N. 608 - Acquisizioni e concorrenza: incentivi strategici all'integrazione verticale

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di Filippo Vergara Caffarellidicembre 2006

È un noto paradosso dell’economia industriale che le imprese si impegnino in acquisizioni che ex post non risultano profittevoli. Il lavoro presenta una possibile spiegazione di questo fenomeno nel caso di acquisizioni verticali, ovvero operazioni nelle quali un produttore di beni finali si fonde con il proprio fornitore di beni intermedi per costituire un’unica impresa.

Per ipotesi, il modello proposto esclude tutte le ragioni tradizionali già analizzate in letteratura per spiegare l’integrazione verticale tra imprese. Si dimostra come l’interazione tra agenti economici possa, da sola, condurre ad acquisizioni verticali; i moventi di natura strategica sarebbero dunque molto importanti. In particolare, si mostra come ogni impresa abbia l’incentivo a integrarsi a monte, perché l’integrazione verticale rappresenta una strategia che pone il concorrente in una situazione di svantaggio strategico.

Per ottenere questi risultati, il modello analizza un gioco di acquisizione e concorrenza, nel quale i produttori di beni finali scelgono di integrarsi o meno con un fornitore a monte e poi competono in quantità. Si assume pertanto che, inizialmente, le imprese a valle decidono se vogliono acquistare, o meno, un’impresa indipendente che produce il bene intermedio; successivamente, le imprese a valle scelgono simultaneamente la quantità del bene finale da portare al mercato.

L’analisi è centrata su un sistema di produzione composto da due aziende a monte e due a valle. Il bene intermedio prodotto dalle imprese a monte è un input necessario per la produzione di beni finali, orizzontalmente differenziati e che pertanto non sono, per i consumatori, perfetti sostituti.

Le imprese a monte sono price-setters, cioè competono fissando il prezzo al quale sono disposte a soddisfare interamente la domanda di mercato. Ciò implica che, se sul mercato del bene intermedio operano due (o più) imprese, queste si facciano concorrenza alla Bertrand ed entrambe fissino il prezzo al livello del costo marginale; se un’impresa si ritrovasse ad essere l’unico fornitore del bene intermedio si comporterebbe da monopolista.

Come già indicato, il modello esclude per ipotesi le motivazioni tradizionali che giustificano l’integrazione verticale. In particolare, la tecnologia produttiva è caratterizzata da rendimenti di scala costanti e non esistono economie di scopo; pertanto, i costi crescono proporzionalmente con la quantità e la produzione congiunta di entrambi i beni - finale e intermedio - non permette, rispetto alla produzione disgiunta, risparmi in termini di costi. Inoltre, non è possibile sviluppare, attraverso l’integrazione verticale, sinergie dovute, ad esempio, all’adattamento degli input alle esigenze del cliente o a un miglior coordinamento complessivo del processo produttivo; la concorrenza in prezzi implica che le imprese a valle non possano acquisire, attraverso l’integrazione, il bene intermedio a un prezzo più basso; i contratti sono assunti completi e pertanto non è necessario unificare la proprietà degli strumenti produttivi a monte e a valle per raggiungere l’efficienza. Infine, il fatto che esistano almeno due fornitori di beni intermedi implica che nessuna impresa a valle possa, attraverso l’integrazione verticale, precludere all’altra il rifornimento del bene intermedio.

Il lavoro presenta un’analisi dell’integrazione verticale in termini di teoria dei giochi. Il gioco di acquisizione e concorrenza è strutturato in tre stadi successivi. Nel primo, le imprese a valle devono scegliere se integrarsi verticalmente con un fornitore. Nel secondo, le imprese verticalmente integrate decidono se vendere il bene intermedio sul mercato o se produrlo unicamente a scopi interni. Infine, sia a valle sia a monte i beni vengono prodotti e le imprese competono. Nel modello si assume che l’integrazione verticale venga sempre osservata da tutti i giocatori; si considerano separatamente i due casi in cui la vendita dei beni intermedi sul mercato da parte dell’impresa integrata è osservata da tutti o non lo è da nessuno.

In questo contesto, l’integrazione verticale viene determinata da incentivi meramente strategici.

Si consideri inizialmente in caso in cui l’eventuale scelta dell’impresa integrata di vendere sul mercato i beni intermedi prodotti sia osservabile. In equilibrio l’impresa verticale si asterrà dalla vendita a terzi del bene intermedio che produce. Qualora, infatti, l’altra impresa a valle non si sia a sua volta integrata, essa sarà costretta ad approvvigionarsi dall’unico fornitore indipendente rimasto, il quale – osservando di essere il solo operatore attivo in quel mercato, per via del mancato ingresso dell’impresa integrata – si comporterà come un monopolista. Pertanto, l’impresa a valle indipendente dovrà sottostare alla politica di prezzo monopolistica del proprio fornitore e realizzerà un profitto conseguentemente contenuto. L’azienda verticalmente integrata, invece, riceverà il massimo profitto, poiché il suo concorrente, sottostando ad un monopolista, avrà costi di produzione superiori ai suoi. Questo meccanismo dà luogo agli incentivi strategici all’integrazione verticale.

Come detto, peraltro, la scelta, da parte dell’impresa integrata, di vendere il bene intermedio sul mercato potrebbe anche non essere osservabile da parte delle altre imprese. In tal caso, l’impresa verticale sarà attiva sia sul mercato dei beni intermedi sia su quello dei beni finali, e tutte le imprese saranno indifferenti circa la scelta d’integrazione con il fornitore a monte.

Questo modello permette di trarre alcune interessanti implicazioni per la politica della concorrenza. In particolare, la Commissione Europea, ai sensi del Regolamento sul controllo delle concentrazioni tra le imprese, potrebbe vincolare l’autorizzazione di un’acquisizione verticale al rispetto di una condizione. La condizione ottimale, sulla base dei risultati del lavoro, sarebbe l’obbligo a competere sul mercato del bene intermedio, vendendo i propri prodotti; in questo modo, peraltro, la Commissione inibirebbe gli incentivi strategici all’integrazione verticale. Negli Stati Uniti, al contrario, l’intervento del Dipartimento di Giustizia non sarebbe necessario, poiché lo Sherman Act punisce soltanto il fatto di ridurre il mercato a un monopolio; gli incentivi all’integrazione verticale sarebbero dunque preservati.

Pubblicato nel 2007 in: Rivista di politica economica, v. 97, 9-10, serie 3, pp. 203-243

Testo della pubblicazione