazione, finanza e assicurazione, licenze e brevetti, servizi per le imprese), con l’esclusione di viaggi all’estero e trasporti internazionali, che sono rilevati con altre indagini campionarie.

Nel complesso i risultati ottenuti confermano le poche evidenze empiriche riscontrate per altri paesi avanzati e mostrano significative analogie con le analisi a livello di impresa dell’interscambio di merci.

L’evidenza empirica mostra che la quota di aziende italiane che acquistano servizi dall’estero è maggiore di quella delle aziende che vendono all’estero. Le imprese la cui principale attività è la produzione di servizi non sono le sole a essere interessate dal fenomeno: circa un terzo degli scambi è infatti riconducibile a imprese del settore manifatturiero.

Il commercio di servizi mostra un’elevata concentrazione: le prime dieci imprese rappresentano circa il 20 per cento del valore dell’interscambio di servizi. Le imprese di dimensione maggiore e quelle più produttive sono anche le più attive, mostrando, mediamente, sia un valore più elevato delle transazioni (il margine intensivo) sia un numero più elevato di paesi controparte e di tipologie di servizi scambiati (il margine estensivo).

L’attività di vendita di servizi mediante affiliate estere appare ancora più concentrata in poche grandi imprese. L’analisi della scelta tra esportare e vendere all’estero per mezzo di affiliate straniere mostra che la prima soluzione è preferita dalle imprese di minori dimensioni, meno produttive, e nei mercati di destinazione più piccoli.

I risultati delle stime mostrano inoltre che gli scambi internazionali tendono ad avvenire, oltre che con i mercati più grandi, con i paesi più vicini, analogamente a quanto accade per le merci; ciò dimostra che l’effetto della distanza sugli scambi riflette non solamente i costi del trasporto, ma anche altri fattori, quali i costi di comunicazione e organizzazione, legati a differenze legislative, linguistiche e culturali.

Pubblicato nel 2017 in: The World Economy, v. 40, 10, pp. 2078-2096.