Collezione numismatica di Pietro OddoSala 3; Vetrine 1-25

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Sala 3; Vetrine 1-25

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Oro e circolazione monetaria nell'Italia meridionale e in Sicilia dall'età di mezzo ai nostri giorni.

PIETRO ODDO fu l'ultimo dei segretari numismatici di Vittorio Emanuele III di Savoia. Dal 1939 si occupò a tempo pieno per conto del Re della redazione dei volumi del Corpus Nummorum Italicorum riguardanti la monetazione del Regno di Napoli e della Sicilia, settore nel quale era particolarmente esperto.

Tra il 5 dicembre dl 1942 e il 25 gennaio del 1943 provvide anche ad imballare la collezione numismatica di Vittorio Emanuele "per ricoverarla dagli aerei".

A seguito degli impegni assunti nei confronti del Re il Grand'Ufficiale PIETRO ODDO vendette alla Banca d'Italia la propria collezione di monete.

Si trattava di 3833 pezzi in oro, argento, mistura e rame, emessi dalle zecche dell'Italia meridionale e della Sicilia dopo la caduta dell'Impero Romano d'occidente e fino all'età moderna. Nelle vetrine 1-25 si fornisce una selezione di monete appartenenti alla collezione di PIETRO ODDO, intesa ad evidenziarne il carattere di documento storico e l'interesse che essa riveste per lo studio della numismatica meridionale.

Vetrina 1 - I BIZANTINI IN OCCIDENTE nei secoli VI-VII d.C.

I Bizantini in Italia (VI-VII sec. d.C)

Sconfitti i Goti nel 553, l'imperatore Giustiniano riportò l'intera penisola italiana sotto il diretto controllo politico di Bisanzio.

Roma, Ravenna e, anche se in maniera più limitata, Napoli ripresero a coniare monete a nome e con i tipi degli Imperatori romani di Oriente.

Durante il regno di Maurizio Tiberio (582-602) furono aperte anche le zecche di Catania e Siracusa. Dopo la conquista araba di Cartagine (697), infine, un'altra zecca venne aperta in Sardegna, a Cagliari, dove furono trasferiti personale e attrezzature delle officine africane.

Vetrina 2 - I BIZANTINI IN OCCIDENTE nei secoli VII-VIII d.C.

Il sistema Monetario Bizantino

Il sistema monetario bizantino si articolava in una serie organica di nominali coniati nei tre metalli (oro, argento e bronzo), basati sul sistema ponderale dell'antica libbra romana, del peso di 288 scrupoli, così ripartita:

1 libbra = 12 once = 288 scrupoli = 1728 carati

1 oncia = 24 scrupoli = 144 carati

1 scrupolo = 6 carati

1 libbra = g 327,45; 1 oncia = g 27,45 1 scrupolo = g 1,135;

1 carato = g 0,189.

Nelle zecche occidentali i bizantini coniarono monete in oro ("solidi" e frazioni di solido), in argento ("silique" e sue frazioni) e in rame ("folles" da 40 nummi e suoi sottomultipli), secondo un rapporto di cambio destinato a variare notevolmente nel tempo, ma che, almeno inizialmente, pare fosse il seguente:

1 solido = 24 silique = 288 folles = 12000 nummi.

I Bizantini in Sicilia nel VII secolo d.C.

Dopo la chiusura delle officine catanesi (628-629), nell'isola acquistò particolare importanza la zecca di Siracusa, che vide la propria produzione accrescersi notevolmente in seguito all'arrivo dell'imperatore Costante II e della sua corte (663).

Vetrina 3 - I LONGOBARDI E L'ITALIA MERIDIONALE Secoli VII-XI d.C.

I Longobardi in Italia

L'occupazione della penisola italiana da parte dei Longobardi ebbe inizio nell'anno 568 d.C. Nei territori del Regno, dopo una prima fase caratterizzata da una brusca contrazione del circolante minuto, si impose abbastanza rapidamente l'uso di monete in oro di imitazione bizantina, prodotte nella zecca regia di Pavia.

