È vero che Tesoro e Banca d'Italia non hanno preso in considerazione un'offerta di quattro fondi d'investimentoche avrebbe consentito di rimettere in sesto le banche venete facendo risparmiare molti soldi allo Stato?

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Come spiegato sul sito della Banca d'Italia l'11 agosto scorso (cfr. La crisi di Veneto Banca S.p.A. e Banca Popolare di Vicenza S.p.A.: Domande e risposte, domanda II.3), l'investimento proposto dai fondi di private equity non era utile, a differenza di quanto sostenuto nel corso della trasmissione Report del 9 aprile, allo scopo di salvare le banche venete.

Alla fine di maggio 2017, mentre erano in corso le negoziazioni con la Commissione europea in ordine all'ammissibilità della ricapitalizzazione precauzionale delle banche, il Dipartimento del Tesoro è stato contattato da alcuni fondi per un possibile investimento congiunto nelle due banche venete. I fondi non hanno presentato una proposta formale, ma solo un'ipotesi indicativa, da considerare come una bozza di discussione.

Affinché la proposta dei fondi di private equity fosse utile a ottenere l'autorizzazione, da parte della Commissione europea, alla ricapitalizzazione precauzionale, l'importo complessivo del loro intervento sarebbe dovuto essere sufficiente, per composizione e quantità complessiva, a coprire le perdite probabili insite nei bilanci delle banche venete. Infatti, una delle condizioni per l'ammissibilità della misura di ricapitalizzazione precauzionale, previste dalla direttiva 59/2014/UE (la cosiddetta BRRD), è che le perdite realizzate e quelle probabili non siano coperte con fondi pubblici ma solo da soggetti privati.

L'importo complessivo dell'intervento ipotizzato dai fondi era di 1,6 mld. Soltanto 300 milioni avevano però le caratteristiche di capitale di migliore qualità, quello necessario, secondo la normativa prudenziale, a ripianare le perdite probabili insite nei bilanci delle due banche (inizialmente stimate nell'ordine di un miliardo e, in seguito a una revisione del piano di ristrutturazione delle banche venete effettuata dalla DG Competition, per un importo ben più alto).

Il resto dell'investimento prospettato dai fondi era composto da due prestiti, computabili solo nel patrimonio di vigilanza non di migliore qualità, particolarmente onerosi: un primo prestito da remunerare al 15% (600 milioni) e uno "subordinato" a 30 anni da remunerare al 12% (700 milioni). Questi oneri finanziari avrebbero fortemente appesantito il conto economico delle banche, per un tempo molto lungo, irrigidendo fortemente la gestione e pregiudicando la possibilità di tornare a produrre profitti.

I fondi ponevano inoltre ulteriori condizioni quali un co-governo sulle banche pur in presenza di un investimento assai ridotto nel capitale delle stesse e di ricevere un rilevante importo dallo Stato all'atto del disinvestimento.

Anche i servizi della Direzione Concorrenza della Commissione europea, nell'ambito di un incontro dedicato alla discussione di possibili scenari della ricapitalizzazione precauzionale tenuto a Bruxelles all'inizio di giugno 2017, hanno espresso valutazioni negative sull'ipotesi prospettata dai fondi.

Quanto alle valutazioni di Eurostat circa l'impatto della liquidazione delle banche venete sui conti pubblici si ribadisce che il costo dell'operazione può essere coperto nel tempo attraverso un recupero "paziente" a cura della SGA, che ha già dato risultati soddisfacenti con i crediti deteriorati del Banco di Napoli. Questa valutazione si basa sulle stime contenute in un lavoro pubblicato nel gennaio del 2017 e riferite al tasso di recupero medio dei crediti deteriorati dell'intero sistema bancario per le posizioni chiuse in via ordinaria nel periodo 2006-2015 (cfr. Note di stabilità finanziaria e vigilanza n. 7 - 2017).

Eurostat ha riconosciuto che le stime dei tassi di recupero utilizzate dalle autorità italiane sono coerenti con l'effettiva struttura dell'operazione di liquidazione che prevede un orizzonte lungo per il recupero dei crediti deteriorati e non la loro vendita immediata sul mercato: "[T]he Italian authorities decided to maximise recoveries by following a so-called "patient approach", i.e. extending the recovery period over a ten years' horizon. The recovery rates used in the calculation by the Italian authorities in the updated note are consistent with this approach" (cfr. European Commission - Eurostat: "Recording of the winding down of Banca Popolare di Vicenza S.p.A. and Veneto Banca S.p.A.", pag. 5).

Ciononostante, Eurostat ha stabilito che, ai fini della rappresentazione statistica dell'operazione, fosse preferibile una stima dei tassi di recupero dei crediti deteriorati più "conservativa", notevolmente inferiore ai tassi di recupero osservati in Italia nel corso del decennio 2006-2015.