Per signoraggio viene comunemente inteso l'insieme dei redditi derivanti dall'emissione di moneta. Per le banche centrali, il reddito da signoraggio può essere definito come il flusso di interessi generato dalle attività detenute in contropartita delle banconote in circolazione o, più generalmente, della base monetaria. Per l'Eurosistema, questo reddito è incluso nella definizione di "reddito monetario", che, secondo l'articolo 32.1 dello statuto del Sistema europeo di banche centrali (SEBC) e della Banca Centrale Europea (BCE), è "il reddito ottenuto dalle banche centrali nazionali nell'esercizio delle funzioni di politica monetaria del SEBC".

L'evoluzione storica

Per capire il significato e la rilevanza del signoraggio occorre risalire alla sua origine storica. In Europa, dal Medioevo fino all'Ottocento chiunque poteva portare un pezzo d'oro alla Zecca pubblica e farselo coniare, poteva cioè trasformarlo in moneta. Il conio - l'immagine e le scritte impresse sul metallo - rappresentava il sigillo di garanzia dello Stato (del "signore") sul peso e sul titolo di quel pezzo d'oro, vale a dire sul suo valore. Grazie al conio la moneta era accettata da tutti come mezzo di pagamento, senza dover essere pesata e verificata da chi la riceveva. Lo Stato si faceva pagare questo "servizio" trattenendo una parte dell'oro portato alla Zecca. Questo era il diritto di signoraggio.

In condizioni normali, il signoraggio rappresentava un modesto contributo alle finanze dello Stato. In tante occasioni, tuttavia, del diritto di signoraggio si abusò. Stati che non riuscivano a coprire le proprie spese con le imposte e non trovavano chi facesse loro credito, rimediavano producendo (e spendendo) molte monete, che contenevano solo una frazione del metallo prezioso contenuto in precedenza. Le nuove monete in circolazione si aggiungevano alle vecchie, ma i beni sul mercato non per questo aumentavano. Di conseguenza, nel giro di poco tempo le monete perdevano di valore rispetto ai beni: si verificava l'inflazione. Va peraltro chiarito, al riguardo, che l'inflazione non nasce perché le monete hanno un minore contenuto aureo, ma perché sono emesse in quantità eccessiva rispetto alla produzione di beni. L'importante non è che la moneta abbia un valore intrinseco, un contenuto d'oro o d'argento, ma che sia mantenuta una proporzione stabile fra il valore della massa monetaria e il valore dei beni prodotti dall'economia. A riprova di ciò, basti ricordare la "rivoluzione dei prezzi" che investì l'Europa nel Cinquecento, causata non dalla diffusione di moneta cattiva priva di contenuto intrinseco bensì dall'afflusso dall'America di oro e d'argento, cioè di moneta buona emessa dalla Spagna coloniale in quantità eccessiva rispetto ai beni.

Tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento cominciò a diffondersi la carta moneta, che fu un progresso decisivo perché liberò l'umanità dalla necessità di produrre grandi quantità d'oro e d'argento che non avevano alcun utilizzo pratico. La carta moneta - un semplice "segno convenzionale" dal costo di produzione quasi nullo - consentiva di portare a termine gli scambi altrettanto bene della moneta metallica.

Con l'avvento della carta moneta le potenzialità di estrarre un profitto da signoraggio si ampliarono, sia per via del costo minimo di produzione, sia perché ai biglietti cartacei si poteva imporre un valore arbitrariamente alto. E infatti vi furono abusi, anche imponenti. Uno degli esempi più famosi è l'alluvione delle "banconote" della Rivoluzione francese, gli "assegnati" che, tra il 1790 e il 1796, furono utilizzati per tenere in piedi la macchina dello Stato francese, a prezzo di un'inflazione del 10.000 per cento.

Per evitare questi abusi di natura politica, dopo una complessa evoluzione istituzionale, si affermò l'idea che l'emissione di moneta dovesse essere affidata a enti indipendenti dai Governi. Inizialmente la facoltà di emettere le banconote fu data a banche private che svolgevano questa attività in regime di concessione. Esse dovevano rispettare numerosi obblighi, fra i quali quello principale era di garantire la convertibilità dei propri biglietti in oro o argento a un tasso fissato dalla legge. Dopo la prima guerra mondiale, tuttavia, ci si rese conto che l'obbligo di convertibilità, concepito per garantire il valore della moneta, comportava forti rischi per la stabilità economica, perché imponeva, in momenti di crisi, pesanti restrizioni monetarie che acuivano le crisi stesse, anziché alleviarle. Tale obbligo è stato perciò abolito e l'emissione della moneta è stata affidata alle banche centrali. Oggi il valore delle banconote è garantito, oltre che dalle leggi dello Stato (valore legale), dall'obiettivo assegnato alle banche centrali di mantenere l'offerta di moneta commisurata alle necessità dell'economia, evitando così sia l'inflazione che la deflazione. Le banche centrali assicurano inoltre anche l'integrità e l'autenticità delle banconote in circolazione.

