N. 627 - La distribuzione settoriale dell'offerta di moneta nell'area dell'euro

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di Giuseppe Ferrero, Andrea Nobili, Patrizia Passigliaaprile 2007

Il lavoro approfondisce le implicazioni per la stabilità dei prezzi derivanti dalla vivace dinamica monetaria osservata negli ultimi anni nell'area dell'euro. La crescita annua dell'aggregato monetario M3 è risultata, dalla fine del 2001, costantemente al di sopra del valore di riferimento adottato dalla BCE, pari al 4,5%, un parametro indicativo del ritmo di aumento della massa monetaria considerato compatibile con la stabilità dei prezzi nell'ipotesi di stabilità della domanda di moneta.
Il rapporto tra la M3 e il PIL nominale è aumentato notevolmente, collocandosi alla fine del 2006 intorno al 93 per cento, circa 10 punti percentuali al di sopra dalla sua tendenza di lungo periodo. Tale scostamento può essere considerato una misura di eccesso di liquidità nell'area dell'euro, nell'ipotesi che la velocità di circolazione nel lungo periodo evolva secondo una tendenza costante. L'interpretazione dell'eccesso di liquidità e la valutazione delle pressioni inflazionistiche associate alla dinamica monetaria sono tuttavia controverse; esse hanno importanti implicazioni per le decisioni di politica monetaria. Le conseguenze per la stabilità dei prezzi derivanti da un forte accumulo di liquidità dipendono in maniera cruciale dalla distribuzione delle attività monetarie tra i principali settori istituzionali. Un incremento della moneta concentrato presso le famiglie e motivato da fattori transattivi potrebbe determinare un aumento della domanda aggregata generando, conseguentemente, pressioni inflazionistiche. I rischi per la stabilità dei prezzi sono invece minori qualora l'accumulo di liquidità rifletta una modifica strutturale nel comportamento e nelle scelte di portafoglio degli operatori (ad esempio, in connessione con il ruolo crescente di nuovi strumenti e operatori finanziari). Questo lavoro analizza l'eccesso di liquidità nell'area dell'euro distinguendo tra i settori detentori delle attività monetarie: famiglie, imprese non finanziarie, amministrazioni pubbliche, intermediari finanziari non bancari (questi ultimi includono le società di assicurazione, i fondi pensione e i fondi comuni di investimento). L'analisi suggerisce che il forte accumulo di liquidità nell'area dell'euro negli ultimi anni riflette in buona parte modifiche strutturali nel sistema finanziario, piuttosto che motivi transattivi con potenziali implicazioni inflazionistiche. In particolare, sono molto cresciuti i depositi detenuti dagli intermediari finanziari non bancari, che agli inizi degli anni novanta rappresentavano una quota trascurabile dello stock di moneta. Questo settore ha contribuito all'accumulo della liquidità in eccesso negli ultimi cinque anni per circa un quinto. Il notevole aumento dei depositi detenuti dagli intermediari finanziari non bancari (soprattutto fondi comuni di investimento) riflette essenzialmente la crescita delle attività complessive di questi operatori e non una loro maggiore preferenza per la liquidità. Infatti, il rapporto tra i depositi e il totale delle attività complessive detenute dai fondi comuni è rimasto stabile per tutto il periodo considerato. Le famiglie, che attualmente detengono circa la metà dello stock complessivo della moneta M3, hanno contribuito all'accumulo di liquidità in eccesso soltanto per un quinto. Della stessa entità è stato il contributo derivante dalla domanda di strumenti monetari da parte delle imprese non finanziarie. Sempre con riferimento ai settori detentori di moneta, il contributo delle amministrazioni pubbliche all'accumulo di eccesso di liquidità è stato trascurabile. Inoltre, una quota dell'incremento della liquidità in eccesso, pari a circa un quarto, riflette la maggiore detenzione di strumenti negoziabili (quote di fondi comuni monetari e obbligazioni bancarie a breve termine). Per queste attività non è disponibile la disaggregazione per settore detentore; tuttavia, é verosimile che esse siano detenute per finalità di portafoglio e non per scopi transattivi. Se si escludono gli strumenti detenuti dagli intermediari finanziari non bancari e gli strumenti negoziabili - ovvero le attività connesse più direttamente a scelte di portafoglio - l'accumulo della liquidità in eccesso negli ultimi cinque anni si riduce notevolmente, scendendo a circa un quarto del suo valore complessivo.

Pubblicato nel 2011 in: Applied Economics, v. 43, 23, pp. 3213-3230

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