N. 731 - Il mercato interbancario dopo l’agosto del 2007: cosa è cambiato e perché?

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di Paolo Angelini, Andrea Nobili e Maria Cristina Picilloottobre 2009

Il lavoro analizza le determinanti dei tassi d’interesse sui prestiti interbancari nel periodo compreso tra gennaio 2005 e dicembre 2008, e si pone due obiettivi. In primo luogo, si cerca di spiegare l’eccezionale ampliamento del differenziale tra i tassi sui prestiti senza garanzia e i corrispondenti tassi sui contratti con garanzia registrato dall’inizio della crisi finanziaria, nell’agosto 2007. In secondo luogo, si verifica se dopo l’avvio della crisi vi sia stato un mutamento strutturale nelle relazioni tra il differenziale pagato dai singoli debitori e le loro caratteristiche individuali, soprattutto la dimensione e il merito di credito.

A tal fine sono stati utilizzati dati sulle transazioni effettuate sull’e-MID – il Mercato elettronico dei Depositi Interbancari – cui aderiscono numerosi intermediari italiani ed esteri. I principali risultati sono i seguenti.

In primo luogo, gran parte dell’aumento del differenziale d’interesse sarebbe attribuibile a un incremento generalizzato del grado di avversione al rischio sul mercato, non riconducibile pertanto a caratteristiche dei singolidebitori. Una parte ridotta ma non trascurabile dell’incremento è inoltre ascrivibile alla riluttanza, da parte delle banche, a far comparire le esposizioni interbancarie nei propri bilanci. Tale comportamento determina una restrizione dell’offerta interbancaria nelle settimane che precedono la fine del trimestre e dell’anno e un corrispondente rialzo dei tassi d’interesse interbancari; sebbene tale stagionalità sia nota da tempo, l’effetto sui tassi è aumentato significativamente dall’avvio della crisi. In linea di principio, ciò può aver riflesso sia esigenze di “cosmesi” sia la cogenza dei requisiti di capitale che vengono calcolati sulla base dei dati di bilancio. L’analisi suggerisce tuttavia che il ruolo di questo secondo fattore sarebbe stato ridotto. Neanche la rischiosità media dei debitori partecipanti al mercato – rimasta pressoché immutata durante la crisi – avrebbe fornito un contributo significativo all’aumento del differenziale.

In secondo luogo, l’analisi evidenzia che nel periodo precedente la crisi i tassi interbancari risultavano pressoché insensibili al rating e al livello di capitalizzazione delle banche debitrici. Ciò suggerisce che i prestatori effettuavano una scarsa attività di monitoraggio delle controparti. Dall’inizio della crisi, invece, essi sarebbero divenuti assai più cauti nella concessione dei fondi, differenziando significativamente le condizioni di tasso in base al merito di credito delle controparti.

Infine, dall’agosto 2007 è aumentato lo sconto di cui beneficiano i debitori di grandi dimensioni rispetto a quelli medi e piccoli, un risultato a priori non atteso. Da un lato, la crisi avrebbe infatti potuto indurre un aumento dei tassi pagati dalle grandi banche rispetto a quelli delle banche di dimensioni minori, dato che le prime sono mediamente caratterizzate da maggiore complessità societaria, più ampi portafogli di attività finanziarie potenzialmente illiquide ed elevata esposizione a fattori di rischio internazionali. Dall’altro lato, un effetto di segno opposto avrebbe potuto prevalere qualora i prestatori di fondi avessero deciso di praticare tassi più bassi alle grandi banche ritenendo che esse godano implicitamente di una garanzia pubblica, secondo la ben nota tesi secondo cui certi istituti sono “troppo grandi per essere lasciati fallire”. Il lavoro suggerisce che questo secondo effetto ha prevalso e che i problemi di “azzardo morale” fronteggiati dalle banche centrali e dai governi potrebbero essersi aggravati durante la crisi finanziaria. Questa conclusione rimane valida anche estendendo l’analisi al periodo successivo al dissesto di Lehman Brothers, nel settembre 2008.

Pubblicato nel 2011 in: Journal of Money, Credit and Banking, v. 43, 5, pp. 923-958

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