N. 392 - Unobserved Factor Utilization, Technology Shocks and Business Cycles

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di Domenico J. Marchetti e Francesco Nuccifebbraio 2001

La ricerca ha due obiettivi: identificare i fattori a cui è attribuibile l’andamento prociclico della produttività e misurarne il contributo; ottenere una stima degli shock tecnologici precisa e al tempo stesso ricavata in un modello sufficientemente generale.

Nel modello teorico utilizzato si ipotizza un’economia non perfettamente concorrenziale, caratterizzata da rendimenti di scala non necessariamente costanti, in cui le imprese minimizzano i costi. L’input effettivo di capitale e lavoro è misurato dal prodotto tra le quantità dei fattori produttivi osservate e l’intensità con cui, rispettivamente, essi vengono utilizzati; quest’ultima, variabile nel corso del ciclo, non è direttamente osservabile ed è oggetto di stima nel lavoro. I dati utilizzati si riferiscono a un campione di imprese manifatturiere italiane, estratto dall’indagine annuale sugli investimenti delle imprese industriali condotta dalla Banca d’Italia; tali dati, che si riferiscono al periodo 1984-1997 e includono nel complesso circa 8.000 osservazioni, sono integrati con informazioni ottenute dalla Centrale dei Bilanci.

Si mostra che l’andamento prociclico della produttività è in larga misura il risultato di variazioni del grado di utilizzo (non osservabile) del capitale e del lavoro; anche gli shock tecnologici appaiono empiricamente rilevanti. In particolare, si stima che in equilibrio l’elasticità del grado di utilizzo non osservabile del fattore lavoro (noto come effort) rispetto alle ore lavorate per addetto (nota come effort orario) è negativa; ciò è in contrasto con i risultati ottenuti in letteratura utilizzando dati per gli Stati Uniti. Una possibile interpretazione di questo risultato è che, in presenza di rigidità del mercato del lavoro, le imprese italiane aumentino il più possibile il numero di ore lavorate per addetto, spingendosi al di là del limite oltre il quale l’affaticamento fisico fa diminuire l’effort orario.

Secondo le stime, nel periodo considerato il progresso tecnologico ha indotto, ceteris paribus, una crescita annuale media del prodotto manifatturiero pari all’1,8 per cento. Dopo uno shock tecnologico positivo, le quantità di lavoro (e degli altri input) utilizzate dalle aziende inizialmente diminuirebbero, per aumentare solo dopo un certo ritardo; si stima che nel complesso la risposta dell’input lavoro sia positiva. Questa dinamica appare coerente con modelli teorici del ciclo economico basati su sticky prices (intuitivamente, a seguito di uno shock tecnologico positivo, se la domanda di beni rimane inizialmente invariata in conseguenza delle rigidità di prezzo, le imprese produrranno un ammontare invariato di beni utilizzando meno input, divenuti più produttivi).

Pubblicato nel 2005 in: European Economic Review, v. 49, 5, pp. 1137-1163

Testo della pubblicazione