Domande e risposte sulla Banca Etruria - aggiornamento

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Quali sono e a quando risalgono i fatti ai quali si riferisce la sentenza del GUP di Arezzo del 30 novembre 2016?


Tra il 2012 e il 2013 due ispezioni della Banca d’Italia portarono alla luce una serie di problemi relativi sia alla situazione patrimoniale che al management di Banca Etruria. In particolare, dagli accertamenti ispettivi condotti tra marzo e settembre 2013 emerse che, rispetto agli importi che aveva segnalato alla Banca d’Italia, la banca deteneva in realtà maggiori sofferenze per 187,4 milioni, maggiori incagli per 85,5 milioni e, soprattutto, maggiori perdite su crediti per 136,7 milioni. Oltre a ciò, furono rilevate gravi inadempienze nella segnalazione del deterioramento dei crediti: situazioni di sofferenza erano rimaste allo stato di incaglio, il che ne riduceva l’impatto sul bilancio.

Le maggiori perdite andavano ad aggiungersi ad analoghe svalutazioni per 205 milioni, rilevate nel corso dell’ispezione immediatamente precedente (dicembre 2012-marzo 2013) e recepite dalla banca nel bilancio 2012, per un ammontare complessivo quindi di 342 milioni, pari a oltre il 60% di quanto la Banca segnalava prima dell’inizio del ciclo ispettivo. In sostanza, la banca aveva presentato alla Vigilanza un quadro non veritiero delle proprie condizioni.

Tra i vari elementi che avevano concorso sia a creare che a rendere opaca la situazione in cui versava la banca figurava la cessione della maggior parte del patrimonio immobiliare strumentale di Etruria a un consorzio acquirente finanziato in parte dalla stessa banca: anche tale finanziamento è stato accertato soltanto dall'ispezione. La banca, contemporaneamente, prendeva in locazione gli immobili dal consorzio per 24 anni. L'operazione generava un aumento di 32 milioni del patrimonio di Etruria.

Come si spiega la situazione emersa dalle ispezioni del 2013 su Banca Etruria?


Gli accertamenti ispettivi a spettro esteso condotti dalla Banca d’Italia nel 2013 hanno consentito di ricondurre il deterioramento della situazione tecnica di Banca Etruria alla carente funzionalità di un Consiglio di amministrazione privo di competenze specifiche, all’inadeguatezza dell’azione della Direzione generale e alla limitata incisività e indipendenza dei controlli interni.

Quanto queste contestazioni fossero fondate e rilevanti è dimostrato dai successivi accertamenti ispettivi condotti dalla Banca d’Italia tra novembre 2014 e febbraio 2015, che constatarono un quadro aziendale ormai definitivamente compromesso a causa delle ulteriori ingenti perdite, cui aveva concorso il riesame dei crediti condotto tardivamente dalla stessa Banca Etruria su sollecitazione della Vigilanza nel luglio 2014, verifica al termine della quale si resero necessari ulteriori accantonamenti per 217 milioni. Nel relativo rapporto si legge infatti che “gli elementi di marcata anomalia già evidenziati negli accertamenti ispettivi conclusisi il 6.9.2013” e la sostanziale inerzia degli Organi di governo nell’attivare, come richiesto dalla Vigilanza, adeguate misure correttive per risanare la gestione, “si sono riflessi nell’ulteriore peggioramento della situazione tecnica, già gravemente deteriorata”.

Sarebbe stata proprio questa incapacità gestionale a causare l’ulteriore erosione dei mezzi patrimoniali, portando nel febbraio 2015 al commissariamento di Banca Etruria.

Il GUP di Arezzo ha assolto gli ex vertici di Banca Etruria dall’accusa di ostacolo alla Vigilanza. Ma se l’ostacolo non c’è stato, vuol dire che la colpa del dissesto di Etruria dev’essere della Banca d’Italia che non ha vigilato…


In primo luogo occorre ribadire che le banche, come tutte le aziende private, godono di piena autonomia nelle scelte gestionali. La Banca d’Italia non può entrare nel merito di tali scelte se esse non violano la legge o la normativa secondaria. Quindi, se la banca registra un dissesto, la responsabilità ricade sugli organi aziendali – a cominciare dai dirigenti, dal consiglio di amministrazione, dagli organi preposti ai controlli interni. La vigilanza si adopera per evitare il dissesto, ma si muove all’interno di un ambito e con poteri ben delimitati dalla legge.

