N. 16 - L'economia della CampaniaRapporto annuale

Nel 2012 il PIL dell'area dell'euro è diminuito dello 0,6 per cento. In Italia il calo è stato più intenso ( 2,4 per cento); per la Campania, le stime di Prometeia indicano una contrazione ancora maggiore ( 2,6 per cento).

Giunta al quinto anno di recessione, la regione mostra intense riduzioni nei flussi di produzione e di investimento e una sensibile diffusione delle crisi d'impresa.

Tra il 2008 e il 2012 sono uscite dal mercato circa 8.400 imprese all'anno, principalmente per effetto di liquidazioni volontarie, ma con una crescente incidenza di procedure fallimentari, che coinvolgono soprattutto le aziende di maggiori dimensioni. In termini di fatturato, il peso sull'economia regionale delle imprese cessate è stimabile in circa il 10 per cento. In base a indicatori di redditività e indebitamento, tali imprese mostravano una forte fragilità finanziaria già negli anni precedenti la crisi.

Nell'industria, l'azione selettiva della recessione si associa a un'elevata dispersione di perfomance settoriali e territoriali. Non mancano, in regione, aree a forte specializzazione manifatturiera che hanno superato i livelli di attività precedenti la crisi. Tali realtà operano sia in settori ad alto contenuto di tecnologie (aerospaziale, farmaceutico) sia in settori tradizionali (agroalimentare, abbigliamento) e pesano per circa un terzo sugli addetti dell'industria regionale. Nella restante parte del tessuto industriale campano, i segnali di recupero appaiono invece deboli o del tutto assenti.

Oltre che a peculiarità locali e di settore, le dinamiche delle imprese manifatturiere sono risultate sensibili all'adozione di strategie di internazionalizzazione. L'indagine della Banca d'Italia su un campione di aziende con almeno 20 addetti, pur indicando in media forti riduzioni di fatturato e investimenti nel 2012, segnala un andamento decisamente meno sfavorevole per le imprese entrate in nuovi mercati.

Per il 2013 una consistente ripresa delle vendite è prevista solo dalle imprese con un'elevata quota di fatturato esportato. Dall'avvio della crisi l'incidenza delle esportazioni sul valore aggiunto industriale della regione è aumentata di quasi venti punti percentuali, ma resta lontana dalla media nazionale.

Per accelerare il processo di internazionalizzazione è necessario innalzare la capacità delle imprese di innovare i prodotti, i processi produttivi, gli assetti organizzativi e gestionali. La diffusione dell'attività innovativa è in Campania significativamente inferiore alla media italiana, anche a parità di settore e dimensione aziendale.

Il progressivo indebolirsi della domanda interna continua a condizionare in negativo l'attività nei comparti dell'edilizia e del commercio. Nel settore delle costruzioni i volumi di produzione hanno risentito di forti contrazioni sia nel segmento immobiliare sia in quello delle opere pubbliche. Le nuove opere previste dal Piano di azione per la coesione e un più rapido avanzamento nell'utilizzo dei fondi dell'Unione europea, concentrati in misura significativa nella realizzazione di grandi progetti infrastrutturali, potrebbero contrastare il calo degli investimenti pubblici.

I consumi, ostacolati dalle negative prospettive nel mercato del lavoro e dal debole andamento dei flussi turistici, sono calati, tornando sui livelli di 15 anni fa.

Tra il 2007 e il 2011 l'occupazione in Campania aveva mostrato il calo più intenso e prolungato fra le regioni italiane. Nel 2012 il numero di occupati è tornato a crescere, ma a ritmi lievi e insufficienti a ridurre l'ampio squilibrio tra domanda e offerta di lavoro. Molto più accentuato è stato il contemporaneo incremento nel numero di persone in cerca di lavoro. Il tasso di disoccupazione si è situato nel 2012 al livello più elevato tra le regioni italiane, soprattutto nella componente femminile.
A parità di caratteristiche osservabili, la retribuzione oraria netta dei lavoratori dipendenti della Campania è di circa il 6 per cento inferiore rispetto al resto del paese.

Negli anni recenti il calo delle vendite ha dimezzato la redditività operativa delle imprese, rendendo meno sostenibile l'indebitamento finanziario. A fine 2012 oltre un terzo dei prestiti erogati alle imprese campane mostrava anomalie nella regolarità dei rimborsi. L'incidenza dei crediti deteriorati raggiunge il 43 per cento per le imprese collegate alla filiera immobiliare.

Le difficoltà di accesso al credito, dopo il picco rilevato a fine 2011, si sono lievemente attenuate lo scorso anno, ma restano elevate nel confronto storico.

Al lordo delle sofferenze, i prestiti alle imprese risultano in calo da circa un anno. Dal 2008 la domanda di credito, debole nella componente di finanziamento degli investimenti, si è concentrata nella richiesta di sostegno al capitale circolante o di ristrutturazione del debito, componenti che caratterizzano in maggiore misura le imprese più vulnerabili. L'offerta di credito si è invece orientata verso le imprese meno rischiose.

Dalla fine del 2012 hanno cominciato a calare anche i prestiti erogati dalle banche e dalle società finanziarie alle famiglie campane, sia nella componente del credito al consumo sia in quella dei mutui per l'acquisto di abitazioni.

È invece tornata a crescere la raccolta bancaria effettuata presso le famiglie e le imprese residenti in regione, favorita anche dalle maggiori remunerazioni dei depositi a scadenza protratta e dalla componente obbligazionaria.

Rispetto alla media del paese, resta elevato il ricorso alla leva fiscale da parte delle Amministrazioni locali della Campania, impegnate in politiche di riduzione del debito accumulato negli anni passati. Proseguono le azioni di contenimento della spesa imposte dal Piano di rientro dal deficit sanitario.

Negli anni recenti, dalla sanità, alla gestione dei rifiuti, fino al settore dei trasporti pubblici locali, sono state numerose in regione le situazioni di dissesto economico di interi comparti dove l'operatore pubblico è chiamato a fornire servizi essenziali. Appare necessario insistere nella ricerca di azioni strutturali, non solo dal lato delle entrate, che impediscano per il futuro il riformarsi di tali squilibri.

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