N. 865 - La distribuzione geografica dell’attività economica nelle imprese multilocalizzate

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di Rita Cappariello, Stefano Federico e Roberta Zizzaaprile 2012

Il lavoro utilizza i dati dell’Indagine della Banca d’Italia su un campione di imprese industriali italiane, con almeno 50 addetti e multilocalizzate, per analizzare le modalità di organizzazione territoriale della produzione nel periodo 2001-2010.

Spesso le imprese di grandi dimensioni sono costituite da una pluralità di impianti, localizzati in differenti aree del paese. In questo caso, modelli teorici riferiti a imprese monoimpianto e studi empirici che analizzano l’impresa nel suo insieme possono risultare incompleti, ignorando le dinamiche che si generano tra i diversi stabilimenti e le differenze di natura strutturale che li caratterizzano. In questo lavoro si confronta l’andamento dell’occupazione e degli investimenti nella sede amministrativa dell’impresa e negli impianti localizzati in prossimità (headquarter) con quello degli impianti situati in aree distanti da quella della sede amministrativa (non-headquarter).

L’analisi econometrica mostra che, all’interno di una stessa impresa, nel decennio considerato l’andamento dell’occupazione negli impianti non-headquarter è, in media, me-no favorevole di quasi il 7 per cento all’anno rispetto a quelli headquarter; la quota di lavoratori negli impianti non-headquartersul totale dell’occupazione dell’impresa multilocalizzata si riduce di quasi due punti percentuali l’anno. Queste differenze risultano ancora più accentuate per gli investimenti (36 per cento e 7 punti percentuali, rispettivamente). I risultati ottenuti per l’Italia sono in linea con quelli di studi recenti condotti su dati relativi agli Stati Uniti e al Belgio.

Sono state esplorate diverse ipotesi, in parte già proposte in letteratura, per spiegare le differenze tra gli impianti non-headquartere quelli headquarter. Una prima ipotesi è che esse riflettano il comportamento delle imprese italiane a carattere multinazionale. Le imprese che espandono la produzione oltre confine per facilitare l’accesso ai mercati esteri necessitano solitamente di un potenziamento delle funzioni direzionali e di coordinamento, concentrate nelle sedi amministrative. Le imprese che investono all’estero per ridurre i costi di produzione tendono inoltre a specializzarsi in attività di ricerca e sviluppo, innovazione e marketing, che spesso vengono condotte negli headquarter. Si riscontra in effetti che il differenziale negativo degli impianti non-headquarter rispetto a quelli headquarter è leggermente più accentuato per le imprese multinazionali, soprattutto per quelle che hanno spostato parte della loro produzione all’estero in anni recenti.

Una seconda ipotesi nella letteratura è che in caso di ristrutturazione aziendale sia più facile ridurre l’occupazione negli impianti più lontani dalla sede amministrativa, in quanto meno sottoposti a pressioni sociali o politiche. L’evidenza ottenuta è solo di parziale supporto per tale ipotesi, in quanto il differenziale negativo a sfavore degli impianti non-headquarter non è concentrato solamente tra le imprese che hanno ridotto l’occupazione nel periodo considerato, ma è anche presente, tra l’altro in modo più accentuato, tra quelle che hanno aumentato l’occupazione. L’effetto sarebbe pertanto principalmente dovuto a una riallocazione dell’attività verso gli impianti headquarter.

Non vi è infine alcun supporto all’ulteriore ipotesi secondo cui il differenziale negativo nell’andamento dell’occupazione e degli investimenti degli impianti non-headquarter sarebbe dovuto a una loro maggiore sensitività al ciclo economico, né a quella per cui il differenziale dipenderebbe dall’intensità di utilizzo di forza lavoro qualificata da parte dell’impresa.