N. 66 - Le riforme del processo civile italiano tra adversarial system e case management

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di Cristina Giorgiantoniosettembre 2009

Il lavoro fornisce una rassegna ragionata delle principali riforme che hanno interessato il processo civile di 1° grado in Italia a partire dagli inizi degli anni '90 fino alla recente l. 18 giugno 2009, n. 69 e si interroga - alla luce delle indicazioni provenienti dalla teoria economica e dell'analisi comparata - se esse abbiano correttamente perseguito gli obiettivi di accelerazione e snellimento dei giudizi loro sottesi.

Vengono esaminati due diversi modelli processuali: quello che attribuisce ampi poteri di governo del processo alle parti (c.d. adversarial); quello che viceversa valorizza il ruolo del giudice (specie) attraverso il ricorso al case management (c.d. non-adversarial). L'analisi teorica mostra che entrambi presentano limiti: il primo risulta efficiente solo qualora le parti si trovino in posizione di sostanziale parità (anche) economica; il secondo necessita di un sistema di incentivi (sul piano processuale, ordinamentale e organizzativo) tale da assicurare che il giudice eserciti le sue prerogative in maniera coerente rispetto ad obiettivi di celere e corretta definizione dei giudizi. Il confronto internazionale - basato sull'analisi delle riforme recate in cinque ordinamenti di riferimento (Inghilterra, Stati Uniti, Francia, Germania e Spagna) - mostra alcuni segnali di un graduale processo di convergenza dei vari sistemi verso questo secondo modello.

I numerosi interventi che hanno interessato il processo civile italiano sembrano discostarsi da tale trend. In primo luogo, difettano di organicità e scontano l'assenza di un disegno generale e omogeneo di riforma. Inoltre, presentano un'intima contraddittorietà: dapprima tesi a valorizzare il ruolo e i poteri del giudice (Novella del '90), hanno poi optato per una gestione del processo rimessa alle parti (rito societario), per ritornare, infine, ad attribuire un ruolo significativo al giudice stesso (l. competitività), salvaguardando la possibilità per le parti di optare per un rito ispirato a principi adversarial (possibilità da ultimo esclusa con l'entrata in vigore della l. 69/2009).

Anche laddove è stata prescelta la via di un rafforzamento dei poteri del giudice nella gestione del processo, tale strada non è stata perseguita fino in fondo, mantenendo delle rigidità nella scansione dell'iter procedurale - quali sequenze procedimentali necessarie e rinvii obbligatori su richiesta di parte - e nell'assunzione dei mezzi di prova, che introducono limiti alla possibilità dell'autorità giudiziaria di adeguare la trattazione alla complessità della singola controversia.

Soprattutto, da un lato, non è stato previsto un adeguato sistema sanzionatorio, volto a scoraggiare le tattiche dilatorie delle parti e ad incentivare il giudice ad utilizzare con finalità acceleratorie i poteri che pure la legge gli conferisce; dall'altro, sono mancati interventi di tipo ordinamentale e organizzativo, volti - tra l'altro - a risolvere i problemi di corretta incentivazione dei magistrati, di geografia degli uffici giudiziari e di un'adeguata organizzazione del lavoro all'interno dei tribunali (come la creazione dell'ufficio del giudice e l'attuazione del processo telematico).

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