N. 18 - Il mercato secondario organizzato dei titoli emessi o garantiti dallo Stato

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di Vincenzo Mezzacapoagosto 1988

Il crescente perfezionamento delle tecnologie telematiche ha in epoca recente reso possibile, nel campo finanziario, l'adozione di nuove modalità operative di fronte alle quali non sempre l'ordinamento giuridico si è mostrato preparato. È prevedibile che sviluppi ulteriori e ampliate potenzialità delle tecniche informatiche comporteranno radicali trasformazioni, anche istituzionali, dei mercati e l'opportunità di rivedere ab imis principi e canoni strutturali e funzionali che appaiono ormai non più al passo con i tempi o, comunque, bisognevoli di un'ampia rivisitazione critica.

La negoziazione dei valori mobiliari è certamente uno dei campi in cui si appalesano le maggiori prospettive e le maggiori esigenze in tal senso. Se per alcune riforme non si potrà prescindere da interventi di tipo legislativo (si pensi a quella della borsa valori), per altre la strada può essere diversa. Uno di questi casi è costituito dalla recentissima istituzione di un mercato secondario organizzato di titoli emessi o garantiti dallo Stato, incentrato su un sistema di dealers-market makers operanti attraverso un circuito telematico, nel quale la presenza delle banche, almeno nell'attuale sua fase di avvio, è assolutamente prevalente.

L'esigenza di organizzare un nuovo mercato, creando per esso una nuova figura di intermediari specializzati "pronti a fare mercato", si è posta in diretta correlazione con la conduzione della politica monetaria attraverso operazioni c.d. "di mercato aperto", meglio realizzabili in un contesto di efficienza e trasparenza idoneo a migliorare gli scambi qualitativamente e quantitativamente, con evidenti riflessi positivi, altresì, sul mercato primario e perciò sul collocamento dei titoli di Stato.

Dal punto di vista giuridico la creazione di siffatto mercato organizzato per la negoziazione di valori mobiliari pone preliminarmente un problema di verifica in ordine alla sua liceità.

L’indagine non può che prendere le mosse da una nota sentenza della Corte di Cassazione penale che - nel giudicare, ai fini dell'applicazione dell'art. 328 c.p., il comportamento del presidente di un comitato direttivo degli agenti di cambio che non aveva denunciato alla deputazione di borsa la partecipazione di taluni agenti a riunioni organizzate fuori dalla borsa (e quindi non ufficiali) nelle quali si contrattavano titoli non quotati in borsa - ebbe modo, pur se incidentalmente, di affermare che "Part. 1 del regolamento approvato con R.D. 4 agosto 1913, n. 1068 [per l'esecuzione della legge 20 marzo 1913, n. 272 sulle borse di commercio] ...vieta la creazione di qualsiasi libera istituzione diversa dalla borsa ed avente - al pari di questa - lo scopo di negoziare titoli e valori".

Ma la norma richiamata dalla Corte - che comunque oggi, per la sua natura regolamentare, non potrebbe incidere sull'autonomia propria dell'iniziativa economica privata senza porsi in contrasto con il dettato costituzionale (art. 41) - si limita a tutelare, come immediatamente risulta dalla sua lettura, le denominazioni di "Borsa di commercio", di "Borsa di valori" e similari ed a vietare la formazione di listini di prezzi. In ogni caso, quand'anche si accettasse la poco convincente interpretazione giurisprudenziale ora ricordata, il preteso divieto di organizzare mercati extra-borsa per la negoziazione di valori mobiliari non discenderebbe da un precetto avente forza di legge, ma solo da una norma regolamentare; il che è di fondamentale rilievo nel giudicare della correttezza della soluzione normativa adottata.

Tuttavia, pur in assenza di un formale divieto, il disegno organizzatorio di un nuovo mercato di titoli di Stato, operante attraverso negoziazioni collettive, avrebbe incontrato ostacoli insuperabili in altre norme del regolamento del 1913, volte a separare l'istituzione ufficiale della borsa valori da altri mercati di titoli.

La previsione di forme organizzate di contrattazione tra una pluralità di venditori e di compratori, tra loro collegati attraverso un comune strumento telematico gestito unitariamente, consente di ritenere che il fenomeno corrisponda, in termini moderni, a quelle "riunioni fuori Borsa per la negoziazione di titoli e valori" (art. 20 Reg.) osteggiate (e non: vietate) dalla normativa regolamentare del 1913 - in quanto ritenute in via di principio tali da turbare "il buon ordine ... dell'istituto" della borsa (v. art. 9, n. 3, della legge 20 marzo 1913, n. 272) - attraverso la previsione di "sanzioni" nei confronti di chi vi partecipi. Tali sanzioni si concretano nella esclusione dai locali di borsa - per un periodo di tempo non inferiore a dieci giorni e non superiore a sei mesi - non solo dei soggetti che prendono parte a dette riunioni, ma anche degli agenti di cambio che facciano operazioni per conto di questi ultimi (art. 20 Reg.).

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