N. 706 - Effetti macroeconomici di un maggior grado di concorrenza nel settore dei servizi: il caso dell'Italia

Go to the english version Cerca nel sito

di Lorenzo Forni, Andrea Gerali e Massimiliano Pisanimarzo 2009

Il lavoro fornisce una valutazione quantitativa degli effetti macroeconomici di un incremento in Italia del grado di concorrenza nei settori dei servizi non commerciabili internazionalmente, utilizzando un modello strutturale dell’economia italiana e del resto dell’area dell’euro.

In Italia i settori che producono servizi non commerciabili internazionalmente (commercio, trasporti e comunicazioni, credito e assicurazioni, costruzioni, elettricità, gas, acqua, hotel e ristoranti) rappresentano circa il 50 per cento del valore aggiunto complessivo. In questi settori il grado di concorrenza, sulla base di confronti tra paesi OCSE, è relativamente basso. Barriere all’entrata, regolamentazioni sui prezzi e/o limitazioni alle forme di impresa garantiscono alle imprese potere di mercato, permettendo loro di applicare margini di profitto (markup) elevati rispetto ai costi. Secondo i dati OCSE, per l’Italia il markup medio nei settori dei servizi sarebbe pari al 61 per cento, contro il 35 per cento nel resto dell’area dell’euro e il 17 per cento nei settori che producono beni e servizi sottoposti alla concorrenza internazionale.

La presenza di un elevato potere di mercato costituisce una distorsione alla concorrenza, con conseguenze sulle variabili macroeconomiche ben note in letteratura: prezzi più elevati e livelli di produzione, consumo, investimento e occupazione più bassi rispetto a quelli conseguibili con mercati più concorrenziali.

Sulla base delle simulazioni presentate nel lavoro, un aumento del grado di concorrenza che porti il markup nel settore dei servizi in Italia al livello medio del resto dell’area – attuato gradualmente in un periodo di cinque anni – avrebbe effetti macroeconomici significativi. Nel lungo periodo il prodotto crescerebbe di quasi l’11 per cento, il consumo privato e l’occupazione dell’8, gli investimenti del 18; i salari reali ne beneficerebbero significativamente, con un incremento di quasi il 12 per cento. Si registrerebbe un forte aumento delle esportazioni (favorito dal calo dei prezzi italiani rispetto a quelli del resto dell’area) a fronte di un modesto incremento delle importazioni (dovuto all’aumento della domanda aggregata). Gli effetti sul benessere delle famiglie italiane sarebbero positivi e consistenti. Tali effetti benèfici sarebbero rilevanti anche nel breve periodo.

Pubblicato nel 2010 in: Macroeconomic Dynamics, v. 14, 5, pp. 677-708