Oggi, quindi, il signoraggio viene percepito in prima battuta dalle banche centrali, le quali tuttavia lo riversano poi agli Stati, titolari ultimi della sovranità monetaria. La principale differenza consiste nelle modalità con cui si forma il signoraggio. Quando la moneta è prodotta dallo Stato, è quest'ultimo che, spendendola ad esempio per acquistare beni e servizi, la mette in circolo nell'economia e realizza immediatamente il controvalore, al netto dei costi di produzione. Quando invece è la banca centrale a emettere le banconote (o, più in generale, la base monetaria, che include anche le riserve costituite dalle banche su conti presso la banca centrale), queste non sono spese in beni e servizi ma fornite alle banche commerciali, in forma di prestito, per le esigenze del sistema economico, o utilizzate per l'acquisto di attività finanziarie, come i titoli di Stato o le attività in valuta estera; al valore delle banconote, iscritto al passivo del bilancio della banca centrale, corrisponde quindi l'iscrizione di attività fruttifere nell'attivo del bilancio, che rendono un interesse. Perciò la banca centrale ottiene il signoraggio nel corso del tempo, come flusso di interessi sulle proprie attività fruttifere, al netto del costo di produzione delle banconote. Il valore scontato di tale flusso, che come si è detto è riversato allo Stato, è pari a quello che quest'ultimo avrebbe ottenuto immettendo direttamente la banconota nel circuito economico.

La situazione attuale nell'area dell'euro e la disciplina statutaria della Banca d’Italia

Nel caso specifico dell'area dell'euro l'emissione delle banconote è assegnata alla BCE in concorso con le BCN. Il "reddito monetario" di ogni singola BCN è definito come il reddito annuo che essa ottiene dagli attivi detenuti in contropartita delle banconote in circolazione e dei depositi costituiti dagli enti creditizi. Questo è trasferito alla BCE e da questa ridistribuito alle BCN sulla base della loro partecipazione al capitale della BCE. Le BCN, a loro volta, lo fanno affluire ai rispettivi Stati una volta dedotte le spese di funzionamento ed effettuati i necessari accantonamenti.

La Banca d'Italia, in particolare, fa confluire allo Stato - attraverso le imposte e la distribuzione dell'utile - la sua quota di "reddito monetario" insieme agli altri redditi derivanti dai propri investimenti non connessi con le funzioni di politica monetaria e dalle attività esercitate, al netto dei costi di gestione e degli accantonamenti. Questi ultimi sono finalizzati a preservarne la solidità e l'indipendenza finanziaria, consentendole di fronteggiare autonomamente, e quindi al riparo da possibili condizionamenti esterni, i rischi che scaturiscono dall'esercizio delle funzioni che le sono istituzionalmente assegnate.

Al riguardo, più nel dettaglio, l'art. 38, co. 2, dello Statuto della Banca d'Italia prevede che l'utile netto sia destinato: alla riserva ordinaria fino alla misura massima del 20 per cento; ai partecipanti titolari di quote al termine del quarantesimo giorno precedente alla data dell'assemblea in prima convocazione fino alla misura massima del 6 per cento del capitale; alla riserva straordinaria e a eventuali fondi speciali fino alla misura massima del 20 per cento; allo Stato, per l'ammontare residuo. In particolare, con riferimento agli esercizi 2014 e 2015, a fronte di dividendi corrisposti ai partecipanti al capitale in misura pari a € 340 milioni per ciascun anno (4,5% del capitale), l'ammontare dell'utile netto assegnato allo Stato è stato pari: per il 2014 a 1.909 milioni di euro (in aggiunta a imposte per 1.159 milioni); per il 2015 a 2.157 milioni di euro (oltre a imposte per 1.012 milioni).

La giurisprudenza in Italia

La Corte di Cassazione è stata interessata qualche anno fa dalla questione se sia legittimo attribuire in prima battuta alla Banca d'Italia i redditi di signoraggio. Essa ha affermato che il riconoscimento alla banca centrale del "reddito monetario" è effetto di una scelta politica prevista da norme europee, al cui rispetto lo Stato italiano è impegnato.

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