N. 682 - La specializzazione verticale in Europa: evidenza dal contenuto di importazioni delle esportazioni

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di Emanuele Breda, Rita Cappariello e Roberta Zizzaagosto 2008

Il lavoro analizza il contenuto di importazioni delle esportazioni dell’Italia e di alcuni paesi dell’Unione Europea. Tale indicatore rappresenta una misura sintetica del grado di internazionalizzazione di un’economia che tiene conto sia della delocalizzazione all’estero di fasi dell’attività produttiva, sia dell’acquisto di prodotti intermedi da fornitori esteri. Il contenuto di importazioni è stimato a partire dalle matrici input-output a prezzi correnti per la seconda metà degli anni novanta, periodo per il quale si dispone di dati per un ampio numero di paesi. Per evitare le distorsioni generate dai forti movimenti del prezzo del petrolio, le stime sono state replicate sia omettendo le importazioni di prodotti petroliferi, sia escludendo l’intero input energetico, importato e di origine domestica.

Per l’insieme dei paesi considerati, la crescita del contenuto di importazioni delle esportazioni tra il 1995 e il 2000 è di entità paragonabile a quella stimata in precedenti lavori per l’intero ventennio 1970-1990, a testimonianza dell’accelerazione dei processi di internazionalizzazione produttiva delle economie della UE. Il grado di internazionalizzazione risulta, comunque, eterogeneo tra le diverse economie analizzate, mostrando valori più contenuti per i paesi di maggiore dimensione e più elevati per quelli più piccoli. La produzione di mezzi di trasporto emerge ovunque quale il settore più internazionalizzato.

La Germania è il paese che ha registrato nel periodo la crescita più sostenuta del fenomeno, l’Italia quella più debole, sebbene entrambe le economie siano partite da bassi livelli iniziali rispetto a quelli degli altri paesi del campione. Sin dalla seconda metà degli anni novanta le imprese tedesche hanno risposto alla crescente competizione rivedendo l’organizzazione dell’attività produttiva, in molti casi lasciando in patria solo gli stadi finali della produzione e le attività di ricerca e sviluppo e di commercializzazione. Al contrario, gli effetti ritardati sulla competitività di prezzo delle svalutazioni della lira della prima metà degli anni novanta possono aver reso meno urgente la revisione del modello organizzativo delle imprese italiane. Negli anni più recenti le produzioni italiane, soprattutto quelle più tradizionali, hanno risentito maggiormente della più intensa concorrenza dei paesi emergenti, acuita dalla debolezza della domanda mondiale. Ciò ha imposto un ripensamento del modello dei distretti industriali per adattarsi ai processi di globalizzazione e di divisione internazionale del lavoro in corso. Anche altri fattori strutturali, quali la ridotta dimensione d’impresa e la limitata diffusione di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, possono aver contribuito al minore dinamismo del sistema produttivo italiano nel processo di internazionalizzazione.

Al netto degli input energetici il livello e il tasso di crescita del contenuto di importazioni risultano meno pronunciati soprattutto per i Paesi Bassi e per l’Italia, mentre le stime per la Germania risultano modificate solo marginalmente, confermando l’effettiva maggiore rilevanza dell’internazionalizzazione in quel paese.

Pubblicato nel 2007 in: Rivista di Politica Economica, v. 97, 3, pp. 189