Carattere particolare ebbero le monetazioni della Tuscia e del Ducato di Benevento. A Benevento i Duchi longobardi emisero solidi e tremissi di tipo bizantino contrassegnati, a partire dal regno di Gisulfo I (689-706), dalle proprie iniziali. L'attività della zecca continuò a lungo anche dopo la sconfitta di Desiderio e la fine del Regno (cfr. foto n. III.5).

Con Siconolfo (839-849) anche la zecca di Salerno coniò solidi in oro di tipo beneventano, in pessima lega, e denari in argento di tipo carolingio.

Vetrina 4 - GLI ARABI IN SICILIA Secoli IX-XI d.C.

La monetazione degli Arabi

Il sistema monetario degli Arabi venne improntato su quello coevo bizantino. Esso si basava su di una unità aurea, il "dînar", di peso leggermente inferiore al "solidus" imperiale (g 4,25 ca. anzichè g 4,50), ma con una bontà intrinseca iniziale piuttosto elevata, e su una unità argentea, il "dirhem", di g 2,95-2,97 ca.

Per la circolazione minuta, oltre alle frazioni più piccole dell'unità argentea, in ambiente arabo furono usate delle monete in rame, dette "fals", che imitavano i "folles" bizantini.

In Sicilia, la zecca di Palermo coniò in grande quantità quarti di dînar in oro, detti "ruba'i" o "tarí", del peso di g 1,05 ca. (cfr. foto n. III.10), oltre a "kharrube" in argento, fals in rame e gettoni in vetro.

Vetrina 5 - LA CONQUISTA NORMANNA Secoli XI-XII d.C.

La circolazione monetaria nel Sud d'Italia e in Sicilia nel sec. XI

I Normanni, giunti nell'Italia meridionale agli inizi del secolo XI, vi trovarono una situazione economica e un quadro monetario quanto mai diversificato da zona a zona. Mentre infatti nell'area pugliese e lucana predominava la moneta bizantina, rappresentata dai "nomismata" in oro e dai "nummi" in rame, nei centri del Tirreno - dai ducati di Napoli e Amalfi al principato di Salerno e al thema di Calabria - il mercato appariva invaso da "quarti di dînar" (o tarì) arabi e di imitazione araba.

A nord di Benevento, infine, era presente nella circolazione della regione moneta in argento di tipo carolingio e imperiale.

Più omogenea, invece, appare la circolazione monetaria della Sicilia, dominata dalla moneta araba.

Vetrina 6 - IL REGNO NORMANNO DI SICILIA Secolo XII d.C.

La monetazione normanna di Sicilia

Le prime monete emesse dai Normanni subito dopo il loro arrivo in Sicilia pare fossero dei piccoli nominali in pessima lega d'argento, che imitavano le "kharrube" di fabbricazione araba, presenti in grande quantità nella circolazione dell'isola, del valore di un sedicesimo di "dirhem" e del peso di g 0,20 ca. A partire dal 1072, anno della caduta di Palermo, i Normanni fecero battere nella zecca della città anche monete in oro di imitazione araba del valore di un quarto di "dînar", i così detti tarì o tareni, sui quali venne ben presto impressa una piccola croce a tau, unico indizio della fede cristiana dei nuovi signori dell'isola (cfr. foto n. III.12 D e n. III.12 R).

Vetrina 7 - IL REGNO NORMANNO DI SICILIA Secolo XII d.C.

Emissioni normanne nel meridione d'Italia

Subito dopo la conquista di Salerno (1076) "tarì" in oro di imitazione araba furono battuti dai Normanni anche sul continente, dove ben presto cominciarono a lavorare per i nuovi signori anche le zecche di Amalfi, Capua, Bari, Mileto. In queste ultime però, fatta eccezione per Amalfi che emise "tarì" in oro, si coniarono esclusivamente "follari" in rame, i quali aggiuntisi alle altre monete già in circolazione nell'Italia meridionale, complicarono ulteriormente il quadro monetario, già peraltro piuttosto disomogeneo, della regione.

Ruggero II e la riforma del 1140

Ruggero II affrontò il problema del disordine monetario nei territori sottoposti alla sua autorità durante le Assise di Ariano (1140) e tentò di porvi rimedio emanando dei provvedimenti i quali però, una volta attuati, non incontrarono il favore della popolazione.

