N. 55 - Il venture capital come strumento per lo sviluppo delle piccole e medie imprese: un’analisi di adeguatezza dell’ordinamento italiano

Il lavoro analizza l’idoneità del diritto societario a regolare i rapporti tra venture capitalist e imprenditore e, in particolare, a permettere di comporre in modo efficiente i “costi di agenzia” e le asimmetrie informative che nelle società venture-backed si pongono in modo estremo. Prendendo spunto dai suggerimenti della letteratura economica in ordine alla struttura ottimale del rapporto tra venture capitalist e imprenditore, ci si chiede se questo modello sia importabile anche nel nostro ordinamento; quali mezzi siano a disposizione delle parti nel diritto societario vigente e quale grado di protezione essi assicurino al finanziatore. Vengono analizzati i quattro principali strumenti suggeriti dall’analisi economica: la ripartizione per stadi del finanziamento (stage financing); l’utilizzo di strumenti ibridi di capitale-debito (in particolare, di convertible preference shares); la presenza nel board dell’impresa venture-backed di amministratori nominati dal finanziatore e l’uso di covenants; clausole di exit. Si perviene alla conclusione che l’utilizzo nel nostro ordinamento di questi strumenti ponga numerosi problemi e che tale inadeguatezza possa aver concorso – insieme ad altri fattori – al limitato sviluppo del venture capital in Italia. Le difficoltà riscontrate, in sostanza riconducibili all’assenza di una disciplina flessibile per le società capitalistiche a ristretta compagine sociale, potranno essere superate in sede di attuazione della legge delega sulla riforma del diritto societario (L. 366/2001) se il legislatore delegato sfrutterà tutte le potenzialità insite nei criteri di delega in questa previsti.