L' ''altro" squilibrio e la crisi finanziariaNona Lezione Paolo Baffi

Prima dello scoppio della crisi, gli ampi “squilibri globali” venivano additati come uno dei principali problemi della scena economica. Si temeva che gli Stati Uniti potessero andare incontro a un arresto improvviso dei flussi di capitale, il che avrebbe inevitabilmente trascinato l’economia mondiale verso una profonda recessione. Tuttavia, quando alla fine la crisi arrivò, il meccanismo non ebbe affatto l’aspetto del temuto arresto improvviso. Anzi, avvenne quasi il contrario: durante la crisi, gli afflussi netti di capitale verso gli Stati Uniti rappresentarono un fattore più stabilizzante che destabilizzante.

Ritengo che lo squilibrio di fondo fosse di tipo diverso: a livello globale, vi era una domanda elevatissima di strumenti di debito sicuri, che esercitava un’enorme pressione sul sistema finanziario americano e sui suoi incentivi (facilitata da difetti nel sistema di regolamentazione). La crisi si manifestò pienamente quando agli iniziali scricchiolii dell’industria finanziaria, creata per soddisfare questa domanda, fece seguito il suo caotico disfacimento e i relativi fenomeni di panico.

In pratica, il settore finanziario era riuscito a creare attività “sicure” con la cartolarizzazione di asset di qualità inferiore, ma al costo di esporre l’economia al rischio di panico sistemico. Questo problema strutturale può essere affrontato con l’assunzione esplicita, da parte del settore pubblico, di una maggiore quota del rischio sistemico. Ciò può realizzarsi con soluzioni che vanno dalla ricomposizione, da parte dei paesi in surplus, dei propri portafogli a favore di attività più rischiose, a iniziative pubblico-private in cui i paesi produttori di attività preservino gli aspetti positivi dell’industria della cartolarizzazione, eliminando al contempo il rischio sistemico dai bilanci delle banche.

Tali soluzioni pubblico-private potrebbero prevedere il pagamento di un premio che tenga conto del problema posto da istituti finanziari “troppo grandi” o “troppo interconnessi” per fallire.

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