Fu, infatti, quello di Ariano, a detta di un cronista dell'epoca, un "editto terribile, da aborrire in ogni parte d'Italia", causa di miseria per tutti (Falcone, Chronicon).

In seguito alla riforma del 1140, perno del sistema monetario del Regno divenne il "ducatus" o "ducale", una moneta in argento di ca. 2,69/2,79 g, con un fino del 50%. Stesse caratteristiche metrologiche ebbe anche la sua frazione, la "tercia ducalis".

Vetrina 8 - IL REGNO NORMANNO DI SICILIA Secolo XII d.C.

La moneta aurea

La moneta in oro di tipo arabo, il "tarì", mantenne per tutta l'età normanna il proprio titolo assolutamente stabile: carati 16 e 1/3 di oro, legato con argento e rame nella proporzione, rispettivamente, di 3 a 1.

Il suo peso, inizialmente tagliato sul piede del "ruba' i" o quarto di "dînar" islamico e pari a g 1,05 ca., divenne col tempo sempre più irregolare, tanto da far supporre che per i pagamenti in oro si dovesse ricorrere alla bilancia, secondo un uso che sembra trovare conferma sia nell'esistenza di "tarì" intenzionalmente frammentati sia nell'uso di racchiudere le monete preventivamente pesate in sacchetti sigillati.

Vetrina 9 - IL REGNO DI SICILIA PASSA AGLI SVEVI

La politica monetaria di Federico II

Tra il 1221 e il 1231 Federico II attuò una serie di riforme che interessarono l'intero circolante del paese. Punti basilari furono la creazione di un sistema di nominali in oro e in argento tra loro complementari e la concentrazione di tutte le emissioni in poche officine poste sotto il diretto controllo imperiale.

A partire dal 1221 furono emessi "nuovi tareni" in oro ad Amalfi e "denari imperiali" a Brindisi. Chiusa nel 1222 la zecca di Amalfi, i denari brindisini divennero la moneta più usata nel paese. Inizialmente il loro cambio con la moneta in oro fu di 16 a 1.

Nel 1231, infine, fu creato l'"augustale", una moneta in oro di grande prestigio, del peso di g 5,289, con un fino di carati 20 e mezzo (cfr. foto n. III.18).

Vetrina n. 10 - GLI ANGIOINI A NAPOLI E IN SICILIA Secolo XIII d.C.

La monetazione di Carlo I d'Angiò

Nel 1266 Carlo I conquistò il Regno di Sicilia. In un primo momento il sovrano angioino continuò la coniazione dei "tarì" in oro, con tipologia oramai latinizzata (l'iniziale del suo nome - K - e la croce), e dei "reali", emessi nelle zecche di Messina e Barletta con le stesse caratteristiche dell'"augustale" federiciano e contrassegnati dal ritratto imperiale.

Nel 1278, trasferito il centro amministrativo del Regno a Napoli, Carlo I riformò il sistema monetario, creando, in sostituzione dei vecchi nominali che vennero aboliti, una moneta in oro puro, il "carlino", detto anche "saluto" dal tipo dell'Annunciazione, e il suo corrispettivo in argento con un rapporto di cambio fra i due pezzi di 1 a 10 (cfr. foto n. III. 21).

Vetrina n. 11 - LA SICILIA PASSA ALLA CASA D'ARAGONA Secoli XIII- XIV d.C.

La monetazione degli Aragonesi in Sicilia

Nel 1282, mentre a Napoli Carlo I d'Angiò, che aveva mantenuto il titolo di Re di Sicilia, continuava a coniare "carlini" in oro e in argento, nell'isola, divenuta dopo i Vespri regno indipendente, Pietro d'Aragona e Costanza di Svevia, figlia di Manfredi, davano vita ad una nuova emissione di "reali" in oro e in argento, che godette di grande prestigio.

Le monete, dette popolarmente, dal nome del sovrano, "pierreali", erano contrassegnate con i tipi dell'aquila sveva e dello stemma aragonese circondati da una doppia iscrizione.

