N. 39 - Cooperazione di credito e Testo Unico bancario

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di Francesco Capriglionedicembre 1995

La nuova legge bancaria, nel ridisegnare gli assetti giuridico istituzionali degli operatori finanziari, coinvolge il tema della cooperazione di credito: si perviene a risultati che, pur tenendo conto del processo evolutivo ascrivibile alle banche cooperative, non attuano un completo raccordo tra normativa e realtà fattuale.

È noto che il Testo Unico si è proposto, tra l'altro, l'obiettivo di realizzare una semplificazione della soggettività bancaria, sì da renderla pienamente adeguata allo svolgimento di un'attività concorrenziale. Il superamento delle differenziazioni di tipo strutturale e funzionale, che nel passato avevano caratterizzato le diverse tipologie di intermediari, viene infatti considerato necessario per l'affermazione di una logica di mercato; si è proceduto, pertanto, ad un'omogeneizzazione della forma giuridica degli operatori, con conseguente abbandono dei modelli organizzativi precedentemente in vigore.

Fondatamente può dirsi che col Testo Unico è stato portato a compimento un processo, iniziato già negli anni ottanta, volto a rinnovare la tipizzazione degli enti creditizi secondo modalità che riferiscono all'operatività l'essenza della loro realtà istituzionale. Tale processo è portato dell'integrazione economica europea che - tendendo, attraverso il principio del mutuo riconoscimento, ad eliminare possibili differenziazioni tra le banche comunitarie - ha avuto come conseguenza un'apertura degli intermediari nazionali verso nuove forme di attività; si integrano gli elementi contenutistici tipici del fare banca, innovandone profondamente la nozione.

Nel passaggio dal vecchio al nuovo si riconosce peculiare significatività all'efficienza ed alla stabilità degli appartenenti al settore: tali modalità dell'agere bancario nell'intendo legis individuano il presupposto di una equilibrata situazione competitiva, che si qualifica cioè per le "pari opportunità" offerte ai partecipanti alla gara. L'esercizio dell'attività bancaria non appare ora legato a particolari caratterizzazioni soggettive degli intermediari, né è condizionato dalle rigidità istituzionali che connotavano il previgente sistema normativo improntato al principio della specializzazione del credito. L'espressa previsione di particolari operazioni di credito consentite a tutte le banche, da un lato, l'introduzione del sistema di banca universale, dall'altro, evidenziano un orientamento legislativo ormai del tutto svincolato dalla qualificazione organizzativa degli intermediari.

In siffatto contesto - venuta meno la classificazione degli enti creditizi per categoria, nonché la tradizionale differenziazione tra le nozioni di azienda di credito e di istituto di credito speciale - si ridimensiona il significato del pluralismo bancario, espressione comunemente ritenuta indicativa delle diversità che, a livello organizzativo e funzionale, contraddistinguono la soggettività creditizia. Come da tempo è stato precisato dalle autorità di settore, la nozione di "ente creditizio" diviene di per sé rappresentativa della composita situazione giuridico istituzionale determinata dall'appartenenza all'ordinamento del credito.

Pertanto, l'assunzione della forma organizzativa deve ora ritenersi raccordabile essenzialmente al conseguimento di un'adeguata snellezza operativa della banca, nonché all'attivazione di una più accentuata responsabilità dei relativi organi gestionali.

A ciò aggiungasi l'esigenza di tener conto della correlazione tra tipologia bancaria ed obiettivo di un elevato livello di patrimonializzazione dell'impresa creditizia. Per vero, nella nuova logica ordinatrice del sistema finanziario - che dimensiona sul patrimonio la capacità operativa degli intermediari e, dunque, ricollega a quest'ultimo la garanzia per la loro permanenza nel mercato - non può essere trascurato il rilievo ascrivibile alla consistenza dei mezzi propri delle banche. Il patrimonio, a seguito del recepimento delle direttive comunitarie sui fondi propri (n. 89/299) e sui coefficienti di solvibilità (n. 89/647) è divenuto il perno intorno al quale ruota la possibilità di sviluppo degli appartenenti al settore. Significative, al riguardo, le indicazioni Cee secondo cui i fondi propri individuano uno dei termini del rapporto da cui discende il coefficiente di solvibilità delle banche.

È in tale premessa che deve essere ricercato il senso della tipizzazione soggettiva operata dal Testo Unico, che circoscrive le categorie bancarie a due soli modelli organizzativi: quello della società di capitali e quello delle società cooperative. L'evidente intento di semplificare gli schemi organizzativi utilizzabili per l'esercizio dell'attività bancaria si è accompagnato alla valutazione delle peculiari esigenze di coloro che operano in una proiezione di mercato. Fa da sfondo il coordinamento con la tendenza dell'ordinamento generale verso le privatizzazioni e, dunque, l'avvicinamento dei caratteri strutturali della banca a quelli dell'impresa commerciale di diritto comune.

Va, peraltro, tenuto presente che, a seguito dei processi di ristrutturazione delle banche pubbliche (derivati dall'applicazione della 1. n. 218/90 e del d. lgs. di attuazione n. 356 s.a.), il modello della società per azioni bancaria, come avrò modo di puntualizzare nel corso della presente indagine, sembra destinato (in prospettiva) ad assumere rilievo sempre maggiore. In tale linea evolutiva si colloca l'attrazione nell'ambito delle s.p.a. di quelle banche del genus cooperative nelle quali sono attenuati (se non addirittura scomparsi) i tratti tipici della categoria. Si spiega, dunque, la ragione per cui un'esegesi della normativa contenuta negli artt. 28 e seguenti del testo unico, coerente con le linee di sviluppo del nostro sistema finanziario, non può prescindere dal riferimento agli elementi fisionomici che contraddistinguono la società di capitali.

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