N. 395 - Macroeconomic Forecasting: Debunking a Few Old Wives’ Tales

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di Stefano Siviero e Daniele Terlizzesefebbraio 2001

L’attività previsiva non gode di buona reputazione. Se ne lamentano la carenza di disciplina scientifica e la conseguente arbitrarietà, l’eccessivo meccanicismo, l’incapacità di cogliere i mutamenti rilevanti. Su un piano più tecnico, si auspica l’utilizzo di modelli “a-teorici” di natura statistica (le cosiddette “forme ridotte”) in sostituzione dei tradizionali modelli strutturali, ritenuti superflui, se non fuorvianti.

In questo lavoro si argomenta che queste valutazioni sono basate, in larga misura, su una percezione errata di che cosa sia, e quali obiettivi si ponga, l’attività previsiva (e in particolare quella “per la policy”, orientata cioè a fornire un contributo alle decisioni di politica economica).

La tesi di fondo è che l’attività previsiva non si esaurisce nella produzione di un insieme di numeri, ma serve soprattutto a costruire una “storia” di quello che potrebbe avvenire: una storia internamente coerente, di cui poter giudicare la plausibilità logica, e sufficientemente articolata da prestarsi al confronto con quella miriade di informazioni sulla realtà economica che via via si rendono disponibili.

Coerentemente con tale tesi, nel lavoro si argomenta che:

(a) una previsione generata da una forma ridotta non è adeguata, poiché manca della “storia dietro il numero”. L’essere in grado di dimostrare di aver commesso, in passato, errori previsivi “piccoli” non è, infatti, sufficiente a garantire l’affidabilità del numero previsto. L’esperienza dimostra che il primo e principale strumento per convincere il policy maker dell’attendibilità delle previsioni è fornito dalla possibilità di illustrare e scomporre l’intera catena causale: che, a partire dalle ipotesi a cui la previsione è condizionata e invocando meccanismi economici noti, si descrivono i legami tra le variabili che conducono a un certo risultato previsto;

 (b) la presunta arbitrarietà delle scelte dei previsori trova un vincolo, stringente, nella necessità di esplicitare gli argomenti economici a sostegno dei risultati presentati. Quindi, se da un lato è teoricamente possibile produrre, con un modello, qualsiasi risultato si desideri - introducendo opportune correzioni -  dall’altro la necessità di rintracciare una “storia dietro al numero” fa sì che le correzioni vengano impiegate con parsimonia secondo modalità codificate e per supplire a una carenza riconosciuta o presunta del modello;

 (c) la meccanicità dell’attività previsiva è solo apparente; non basta spingere un bottone, poiché è necessario dar conto dell’informazione, spesso qualitativa, non direttamente incorporata o incorporabile nel modello. Ciò può richiedere -  a seconda della “distanza” che separa le informazioni disponibili dalle variabili incluse nel modello previsivo -  l’impiego di modelli “satellite” o “ponte”, in grado di colmare quella distanza;

(d) la previsione non è del tutto impotente di fronte a break strutturali, poiché spesso è in grado di suggerire quali risultati potrebbero cambiare, e in quale direzione, qualora alcune delle relazioni stimate nel modello strutturale dovessero modificarsi. In particolare, la possibilità di “scomporre” le previsioni prodotte con un modello strutturale - di valutare, cioè, come i diversi meccanismi incorporati nel modello contribuiscano al risultato finale – permette di localizzare in quali relazioni si annidi la fonte degli eventuali errori previsivi osservati.

Pubblicato nel 2007 in: Journal of Business Cycle Measurement and Analysis, v.3, 3 pp. 287 - 316

Testo della pubblicazione