Sotto i successori di Pietro d'Aragona nel Regno di Sicilia cessò completamente la coniazione dell'oro, mentre proseguì abbondante l'emissione dei "reali" in argento (cfr. foto n. III. 24).

Vetrina n. 12 - MENTRE NAPOLI RESTA AGLI ANGIOINI Secoli XIII-XV d.C.

La monetazione degli Angioini a Napoli

Durante il regno di Carlo II d'Angiò l'emissione dei "carlini" in oro e in argento con il tipo dell'Annunciazione proseguì con le stesse caratteristiche metrologiche dei pezzi introdotti da Carlo I con la riforma del 1278.

Un nuovo "carlino" in argento, più pesante del precedente (g 3,93), fu creato nel 1303. Esso, dal tipo del rovescio (una croce gigliata accantonata da gigli), fu detto popolarmente "gigliato".

I "gigliati" napoletani conobbero, fin dal loro primo apparire, un tale successo da divenire oggetto di imitazione non solo da parte di alcune zecche del Mediterraneo orientale ma nelle stesse officine papali.

Dopo la morte di Carlo II, invece, come era già avvenuto in Sicilia con gli Aragonesi, anche nei territori controllati dagli Angioini cessò completamente la coniazione dell'oro. Essa sarebbe ripresa in seguito solo nel secolo XV. I numerosi "fiorini" in oro, infatti, emessi a nome di Giovanna di Napoli (1343-1381) furono battuti tutti in zecca provenzale (cfr. foto n. III.26).

Contemporaneamente per far fronte alle esigenze del minuto commercio furono emesse grandi quantità di "denari" in mistura di pessima lega e, sul finire del XIV secolo, di "bolognini" coniati nelle zecche abruzzesi.

Vetrina n. 13 - ALFONSO D'ARAGONA RIUNISCE LE CORONE DI NAPOLI E SICILIA Secolo XV

La monetazione degli Aragonesi a Napoli nel secolo XV

Alfonso d'Aragona ottenuta nel 1442 la corona napoletana, riprese la coniazione dell'oro nella zecca cittadina, sita in un edificio che sorgeva difronte alla chiesa di S. Agostino.

Si trattò di pezzi in oro da un "ducato e mezzo", detti "alfonsini", del valore di 15 "carlini" d'argento, contrassegnati dai tipi del sovrano a cavallo e dalle armi aragonesi (cfr. foto n. III.27).

"Doppi ducati" e "ducati" in oro furono poi emessi dal successore di Alfonso, Ferdinando I (1458-1494), che per primo introdusse l'uso del ritratto nella monetazione napoletana.

Autore dei coni fu Giovanni Riparolo, che lavorò anche per il figlio di questi, Alfonso II (1494-1495).

Vetrina n. 14 - NAPOLI TRA FRANCIA E SPAGNA 1501-1516

Il 25 luglio 1501 l'esercito francese entrò a Napoli. Luigi XII facendo valere la propria autorità sul Regno vi fece coniare "ducati" in oro con il proprio ritratto, "carlini" in argento con la croce gigliata al rovescio e "sestini" in rame.

Ritornata nel 1503 in mano spagnola, la zecca partenopea coniò per Ferdinando il Cattolico e Isabella di Castiglia "ducati" in oro con i ritratti affrontati dei sovrani, riproduzione esatta dell'"excelente" spagnolo (cfr. foto n. III.30), e "carlini" in argento, opera di Bernardino de Bove.

Vetrina n. 15 - L'ETÀ DI CARLO V 1516-1556

Il Cinquecento a Napoli

Nei quaranta anni del governo di Carlo V (1516-1556) la produzione della zecca di Napoli fu particolarmente abbondante e di elevatissimo livello artistico.

Nel 1538 vi furono coniati i primi "scudi" in oro di tipo europeo, del valore di 11 "carlini", adeguando così il sistema monetario meridionale agli standard internazionali.

In seguito, sempre a nome di Carlo V, la zecca partenopea coniò pezzi da 2 e da 4 "scudi d'oro", di straordinaria bellezza, con il ritratto dell'Imperatore al dritto e figure allegoriche di ispirazione classica al rovescio (cfr. foto n. III.32).

