N. 801 - Politica monetaria e politica macroprudenziale

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di Paolo Angelini, Stefano Neri e Fabio Panettamarzo 2011

A seguito della crisi finanziaria, i principali paesi hanno istituito autorità macroprudenziali, con due principali obiettivi: contenere il rischio sistemico (ossia prevenire le crisi); ridurre l’impatto di eventuali crisi.

Il lavoro analizza l’interazione tra politica macroprudenziale e politica monetaria in un modello dinamico di equilibrio generale per l’area dell’euro caratterizzato dalla presenza di banche e da frizioni nel mercato del credito. Nel modello, la politica monetaria mira a stabilizzare l’inflazione e il PIL. La politica macroprudenziale è invece volta a stabilizzare il prodotto e il rapporto credito/PIL; questa scelta è fondata sull’evidenza empirica secondo cui le crisi finanziarie sono associate a una crescita eccessiva del credito. Quanto agli strumenti, la banca centrale fissa il tasso di politica monetaria; l’autorità macroprudenziale stabilisce il requisito di capitale per le banche.

Si considerano due modalità di interazione tra l’autorità monetaria e macroprudenziale: (i) piena cooperazione (in pratica, una unica autorità attua la politica sia macroprudenziale sia monetaria); (ii) piena indipendenza (ciascuna autorità mira al proprio obiettivo senza tenere conto delle decisioni dell’altra). I risultati nei due casi sono confrontati con quelli conseguibili con la sola politica monetaria. I principali risultati possono essere riassunti come segue.

In primo luogo, in periodi “normali” - quando le fluttuazioni economiche riflettono shock non finanziari - l’utilizzo del requisito di capitale in funzione anticiclica ha effetti limitati sulla stabilità macroeconomica. Per di più, la mancanza di cooperazione tra l’autorità macroprudenziale e la banca centrale può generare politiche conflittuali, che innalzano la volatilità sia del tasso d’interesse sia del requisito di capitale. Questo potenziale conflitto è dovuto alla coesistenza tra autorità indipendenti, che mirano a influenzare variabili strettamente correlate (il tasso d’interesse e il credito) ma con diversi obiettivi.

Quando invece gli shock sono di natura finanziaria, la politica macroprudenziale diviene efficace nella stabilizzazione dell’economia rispetto alla sola politica monetaria. In tal caso la cooperazione tra autorità conferisce stabilità al prodotto e al rapporto prestiti/PIL, ma al costo di una maggiore volatilità del tasso d’interesse e dell’inflazione. In pratica, la banca centrale "dà una mano" all’autorità macroprudenziale, deviando da i propri obiettivi. Nel caso non-cooperativo essa si concentra invece sulla stabilità dei prezzi, ignorando le conseguenze delle proprie decisioni di politica monetaria sulla stabilità finanziaria.

Questi risultati contribuiscono a spiegare perché i principali paesi industriali abbiano deciso di istituire solo di recente autorità con compiti di politica macroprudenziale: sinora, data la prevalenza di shock “reali” nelle fluttuazioni cicliche, la politica monetaria è stata sufficiente a fini di stabilizzazione macroeconomica. La crisi ha però mostrato che in presenza di forti shock finanziari può essere necessario utilizzare nuovi strumenti in aggiunta a quelli disponibili al le banche centrali.

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