N. 769 - Investire all'estero impoverisce il paese di origine dell'investimento? Evidenza dalle imprese manifatturiere italiane

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di Raffaello Bronziniagosto 2010

Nelle economie avanzate è in corso un acceso dibattito sugli effetti dell’internazionalizzazione produttiva. In particolare, è diffusa la preoccupazione che le imprese che avviano un’attività all’estero possano ridurre il livello di quella svolta sul territorio nazionale, sostituendo l’occupazione domestica con quella estera.

In questo lavoro si verificano gli effetti dell’internazionalizzazione per diversi campioni di imprese manifatturiere italiane. Si confronta dapprima la performance - misurata in termini di occupazione, fatturato, produttività e composizione della forza lavoro - di imprese che hanno investito all’estero con quella di imprese simili che, pur dichiarando di volerlo fare, non hanno ancora concretamente realizzato tali piani di investimento. Successivamente, sulla base di un campione di imprese che hanno effettuato investimenti esteri, si verifica se l’occupazione domestica sia stata sostituita nel corso del tempo da quella all’estero. I dati consentono anche di stabilire le motivazioni che hanno indotto a investire all’estero. In particolare, si distingue tra imprese che dichiarano di aver investito per avvantaggiarsi dei differenziali dei costi degli input (verticali), per essere vicine al mercato di sbocco (orizzontali), oppure per una combinazione delle due precedenti motivazioni (complessi). Gli effetti dell’internazionalizzazione sono stimati separatamente per tipo di motivazione.

Il confronto tra le imprese che hanno realizzato un investimento e quelle che intendono farlo a breve rivela come, due anni dopo l’internazionalizzazione, non vi siano differenze significative tra i due gruppi di imprese in termini di livello e di composizione per qualifica dell’occupazione domestica, indipendentemente dai motivi che hanno indotto ad intraprendere un’attività all’estero; l’internazionalizzazione avrebbe invece effetti significativi e negativi sul fatturato e sulla produttività, ma solo per le imprese che intendevano avvicinarsi ai mercati di sbocco.

Nel più lungo periodo il livello dell’occupazione domestica delle imprese che hanno internazionalizzato parte delle loro attività è positivamente correlato con quello dell’occupazione estera; tale correlazione risulta significativamente più elevata per gli occupati più qualificati e per le imprese che hanno intrapreso strategie di internazionalizzazione complesse.

I risultati mostrano che l’attività estera è soprattutto un complemento di quella domestica; tale nesso sarebbe però più debole rispetto a quelli individuati dagli studi esistenti, che pure rilevano una relazione di complementarità.

Pubblicato nel 2015 in: B.E. Journal of Economic Analysis and Policy, v. 15, 4, pp. 2079-2109.

Testo della pubblicazione