Fra le serie coniate dal suo successore, Filippo II, va segnalata quella dei "ducatoni" in argento, di g. 29,91 ca., emessa a partire dal 1586 (cfr. foto n. III.38).

Vetrina n. 16 - L'ETÀ DI FILIPPO II 1554-1598

Vetrina n. 17 - L'ETÀ DI FILIPPO III 1598-1621

Vetrina n. 18 - L'ETÀ DI FILIPPO IV 1621-1665

Il Seicento a Napoli

Nel 1619 il Maestro di zecca Gian Francesco Citarella rinnovò l'attrezzatura delle officine monetarie partenopee con macchinari appositamente importati dal centro Europa, che rendevano più agevole la produzione, specialmente i pezzi di maggior modulo.

Scarsa, fu, all'epoca la produzione dell'oro, più abbondante, invece, quella dei nominali in argento e delle specie divisionali in rame.

A partire dal regno di Filippo III (1598-1621), comunque, il deterioramento della moneta corrente toccò livelli tali da indurre le autorità centrali ad intervenire a più riprese, nel tentativo di porre un freno alla svalutazione che colpiva specialmente il circolante al minuto.

Nel 1624 venne, a tale scopo, messa in circolazione una moneta di tipo particolare, contraddistinta dalla presenza, sul tondello, di due cerchi concentrici, corrispondenti rispettivamente ai valori di 10 e 5 "grana". L'asportazione fraudolenta di metallo lungo il bordo esterno trasformava automaticamente la moneta da 10 "grana" in un pezzo da 5.

Ma l'esperimento non ebbe seguito, mentre l'inasprimento della pressione fiscale, divenuta insostenibile per un paese travagliato da calamità naturali di vario genere, provocò nel 1647 una insurrezione popolare che portò alla proclamazione della Repubblica, durante la quale furono emesse monete in argento e in rame, queste ultime nei tagli da 3 ("pubblica"), 2 ("grano") e 1 "tornese".

Vetrina n. 19 - L'ETÀ DI CARLO II 1665-1700

Di livello migliore rispetto a quella dei suoi predecessori appare la produzione monetaria del regno di Carlo II.

Durante gli anni della reggenza della madre furono emessi splendidi pezzi in argento con i busti dei due sovrani.

Nel 1684 Carlo II, ormai solo al governo, fece coniare per la prima volta delle grosse "piastre" in argento, del valore di 132 "grana", con un fino di 895 millesimi, contraddistinte dai tipi del ritratto reale al dritto e, al rovescio, da uno scettro coronato sito tra due emisferi, simboleggianti il Vecchio e il Nuovo Mondo, opera di Giovanni Maiorino (cfr. foto n. III.43).

A partire dal 1689 venne emesso anche un "ducato" in argento di peso leggermente inferiore a quello delle piastre (120 "grana", fino 895 millesimi), con stemma al rovescio. Nel 1693 il peso di queste monete fu ridotto a 100 "grana".

In argento furono coniati anche pezzi da 20 "grana", detti "tarì", con il tipo del Toson d'oro al rovescio, e da 10 "grana" ("carlini" di ca. 2,82 g con un fino di 895 millesimi). In rame la zecca partenopea stampò "tornesi" e pezzi da "tre cavalli".

Anche la zecca di Palermo emise monete a nome di Carlo II.

Vetrina n. 20 - IL SETTECENTO A NAPOLI

Tabella metrologica

Il sistema ponderale in uso a Napoli agli inizi del sec. XVIII era il seguente:

1 libbra = 12 once = 360 trappesi = 7200 acini;

1 oncia = 30 trappesi; (da "tarì peso"),

1 trappeso = 20 acini

1 libbra = g 320,75 ca

1 oncia = g 26,73 ca.

1 trappeso = g 0,89 ca.

1 acino = g 0,04 ca.

Il titolo dell'oro era misurato in once di 24 carati (= 1000 millesimi di fino).

Il titolo dell'argento era misurato in libbre da 12 once (= 240 sterlini = 360 trappesi = 7200 acini).