Venendo al caso di Banca Etruria, ciò che la sentenza di Arezzo ha stabilito è semplicemente che, in relazione ai fatti del 2012, non si può parlare di reati perché non è stato accertato il dolo. La violazione delle regole specifiche invece rimane: il fatto che i manager di Etruria abbiano fornito alla Banca d’Italia una rappresentazione non corretta della situazione aziendale è accertato, e questo è ciò che è stato sanzionato dalla Banca d’Italia e confermato definitivamente dalla Corte d’Appello di Roma.

La Corte di Appello di Roma si è limitata a giudicare la legittimità del procedimento amministrativo contro i vertici di Banca Etruria senza entrare nel merito degli addebiti?

Nel presentare ricorso alla Corte d’Appello, i difensori di Giuseppe Fornasari e Luca Bronchi hanno scelto di non difendersi appieno nel merito e di concentrarsi sui profili procedurali. Il decreto della Corte parte dunque da questi ultimi aspetti, ma prosegue poi spiegando come tutta una serie di carenze (inclusi i “rilevantissimi errori di classificazione dei crediti”) sia da imputare alla violazione di precisi obblighi del presidente del Consiglio di Amministrazione e del direttore generale. Quindi la Corte entra anche nel merito delle questioni, in particolare per quel che riguarda le carenze nel comparto dei crediti, che vengono imputate proprio a colpa dei ricorrenti, condividendo quindi appieno la pretesa sanzionatoria della Banca d’Italia. La Corte ha poi avuto modo di esprimersi più in dettaglio sui fatti in un altro decreto, relativo ad altri componenti del Consiglio di Amministrazione di Banca Etruria, soffermandosi con motivazione ampia anche sulle carenze relative ai crediti.

Ma se le condizioni della banca erano così precarie, perché non fu commissariata?


A quel tempo, nonostante le sofferenze e le perdite non segnalate, il patrimonio della banca era ancora al di sopra dei minimi regolamentari (anche grazie a un incremento realizzato ad agosto 2013); perciò a seguito delle ispezioni del 2013 non fu possibile disporre l’amministrazione straordinaria. Tuttavia, le ispezioni misero in luce i rischi che gravavano sul patrimonio e, al contempo, l'incapacità del vertice aziendale (ovvero: del Consiglio di amministrazione e del management) a fronteggiare la situazione di difficoltà della banca. Di conseguenza la Banca d’Italia, oltre a irrogare le sanzioni citate sopra, ingiunse al vertice di Banca Etruria di adottare anche una serie di misure correttive e di procedere all’integrazione in un gruppo in grado di apportare le necessarie risorse patrimoniali e professionali.

Fu a quel punto che la Banca d’Italia cercò di convincere Banca Etruria a fondersi con la Popolare di Vicenza?


La Banca d’Italia, considerata la debolezza della banca, richiese a Etruria di ricercare un partner bancario di standing con il quale realizzare una operazione di aggregazione. La scelta del partner è stata sempre rimessa all’autonoma valutazione dei competenti organi aziendali della banca.

Cosa avvenne nel 2014?


Nel 2014 la Banca d’Italia constatò che lo sforzo di correzione da parte della banca (che, come detto, in quanto azienda gode di piena autonomia nelle scelte gestionali) era stato insufficiente e che il Consiglio di Amministrazione non aveva attuato gli interventi richiesti. Fu quindi avviata una nuova ispezione, che si concluse a febbraio 2015 con un giudizio sfavorevole: ulteriori perdite patrimoniali, accompagnate da una serie di gravi irregolarità, avevano portato il patrimonio al di sotto dei minimi regolamentari. Fu a questo punto che venne disposto il commissariamento che, a causa del deterioramento ormai irreversibile della situazione, si sarebbe concluso il 22 novembre dello stesso anno con la messa in risoluzione della banca.

Ma quindi i fatti ai quali si riferisce la sentenza del GUP di Arezzo sono diversi da quelli che hanno portato alla risoluzione della banca e all’azzeramento del valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate?


La sentenza di Arezzo si riferisce alle vicende del 2012, non a quelle che, due anni dopo, avrebbero portato all’amministrazione straordinaria e quindi alla risoluzione.