N. 718 - Innovazione e produttività nelle piccole e medie imprese. Evidenza empirica per l’Italia

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di Bronwyn H. Hall, Francesca Lotti e Jacques Mairessegiugno 2009

La crescita della produttività del lavoro in Italia è stata nell’ultimo decennio tra le più basse dell’UE, particolarmente nel settore manifatturiero. Tra le possibili cause di questa deludente performance, spicca il basso investimento in ricerca e sviluppo (R&S). Nel 2006, l’Italia ha investito in R&S solo l’1,14 per cento del PIL, un valore ben al di sotto della media europea (1,77) e degli obiettivi del trattato di Lisbona. Mentre il contributo pubblico alla spesa in R&S risulta in linea con quello degli altri paesi europei, quello privato risulta particolarmente basso. Ciò potrebbe discendere, in parte, dalla frammentazione del sistema produttivo italiano, in cui oltre il 99 per cento delle imprese attive ha meno di 250 dipendenti.

La letteratura teorica ed empirica mostra che la relazione tra innovazione e dimensione di impresa è positiva. L’attività innovativa delle piccole e medie imprese (PMI), sia essa radicale o incrementale, si differenzia da quella delle grandi imprese per il limitato ricorso alla spesa in R&S. Questa caratteristica, che ha dato luogo al paradosso – tutto italiano – dell’innovazione senza ricerca, implica che gli indicatori di innovazione comunemente impiegati, come la spesa in R&S o i brevetti, non consentono di derivare un quadro corretto della capacità innovativa delle PMI e quindi delle sue determinanti e dei suoi effetti.

Utilizzando i dati provenienti da tre indagini successive sulle imprese manifatturiere italiane condotte da Unicredit (ex Mediocredito- Capitalia) che si riferiscono al periodo 1995-2003, il lavoro esamina come e in quali condizioni si svolga l’attività innovativa nelle imprese con meno di 250 addetti. Viene stimato un modello che coglie i legami tra innovazione, investimenti in R&S, dimensione d’impresa e produttività, la cui formulazione risulta particolarmente adatta per le PMI in quanto si basa su un modello comportamentale che permette di ricostruire lo sforzo innovativo anche delle imprese che non hanno, o non hanno riportato, spese in R&S.

Dai risultati emerge che l’intensità di R&S (misurata come spesa in R&S per addetto) risulta più elevata nelle imprese più esposte alla concorrenza internazionale; tale effetto è più forte nei settori high-tech, nei quali lo sforzo innovativo è di norma doppio rispetto a quello dei settori low tech.

La dimensione d’impresa, l’intensità di R&S e gli investimenti materiali aumentano la probabilità di ottenere innovazioni, ma è la spesa in R&S ad avere l’impatto maggiore: raddoppiandone il valore, la probabilità di realizzare innovazioni aumenta del 20 per cento per quelle di processo, del 25 per cento per quelle di prodotto.

Come atteso, l’attività innovativa, soprattutto di processo, ha un effetto positivo sulla produttività del lavoro. L’innovazione di prodotto risulta più rilevante per le imprese dei settori high-tech; in questi ultimi, le imprese con più di 15 anni risultano significativamente meno produttive rispetto a quelle più giovani.

Pubblicato nel 2009 in: Small Business Economics, v. 33, 1, pp. 13-33