N. 10 - L'economia della ToscanaRapporto annuale

Nel corso del 2010 l'attività economica in regione è tornata a crescere. Dopo il calo cumulato di oltre 5 punti percentuali nel biennio precedente, il PIL della Toscana, secondo le stime preliminari disponibili, sarebbe cresciuto nel 2010 a ritmi contenuti, non superiori a quelli del complesso del paese (1,3 per cento).

Il settore manifatturiero è stato caratterizzato da una ripresa dei livelli di produzione e delle vendite, che ha interessato in prevalenza le imprese più orientate all'export e quelle di maggiori dimensioni. Il recupero soltanto parziale del grado di utilizzo degli impianti e le incerte prospettive della domanda hanno tuttavia comportato un'ulteriore riduzione degli investimenti.

Nel 2010 le esportazioni delle imprese toscane sono cresciute in misura analoga rispetto all'Italia. Nei due principali comparti (sistema della moda e meccanica) le vendite all'estero rimangono ancora di circa un decimo inferiori ai livelli precedenti la crisi. Rispetto alla dinamica del commercio mondiale la contrazione delle esportazioni regionali nel biennio 2008-09 è stata più contenuta ma lo è stato anche il successivo recupero.

La recessione ha stimolato l'attività innovativa di una parte del sistema produttivo, specialmente delle imprese a maggiore apertura verso l'estero. Nel confronto con il dato italiano e, soprattutto, internazionale, la regione rimane ancora caratterizzata da livelli più contenuti di spesa complessiva privata per ricerca e sviluppo in rapporto al prodotto; la componente pubblica è invece allineata ai valori medi dei paesi Ocse e superiore a quella italiana.

La Toscana rimane contraddistinta dalla diffusa presenza di aree distrettuali, specializzate in settori del "made in Italy" e composte in larga misura da aziende di piccole dimensioni. Nell'ultimo decennio i risultati economici delle imprese distrettuali toscane sono stati in media peggiori sia rispetto al dato nazionale dei settori di specializzazione sia rispetto alle imprese toscane non distrettuali. Nello stesso periodo i distretti si sono ridimensionati in termini di occupati, fatturato ed esportazioni; così il peso dell'industria sul prodotto regionale è calato più intensamente che nella media italiana.

Il livello di attività nelle costruzioni è calato nel 2010 per il quarto anno consecutivo. Non sono emersi segnali di ripresa nelle opere pubbliche e nell'edilizia a uso produttivo e residenziale.
Nei servizi, che avevano risentito in misura più contenuta della crisi, si è assistito a un parziale recupero. A fronte di una ulteriore riduzione delle vendite del commercio al dettaglio, riflesso della debolezza della domanda interna, vi è stata una crescita piuttosto sostenuta nei trasporti e nel turismo internazionale. Tuttavia analisi di medio termine mostrano come la posizione competitiva del comparto turistico si sia deteriorata: la Toscana è stata solo parzialmente capace di cogliere la forte crescita mondiale del numero dei viaggiatori, ancor meno di quanto lo sia stato il complesso del paese. Nell'ultimo decennio l'offerta di strutture ricettive si è ampliata, in misura superiore a quanto abbia fatto la domanda, spostandosi verso una qualità più elevata.

Nonostante il recupero dell'attività produttiva, nei primi nove mesi del 2010 gli occupati in regione sono scesi; il calo si è concentrato nell'industria, tra i lavoratori a tempo indeterminato e tra i giovani, i più colpiti dalla crisi economica. Nello scorcio dell'anno la flessione si è arrestata e nei primi mesi del 2011 il ricorso agli ammortizzatori sociali è diminuito. Tra il 2004 e il 2010 la differenza tra i tassi di occupazione degli uomini e delle donne è stata pressoché costante, pari a circa venti punti percentuali, un livello analogo a quello del Centro Nord.

Nel corso del 2010 la dinamica dei finanziamenti è rimasta moderata, dopo un significativo rallentamento del credito per effetto della crisi; i prestiti hanno accelerato lievemente nei primi mesi del 2011. Rispetto al periodo precedente l'insorgere della crisi, le banche hanno prestato una maggiore attenzione alla rischiosità della clientela nello stabilire la quantità del credito concesso, il tasso di interesse e le garanzie richieste. Il premio per il rischio, dopo l'incremento intervenuto all'inizio della crisi, non è in media significativamente variato.

La domanda di prestiti da parte delle imprese è stata prevalentemente finalizzata alla ristrutturazione del debito e, seppure in misura più contenuta, al finanziamento del capitale circolante; quella delle famiglie ha riguardato in larga parte mutui, destinati anche a sostituire finanziamenti preesistenti. L'offerta è risultata meno restrittiva rispetto all'anno precedente. Si è ridotto il differenziale tra la crescita dei prestiti concessi dai primi cinque gruppi bancari nazionali e quella, più sostenuta, degli altri intermediari.

È proseguito il peggioramento della qualità dei crediti bancari. Per le imprese sono saliti il tasso di ingresso in sofferenza e l'incidenza delle altre partite deteriorate; è ancora in corso un diffuso processo di ristrutturazione del debito. Nel caso delle famiglie gli indicatori di qualità del credito sono rimasti invariati, anche per l'effetto degli interventi di sostegno adottati dalle banche e di ristrutturazioni e consolidamenti del debito.

Un ridotto grado di capitalizzazione rende le imprese fragili, in particolare nelle fasi di congiuntura avversa. Negli anni precedenti la crisi le aziende che si sono successivamente trovate in stato di difficoltà finanziaria si differenziavano da quelle rimaste puntuali nei pagamenti per un maggiore leverage; non risultavano invece sistematicamente diverse la dinamica del fatturato e la redditività operativa.

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