N. 457 - Regole di politica monetaria per l’area dell’euro: quale ruolo per l’informazione nazionale?

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di P. Angelini, P. Del Giovane, S. Siviero e D. Terlizzesedicembre 2002

Il Trattato di Maastricht e lo statuto del Sistema europeo di banche centrali stabiliscono che gli obiettivi della politica monetaria unica per l’area dell’euro riguardano aggregati macroeconomici (in via prioritaria l’inflazione) riferiti all’area nel suo complesso. Da ciò non consegue, tuttavia, che anche l’analisi su cui si basano le decisioni debba fondarsi esclusivamente su variabili aggregate per l’area. Pur con obiettivi formulati esclusivamente in termini di area, una politica monetaria appropriata potrebbe, e in generale dovrebbe, reagire agli sviluppi nei singoli paesi, anziché agli sviluppi aggregati a livello di area, quando le economie dei paesi sono caratterizzate da significative differenze strutturali o sono colpite da shock asimmetrici.

Questo lavoro cerca di misurare quale sia il costo di una politica monetaria unica che trascuri l’informazione sugli andamenti economici dei singoli paesi dell’Unione. La questione è particolarmente rilevante per l’area dell’euro poiché vi sono buone ragioni per ipotizzare che il grado di eterogeneità tra i paesi membri sia maggiore di quello caratteristico di altre unioni monetarie (ad esempio gli Stati Uniti): le caratteristiche istituzionali presentano significative differenze; la convergenza di alcune variabili economiche di fondo è stata conseguita soltanto recentemente e in alcuni casi in maniera ancora incompleta; le diversità di lingua e culturali ostacolano la mobilità del lavoro.

Le tre principali economie dell’area dell’euro (Germania, Francia e Italia), che insieme producono oltre il 70 per cento del PIL complessivo e possono pertanto essere considerate rappresentative dell’intera area, vengono modellate separatamente; le variabili “di area” sono ricavate ex post per aggregazione delle corrispondenti variabili nazionali.

Si adotta l’ipotesi, comune in letteratura, che la banca centrale voglia minimizzare una funzione di perdita che dipende dagli scostamenti dell’inflazione dell’area dall’obiettivo, del prodotto dell’area dal suo valore potenziale (output gap) e dalla varianza del tasso di interesse di policy; si ipotizza inoltre che a tale fine essa segua una semplice regola, in base alla quale il tasso viene espresso in funzione di un insieme limitato di variabili macroeconomiche osservate (tipicamente, inflazione e output gap; in letteratura tali regole sono state rese popolari da Taylor). L’esercizio condotto nel lavoro consiste nel confrontare la performance di due tipi alternativi di regole “semplici”. Nel primo caso si ipotizza che l’autorità monetaria reagisca soltanto all’andamento dell’inflazione e dell’output gap contemporanei misurati in modo aggregato per l’area nel suo insieme (regola aggregata); nel secondo, invece, essa reagisce alle stesse variabili, misurate però con riferimento ai singoli paesi (regola disaggregata). Per confronto viene ricavata anche la più complessa “regola ottimale”, calcolata ipotizzando che la reazione delle autorità monetarie non sia sottoposta ad alcuna restrizione, e quindi dipenda da tutti i valori di inflazione e output gap dei vari paesi, contemporanei e ritardati, che sono necessari per rappresentare compiutamente la dinamica del modello stimato.

Il risultato principale è che i valori della funzione di perdita che si ottengono con la regola disaggregata risultano in media significativamente inferiori a quelli conseguiti con la regola aggregata: in termini di varianza delle grandezze obiettivo la riduzione è dell’ordine del 40-50 per cento per l’inflazione e del 20-30 per cento per l’output gap. Per contro, il miglioramento della funzione di perdita che si ottiene passando dalla regola disaggregata a quella ottimale è solo marginale.

La regola aggregata risulta eccessivamente reattiva (i valori dei coefficienti risultano relativamente elevati in valore assoluto), nei confronti sia dell’inflazione sia delle deviazioni del prodotto dal potenziale, rispetto a quella ottimale e a quella disaggregata, mediamente simili tra loro. L’eccesso di reazione è più marcato nel caso dell’Italia, meno nel caso della Germania e della Francia. Ciò potrebbe dipendere dalle caratteristiche strutturali delle economie considerate e dalle loro interrelazioni, in particolare dalla presenza nel modello stimato di legami non simmetrici tra Germania, Francia e Italia (le prime influenzano la terza, ma non viceversa).

Nel complesso, i risultati indicano che, ai fini della conduzione della politica monetaria unica, la valutazione delle condizioni economiche nell’area dell’euro non può prescindere dall’analisi degli sviluppi nazionali; trascurare questa fonte di informazione può comportare costi elevati*.

*Il ruolo dell’informazione nazionale nella conduzione della politica monetaria unica viene analizzato anche in Monteforte e Siviero (Tema di discussione n. 458), da un punto di vista complementare a quello qui adottato; in particolare, in quel lavoro si valuta se l’utilizzo di un modello aggregato – anziché disaggregato – dell’area dell’euro possa sensibilmente indebolire l’efficacia della politica monetaria unica. I risultati indicano che, anche in questo caso, un approccio disaggregato è preferibile.

Pubblicato nel 2008 in: International Journal of Central Banking, v. 4, 3, pp. 1-28