N. 637 - I differenziali di rendimento nelle economie emergenti e le condizioni finanziarie globali

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di Alessio Ciarlone, Paolo Piselli e Giorgio Trebeschigiugno 2007

I differenziali di rendimento (spread) tra i titoli di debito sovrani in valuta estera emessi dalle economie emergenti e i corrispondenti titoli emessi dalle economie avanzate vengono spesso utilizzati come misura del merito di credito, così come percepito dagli investitori internazionali (ad esempio, un elevato differenziale segnala tipicamente la percezione di un forte rischio associato ai titoli delle economie emergenti). Questo lavoro analizza i possibili fattori sottostanti il forte calo di tali differenziali osservato dal gennaio 2003 fino al dicembre 2006, allorquando gli spread avevano raggiunto livelli molto contenuti, prossimi a quelli osservati subito prima dello scoppio delle crisi finanziarie asiatiche del 1997.

Due ordini di motivi vengono spesso addotti come determinanti della forte riduzione dei differenziali appena menzionata. Da un lato, l’abbondanza di liquidità a livello globale e il calo dei rendimenti dei titoli nelle economie avanzate avrebbero incoraggiato l’acquisto di titoli più rischiosi, tra cui quelli dei paesi emergenti (search for yield). Dall’altro, il significativo rafforzamento dei ‘fondamentali’ macroeconomici in queste economie — in primo luogo di quelli più direttamente collegati con il peso dell’indebitamento interno o esterno — avrebbe contribuito a migliorare la solvibilità degli emittenti sovrani e quindi a ridurre la rischiosità dei titoli pubblici. Questi due ordini di motivi vengono spesso indicati, rispettivamente, come fattore ‘comune’ (ovvero che riguarda tutte le economie emergenti) e fattore ‘idiosincratico’ (connesso con specificità delle singole economie).

L’obiettivo del presente lavoro è quello di fornire una valutazione quantitativa del ruolo svolto dai suddetti fattori nella riduzione dei differenziali di rendimento. Qualora tale riduzione fosse imputabile essenzialmente all’evoluzione delle condizioni finanziarie globali, infatti, essa potrebbe rivelarsi temporanea e, pertanto, non implicherebbe una minore probabilità di default dei paesi emergenti e minori rischi per la stabilità finanziaria internazionale.

In una prima parte del lavoro, ricorrendo alla tecnica dell’analisi fattoriale, gli autori individuano l’esistenza di un unico fattore comune, in grado di spiegare una quota molto elevata (pari a circa l’85 per cento) del co-movimento tra i differenziali sui titoli sovrani emessi da un campione di quattordici economie emergenti (scelte tra le principali, sulla base della disponibilità e qualità dei dati). Tale fattore comune, nel lungo periodo, risulta significativamente correlato all’evoluzione delle condizioni dei mercati finanziari internazionali, in particolare alla volatilità dei mercati azionari nei paesi avanzati.

Nella seconda parte del lavoro gli autori stimano la componente dei differenziali connessa con i ‘fondamentali’ macroeconomici e confrontano le serie storiche così ottenute con i dati effettivi sugli spread. L’analisi sembra suggerire che i mercati finanziari abbiano fornito, nel periodo considerato, una valutazione eccessivamente ottimistica del merito di credito delle economie emergenti. Infatti, i livelli osservati dei differenziali sono sistematicamente al di sotto di quelli coerenti con i ‘fondamentali’ macroeconomici, suggerendo che le condizioni finanziarie globali – in particolare la bassa volatilità sui mercati azionari – abbiano svolto un ruolo determinante nel calo dei differenziali osservato negli ultimi anni.

Se questa interpretazione è corretta, sussisterebbero rischi per la stabilità finanziaria: come mostrato ad esempio da simulazioni condotte per alcuni paesi, qualora le favorevoli condizioni globali dovessero venire meno, i differenziali di rendimento potrebbero ampliarsi in modo significativo, rendendo più problematica la gestione dell’elevato debito pubblico, e mettendo potenzialmente a repentaglio il consolidamento macroeconomico ottenuto negli ultimi anni.

Pubblicato nel 2009 in: Journal of International Financial Markets, Institutions & Money, v. 19, 2, pp. 222-239