N. 491 - Investire in Italia? Risultati di una recente indagine empirica

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di Marco Committerimarzo 2004

Il lavoro esamina, impiegando tra l’altro i risultati di una recente indagine conoscitiva svolta dalla Banca d’Italia tramite la sua rete di delegazioni all’estero, i fattori che nei tempi recenti hanno frenato, nel confronto internazionale, la nostra capacità di attirare investimenti diretti esteri.

Nella prima parte del lavoro si delineano le principali tendenze evolutive dei flussi finanziari internazionali e si analizza la posizione dell’Italia relativamente agli altri paesi avanzati. Si effettua quindi una breve rassegna della letteratura sulle determinanti degli investimenti diretti e dei connessi fattori di attrazione/ostacolo. L’analisi tiene conto, oltre che delle tradizionali determinanti macroeconomiche, anche di indicatori, talvolta soltanto qualitativi, volti a misurare diversi aspetti della “competizione strutturale” tra paesi, in particolare quelli relativi alle distanze geografiche e ai connessi costi di trasporto. Da questa analisi emerge un quadro articolato, con punti di forza e di debolezza per il nostro paese. In particolare, l’Italia offre agli investitori internazionali alcuni rilevanti vantaggi localizzativi, connessi segnatamente con l’ampio mercato interno e il basso costo del lavoro per unità di prodotto nel confronto con altri paesi avanzati. A ciò si contrappone il progressivo accumulo di un forte divario negativo, sempre rispetto agli altri paesi avanzati, per quanto riguarda le infrastrutture per il trasporto e la distribuzione commerciale dei prodotti. In particolare, il mercato italiano risulterebbe più “costoso da servire” di quello di altri paesi industriali a maggiore estensione territoriale (Germania e Francia); il mancato adeguamento delle nostre infrastrutture avrebbe altresì scoraggiato investimenti diretti orientati a utilizzare l’Italia come piattaforma per servire i mercati europei. Tuttavia, gli indicatori qualitativi e istituzionali predisposti dalla Economist Intelligence Unit mostrano, per l’Italia, un generale miglioramento negli ultimi anni, tale da riportare il Paese in linea con i partner europei o comunque ridurne il divario. Questi sviluppi paiono contrastare con il permanere di un livello degli investimenti esteri nel nostro paese particolarmente contenuto. Nel lavoro si congettura che il nostro ritardo possa essere ricondotto anche ad alcune peculiarità del “modello produttivo” dell’economia italiana: in particolare, la prevalenza di imprese industriali di piccola dimensione e la connessa diffusione di assetti proprietari e modelli di controllo societario ostili a fusioni e acquisizioni con l’estero. Data la preferenza degli investitori internazionali per l’acquisizione di imprese già esistenti - che oggi rappresenta la forma predominante degli investimenti diretti a li vello mondiale - quelle peculiarità potrebbero aver rafforzato gli effetti negativi di “barriere ambientali” comunque elevate nel nostro paese, più che compensando i vantaggi derivanti dall’ampiezza del mercato interno e dal livello relativamente contenuto del costo del lavoro.

Nella seconda parte del lavoro si illustrano le modalità e i principali risultati di un’indagine condotta dalla Banca d’Italia con l’obiettivo di acquisire informazioni qualitative sui fattori che influenzano le scelte di investimento produttivo internazionale, e su come gli investitori esteri abbiano percepito, in funzione di questi fattori, la posizione dell’Italia relativamente a quella di altri paesi europei. L’indagine è stata condotta tramite interviste rivolte a un numero ristretto di grandi imprese multinazionali e a opinion makers esteri; vi hanno partecipato imprese con un fatturato complessivo pari a oltre 500 miliardi di dollari (la metà del PIL italiano nel 2001) e con circa 4,1 milioni di addetti (il 17 per cento delle nostre forze lavoro). I risultati dell’indagine confermano non solo i recenti miglioramenti ricordati nella prima parte del lavoro, ma anche la percezione di perduranti arretratezze istituzionali e strutturali. L’indagine non ha però consentito di verificare la rilevanza dei fattori dimensionali congetturata nella prima parte del lavoro, data la prevalenza di imprese insediate già da anni in Italia, prima del recente forte sviluppo delle acquisizioni e fusioni internazionali. Secondo questa ipotesi, in assenza di un radicale mutamento nella struttura dimensionale del nostro sistema produttivo non sarebbe plausibile attendersi un automatico aggiustamento verso l’alto degli investimenti esteri in Italia nei prossimi anni, anche una volta realizzate le necessarie riforme infrastrutturali e istituzionali.

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