Vetrina n. 21 - I BORBONI A NAPOLI Secolo XVIII d.C.

La monetazione di Carlo di Borbone

Nel 1734 i Borboni di Spagna si insediarono a Napoli e Carlo di Borbone fu incoronato Re delle Due Sicilie.

Nel 1749 la zecca partenopea riprese la coniazione dell'oro, interrottasi esattamente cento anni prima.

A nome di Carlo di Borbone in oro furono coniati pezzi da 6, 4 e 2 "ducati" (cfr. foto n. III.50), in argento "piastre" (da 120 grana), "mezze piastre", "carlini" e "cinquine" (o mezzi carlini); in rame la "pubblica" (o 3 tornesi) e il "grano", oltre a pezzi da 9,6 (= 1 tornese), 4 e 3 "cavalli".

Nella zecca di Palermo, attiva fino al 1758, furono emesse "once d'oro" di g 4,4 ca., del peso quindi di mezza "oncia napoletana" (g 8,8 ca.).

Vetrina n. 22 - I BORBONI A NAPOLI Secolo XVIII d.C.

Il sistema monetario napoletano

Il sistema monetario napoletano agli inizi del sec. XVIII era imperniato sul "ducato" d'argento del valore di 10 "carlini", calcolato alla bontà intrinseca di 9/10 di argento e di 1/10 di rame:

1 ducato = 10 carlini = 100 grana = 1200 cavalli

1 carlino = 10 grana = 120 cavalli

1 grano = 12 cavalli

Rapporto oro: argento = 1: 14,5

Le emissioni di Ferdinando IV

Ricca sia per numero di serie emesse sia sotto il profilo tipologico, la monetazione di Ferdinando IV di Borbone suole essere divisa in tre periodi principali: il primo antecedente la proclamazione della Repubblica Partenopea del 1799; il secondo compreso fra il ritorno del Re e l'esilio siciliano (1805); il terzo, infine, posteriore alla Restaurazione (1815-1825).

Nel primo periodo la zecca di Napoli coniò l'oro in pezzi da 6, 4 e 2 "ducati".

In argento si emisero "piastre", "ducati", "tarì" e "carlini".

Abbondante anche la monetazione in rame, articolata in numerosi nominali compresi tra i "10 tornesi" e i "3 cavalli".

Vetrina n. 23 - L'ETÀ NAPOLEONICA

Le monete dell'età napoleonica

Giuseppe Napoleone, divenuto Re delle Due Sicilie, fece coniare a Napoli "piastre" in argento da 120 "grana", con il proprio ritratto al dritto e uno stemma sorretto da sirene al rovescio.

Più ricca la monetazione di Gioacchino Murat il quale, dopo una prima fase in cui continuò ad emettere "piastre" in argento e monete in rame di vecchio tipo, nel 1811 introdusse anche a Napoli il sistema monetario di tipo francese, imperniato su di un "franco" (o "lira") in argento a partizione decimale (Legge 19.5.1811 n.975). In base al nuovo sistema furono tagliati i pezzi da 40 franchi e, in seguito, da 40 e 20 lire in oro (cfr. foto n. III.61), da 5, 2, 1 lira e da 50 centesimi in argento, oltre alle piccole frazioni in rame.

Vetrina n. 24 - LA RESTAURAZIONE DEI BORBONI A NAPOLI 1815-1860

La monetazione dei Borboni nel secolo XIX

Ferdinando IV, reintegrato nei propri possedimenti ritornò ad emettere moneta secondo il vecchio sistema in uso nel Regno prima dell'arrivo dei Francesi.

Il 20 aprile del 1818 fu emanata la legge n. 1176 che sopprimeva il rapporto legale di cambio fra le monete coniate nei tre metalli, imperniando tutto il sistema su di un monometallismo argenteo puro (cfr. foto n. III.66).

Unità base del nuovo sistema fu il "ducato" d'argento di g 22,94, emesso al titolo di 833 millesimi, ripartito in 100 centesimi - detti "grana" sul continente e "baiocchi" in Sicilia - a loro volta suddivisi in 10 "cavalli".

