N. 965 - Fondamenti e sviluppi del tasso di occupazione

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di Andrea Brandolini e Eliana Vivianoluglio 2014

Il tasso di occupazione è, da oltre un decennio, una variabile chiave della politica economica e sociale europea. Ciò nonostante, la sua definizione è stata poco analizzata. Secondo i criteri dell’International Labour Office, un’ora di lavoro nella settimana di riferimento dell’indagine sulle forze di lavoro è sufficiente per essere classificati come occupati. Chi lavora un’ora è quindi trattato alla pari di chi lavora 40 ore, ignorando così la grande variabilità nei tempi di lavoro e nella durata dei contratti che caratterizza i mercati del lavoro europei.

Si propone una generalizzazione del tasso di occupazione basata sulla nozione di intensità di lavoro, definita come il totale delle ore complessivamente lavorate in un anno, normalizzato per uno standard di riferimento. Nell’indice generalizzato ciascun occupato entra con un peso proporzionale all’intensità di lavoro. Chi è impiegato a tempo parziale o solo per parte dell’anno pesa quindi meno di chi lo è in tutti i mesi e a tempo pieno. Se si pondera esattamente per le ore di lavoro, un tasso corretto pari al 50 per cento può indicare sia una situazione in cui la metà delle persone è occupata a tempo pieno e l’altra metà non è occupata sia una situazione in cui tutti hanno un lavoro, ma a tempo parziale o per metà dei mesi dell’anno. Se si attribuisce un valore intrinseco all’avere un impiego, per l’autostima e il riconoscimento sociale che genera, la seconda situazione può essere socialmente preferibile alla prima. Quest’osservazione porta alla seconda innovazione: l’introduzione nell’indice generalizzato di un parametro che permette di calibrare il peso dell’intensità di lavoro e differenziare quindi l’implicito giudizio normativo su quanto conti avere un impiego. La terza innovazione è costituita dalla generalizzazione dell’indice di occupazione al livello familiare.

Usando i microdati delle Community Statistics on Income and Living Conditions (EU-SILC) dell’Eurostat, per i paesi europei, e il March supplement della Current Population Survey (US-CPS), per gli Stati Uniti, i tassi di occupazione sono sempre più bassi tenendo conto dell’intensità di lavoro, per effetto del minor peso attribuito a chi lavora a tempo ridotto o per parte dell’anno. La riduzione è più marcata nei paesi del Nord Europa, dove maggiore è la presenza di individui con impieghi per un limitato numero di ore o mesi. I divari geografici appaiono perciò meno netti, soprattutto per i paesi orientali. L’attenuazione di questi divari è più marcata per le famiglie che per gli individui. Considerando l’intensità di lavoro, la differenza positiva tra i tassi di occupazione dell’UE-15 e degli Stati Uniti si amplia considerevolmente in tutte le classi di età. Nel periodo 2004-2010, l’andamento ciclico della misura corretta per l’intensità di lavoro è più pronunciato di quello del tasso ufficiale in entrambe le aree; la caduta del tasso di occupazione corretto è anticipata di un anno, al 2008, rispetto a quella del tasso ufficiale, riflesso del più rapido calo delle ore lavorate in risposta alla caduta del prodotto.

Pubblicato nel 2016 in: Journal of the Royal Statistical Society: Series A, v. 179, 3, pp. 657-681

Testo della pubblicazione