N. 660 - Volatilità e indipendenza del cambio reale dalle variabili macroeconomiche: un’analisi empirica

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di Riccardo Cristadoro, Andrea Gerali, Stefano Neri e Massimiliano Pisaniaprile 2008

Recenti progressi sul piano teorico e su quello delle potenzialità di calcolo hanno consentito di superare le difficoltà che ostacolavano lo sviluppo e l’utilizzo, a fini di analisi empirica, di modelli di equilibrio economico generale, rigorosamente dedotti dai postulati della teoria (modelli microfondati di equilibrio economico generale stocastico, DSGE). Ne è nato un nuovo filone che analizza i problemi dell’economia ipotizzando che agenti razionali (consumatori e imprese) si trovino a competere in mercati nei quali sono sistematicamente soddisfatte, pur in presenza di frizioni di varia natura, condizioni di equilibrio. Questi modelli coniugano il rigore dell’analisi teorica con la presenza di meccanismi di aggiustamento complessi e articolati, consentendo così di legare direttamente sviluppi teorici e analisi empirica.

In questo lavoro si esaminano le implicazioni per l’andamento del tasso di cambio reale derivanti dall’introduzione di alcune “frizioni” (ovvero limitazioni nell’immediato aggiustamento delle variabili) in un modello di equilibrio economico generale a più aree.

Il tasso di cambio è tipicamente soggetto, in un regime di cambi flessibili, ad ampie e frequenti fluttuazioni (“volatilità”), che non si trasmettono immediatamente ai prezzi interni dei paesi (“pass-through incompleto”) e non trovano una spiegazione nelle determinanti fondamentali che muovono le altre grandezze macroeconomiche (“indipendenza”). Il lavoro si propone di sviluppare un modello in grado di riprodurre queste caratteristiche osservate nei dati.

Si considerano due economie che producono sia beni commerciabili tra paesi sia beni che si scambiano solo all’interno di ciascuna di esse (si pensi alla gran parte del settore dei servizi) e che possono scambiarsi flussi di capitale in presenza di un premio per il rischio. Inoltre, i produttori nelle due economie hanno potere di monopolio e possono fissare il prezzo dei loro beni e servizi sul mercato interno e (se commerciabili tra paesi) su quello estero. I prezzi (e i salari) possono venire modificati da un periodo all’altro, ma, nel farlo, le imprese sopportano dei costi di aggiustamento, cosicché i prezzi non sono perfettamente flessibili. Si formula inoltre l’ipotesi, coerente con l’osservazione empirica, che i beni esportati, per arrivare al consumatore dell’altro paese, necessitino di una componente aggiuntiva (trasporto, distribuzione o altro) che fa uso di input locali. Infine, le preferenze dei consumatori sono caratterizzate da home bias (a parità di altre condizioni esiste cioè una preferenza per i beni prodotti localmente).

Il modello così costruito viene stimato ricorrendo a tecniche econometriche bayesiane, utilizzando dati relativi all’area dell’euro e agli Stati Uniti. La stima di diverse versioni del modello consente di valutare quanto i diversi meccanismi inclusi nella struttura di base contribuiscano a dar conto del comportamento osservato del tasso di cambio.

La volatilità empirica del cambio reale viene riprodotta una volta che siano simultaneamente presenti: home bias nelle preferenze; discriminazione e rigidità di prezzo a livello internazionale; variabilità del premio al rischio sui mercati dei capitali. L’indipendenza – nel breve periodo – dei movimenti del cambio da quelli delle altre variabili macroeconomiche è riconducibile alla presenza di shock tecnologici persistenti e propri a ciascuna economia nonché, anch’essa, all’home bias e alla variabilità del premio al rischio.

Mentre questi risultati possono essere raggiunti anche rinunciando ad alcune delle ipotesi introdotte, esse sono tutte necessarie per garantire stime economicamente plausibili dei parametri.