N. 28 - Il recepimento della seconda direttiva Cee in materia bancaria. Prime riflessioni

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di Francesco Capriglionefebbraio 1993

In un momento storico, come l'attuale, potrebbero avanzarsi dubbi sulla permanente validità della costruzione di un mercato comune: orienta in tal senso il perdurare di una situazione di crisi economica legata al verificarsi di tensioni nei rapporti di cambio e, dunque, alle relazioni tra le monete Cee. Tali dubbi vengono fugati, tuttavia, da puntuali considerazioni di carattere economico che sottolineano la necessità di un comune impegno delle forze politiche e sociali per il superamento della crisi, presupposto per un ripristino del ruolo e della posizione che tradizionalmente il nostro Paese ha occupato nella Comunità intemazionale.

Se ne deduce l'importanza che tuttora riveste l'obiettivo dell'integrazione economica europea: diviene, infatti, inimmaginabile uno scenario che veda l'Italia emarginata dall'Unione europea o, peggio ancora, non più partecipe alla realizzazione dell'UEM. Ogni riflessione sul futuro dell'economia e della finanza del nostro Paese resta, quindi, ancorata ad un recupero posizionale dello stesso nei programmi comunitari.

In tale premessa logica va interpretato il decreto legislativo n. 481 del 1992 con cui è stata recepita la direttiva Cee n. 89/646. A fronte di possibili orientamenti volti a sminuirne la portata normativa (quasi ad evitare che questa contrasti con la realtà fattuale), appare necessario ricercare, nell'attuazione di forme di "coordinamento" della nostra legislazione bancaria con quelle degli altri Stati membri, la stmmentazione giuridico istituzionale che consenta la via d'uscita dalla situazione d'impasse che, al presente, sembra caratterizzare il nostro rapporto con la Comunità.

Naturalmente, tale approccio alla lettura del decreto n. 481 non elimina i contrasti tra il nostro mercato interno e quello europeo: taluni limiti intrinseci al primo (come l'essere per gran parte amministrato) ovvero la stessa struttura del nostro apparato imprenditoriale pubblico (del quale a fatica si tenta di avviare un processo di privatizzazione) ci dicono che la strada dell'avvicinamento all'Europa è ancora lunga e difficile. Non a caso un insigne studioso, interrogandosi sulle modalità organizzative della futura costruzione europea, pur riconoscendo che quest'ultima offre spunti di assoluta novità, non nasconde (in relazione alle diverse condizioni giuridiche e fattuali degli Stati a confronto) la problematicità di un disegno siffatto, destinato ad innovare profondamente il procedere della nostra civiltà.

Ogni tentativo d'analisi della materia che ci occupa sembra, comunque, non poter prescindere da una considerazione di carattere generale: il recepimento della direttiva n.89/646 ha offerto l'occasione favorevole per sottoporre a revisione l'intera disciplina bancaria e, dunque, per un riordino della produzione normativa, negli anni più recenti caratterizzata da ampiezza e frequenza che non ha precedenti. Il legislatore ha trovato modo così di intervenire sul noto dibattito che, nell'ultimo decennio, ha interessato gli studiosi e gli operatori del settore circa il presunto "tramonto della legge bancaria del 1936".

È compito dell'interprete valutare in quali termini sia stato accolto, a livello normativo, il suggerimento (formulato da ampia parte della dottrina) di una ridefinizione sistematica della materia creditizia. In particolare, l'indagine dovrà individuare se, ed entro quali limiti, la configurazione dei criteri base della nuova regolamentazione di settore possa ritenersi derivata dalla precedente costruzione ordinamentale; sì da collocarsi in un contesto di continuità logica rispetto a quest'ultima, salva naturalmente l'esigenza di tener conto delle implicazioni che, in sede istituzionale ed operativa, si ricollegano alla realizzazione dell'obiettivo (proprio della seconda direttiva banche) dell'integrazione dei mercati finanziari.

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