Alle monete in oro, emesse al titolo di 996 millesimi, venne attribuito un corso esclusivamente fiduciario. I nominali coniati furono la "decupla" da 30 ducati, del peso di g 37,86; la "quintupla" da 15 ducati; la "doppia", da ducati sei e la "oncetta" da tre ducati.

In rame furono battuti pezzi da 10, da 8, da 5, da 4 e da 1 "tornese". La coniazione del "grano" invece venne ripresa solo a partire dal regno di Francesco I.

Vetrina n. 25 - NAPOLI PASSA AL REGNO D'ITALIA 1861

Napoli, zecca del Regno d'Italia

Con i Plebisciti del 21 e 22 ottobre 1860 il Mezzogiorno d'Italia entrò a far parte dello Stato sabaudo. Il 17 marzo dell'anno successivo fu proclamato il Regno d'Italia.

Con un primo Decreto regio, datato 17 luglio 1861, la "lira italiana" ebbe corso legale su tutto il territorio del Regno.

Con la "Legge fondamentale sull'unificazione del sistema monetario" del 24 agosto 1862, che forniva le caratteristiche di tutti i nominali da emettere nei tre metalli (oro, argento e bronzo), fu dato definitivo assetto alle emissioni dello Stato italiano (cfr. foto n. III.70).

La zecca di Napoli cessa la propria attività nel 1870.

Corridoio/A

La storia metallica di casa Savoia

Nel 1757 Carlo Emanuele III di Savoia affidò a LORENZO LAVY, incisore presso la zecca di Torino la realizzazione di una "storia metallica" della propria famiglia. L'abate FRANCESCO BERTA ebbe il compito di ideare le raffigurazioni dei rovesci e di studiare i testi delle leggende. Con la morte di Carlo Emanuele il progetto delle medaglie venne accantonato dai 77 coni già realizzati vennero comunque ricavate alcune impronte in piombo, depositate presso la zecca di Torino presso il Museo della Regia Università di Torino.

Nel 1828 fu pubblicato presso la Stamperia reale di Torino un volume inteso ad illustrare la Storia metallica della Real casa di Savoia. I disegni furono eseguiti da A. BOUCHERON, le incisioni per la stampa da P. PALMIERI. Della realizzazione dell'opera si occupò G. GALEANI NAPIONE, il quale assieme a P. DATTA curò i testi esplicativi delle raffigurazioni e delle leggende.

La coniazione delle medaglie, invece, fu decisa solo nel 1865. In tale occasione ai 77 conii realizzati da LAVY ne furono aggiunti altri 14, che completarono così la galleria dei ritratti dei più illustri personaggi di Casa Savoia e delle loro consorti.

Corridoio/B

Gli studi di numismatica nel Cinquecento

Nel secolo XVI vennero gettate in Europa le basi della moderna scienza numismatica.

Ad una prima fase, caratterizzata da un enciclopedismo spesso privo di rigore scientifico, seguì una lunga attività di indagine condotta sui materiali, confrontati, ove possibile, con le fonti antiche.

Tra le figure più significative di studioso ed erudito è da segnalare quella di HUBERT GOLTZ, viaggiatore instancabile che ebbe modo di visionare numerosissime collezioni di monete in tutta Europa. Nei suoi lavori, anche se vi compaiono ancora molti pezzi falsi, ibridi o di pura invenzione, appare però evidente, rispetto agli studi di numismatica dell'epoca, il maggiore approfondimento critico e la più razionale partizione della materia. Il suo Thesaurus rei antiquariae, pubblicato ad Anversa nel 1579, reca, ad esempio, un apparato di indici assolutamente inusuale ai suoi tempi. H. Goltz fu anche abile pittore e provvide personalmente a preparare i disegni per le sue opere.

Anche in Italia gli studi numismatici conobbero nel '500 grande fortuna. Tra gli autori di maggior fama basti ricordare FULVIO ORSINI, bibliotecario del cardinale Alessandro Farnese e collezionista colto e raffinato di monete, gemme, manoscritti antichi. Le sue collezioni sono oggi in parte conservate presso la Biblioteca Vaticana e in parte al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.