N. 21 - La responsabilità penale del banchiere: evoluzione giurisprudenziale e prospettive di riforma

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di Francesco Capriglionedicembre 1989

La rivendicazione di un più rilevante intervento del diritto penale nella repressione della criminalità economica si è accompagnata, storicamente, alla valutazione della obiettiva inidoneità del quadro dei reati previsti nella vigente disciplina codicistica. Ai fini di una revisione di quest'ultima, fondata sull'approfondimento critico della materia, la verifica della validità degli strumenti di controllo penalistico è stata condotta, tra l'altro, con riguardo alla analisi dei settori di attività nei quali la rilevanza dei fenomeni economici si configura tale da richiedere specifiche soluzioni sul piano legislativo.

Nell'elaborazione di un diritto penale d'impresa, adeguato all'attuale contesto costituzionale, sociale ed economico, ampio spazio viene dedicato, pertanto, allo studio dell'ordinamento del credito; si individua un campo nel quale la normativa non corrisponde all'importanza dell'attività svolta e non tiene conto della pluralità degli interessi in gioco. Da qui l'esigenza, generalmente avvertita, di realizzare un "codice di comportamenti" in grado di reprimere gli abusi, garantendo la più assoluta libertà di azione delle banche; tale esigenza è a fondamento di un dibattito nel quale le proposte della dottrina e le indicazioni della giurisprudenza riportano ogni questione in materia alla preventiva chiarificazione della natura giuridica dell'attività creditizia ed alla identificazione dei principi ordinatori del sistema finanziario.

Di non facile riscontro si delinea la metodologia da seguire nell'intento di colmare i vuoti di tutela penale. A fronte di una mera reinterpretazione delle fattispecie delittuose che possano interessare gli appartenenti al settore - condotta secondo criteri che ne riportino la configurazione alle categorie tradizionali della teoria generale del fatto di reato: tipicità, antigiuridicità e colpevolezza - i diversi orientamenti trovano un punto di convergenza nell'auspicio della Corte Costituzionale di una "revisione legislativa della materia ... nel quadro della normativa costituzionale e comunitaria".

La presentazione di alcune proposte di legge contenenti progetti di riforma del regime penale dell'impresa bancaria, avvenute nel corso della IX e X legislatura, recano una prima risposta dell'ordinamento all'evolversi di una criminalità che trova spazio sempre maggiore in campo economico. La previsione di nuove figure di reato, ivi contenuta, non appare, tuttavia, esaustiva della sanzionabilità delle fattispecie delittuose riscontrabili nella patologia del fenomeno finanziario. Come è stato sottolineato in un recente documento della Banca d'Italia, nel quale vengono formulate riflessioni sulle proposte di legge in parola, la tendenza ad estendere all'intera gamma degli intermediari l'applicazione di criteri di controllo prudenziale "potrà porre la necessità di perseguire ... (adeguati) ... standards di tutela penale" anche nei confronti di quelli non bancari; ciò a prescindere dalla individuazione di limiti oggettivi in ordine alla confìgurabilità delle ipotesi di reato all'esame del Parlamento e di delicati problemi interpretativi connessi alla difficile identificazione delle specifiche regole di condotta alle quali dovrebbero attenérsi gli organi aziendali.

Più in generale, le linee di un intervento normativo sembra debbano essere ricercate con riguardo alla specificità del ruolo svolto dalle banche e alla peculiarità della posizione istituzionale delle stesse.

E in tale premessa che va analizzata la possibilità di creare un "diritto speciale", in passato prospettata dalla dottrina sulla base della considerazione che le fattispecie penali a presidio delle funzioni proprie della Pubblica Amministrazione sono inapplicabili in sede creditizia, cioè ad operazioni non riconducibili agli schemi della Pubblica Amministrazione. A fronte di tale tesi, i dubbi, talora sollevati, in ordine alla individuazione di un regime giuspenalistico particolare, giustificato dalle peculiarità dell'attività bancaria, hanno suggerito l'opzione per un "diritto penale uniforme dell'impresa"; a fondamento di questo rileverebbero i connotati tipici dell'imprenditorialità, primo fra tutti il rischio d'impresa, più che il tecnicismo dell'attività bancaria e la sottoposizione della stessa a vigilanza da parte dei pubblici poteri. Entrambi gli orientamenti postulano una ricognizione dei criteri che, nel nostro ordinamento, caratterizzano lo statuto dell'impresa bancaria, nonché del significato ascrivibile alla imposizione di un sistema di controlli pubblici sulla stessa. Muovendo in tale direzione è forse possibile enucleare i fondamenti di un diritto penale bancario nel quale la equiparazione, sul piano sanzionatorio, tra enti creditizi pubblici e privati non è esaustiva dell'ampia problematica che in materia si pone.

In un'ottica che tenga conto delle numerose altre questioni che caratterizzano l'espletamento dell'attività bancaria, la ricerca di soluzioni alla problematica in esame non potrà prescindere dalle profonde trasformazioni verificatesi negli anni più recenti nel sistema finanziario italiano. Per tale via si addiviene all'approfondimento dell'incidenza che il processo d'integrazione economica europea esplica sull'identificazione della possibile area d'intervento di una legislazione riservata alla repressione degli illeciti penali bancari. È valutabile, altresi, l'effetto indotto dalle nuove regole di comportamento imposte al mercato, ora orientato in una proiezione di maggiore concorrenzialità; sicché, più ampio spazio (rispetto al passato) va oggi riconosciuto all'affermazione di criteri di trasparenza aziendale e, quindi, di correttezza nella gestione delle informazioni.

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