N. 701 - Sull’analisi della distribuzione mondiale del reddito

Go to the english version Cerca nel sito

di Anthony B. Atkinson e Andrea Brandolinigennaio 2009

Vi è un interesse crescente, non solo in ambito accademico, per la distribuzione del reddito tra i cittadini del mondo. Per esempio, si discute aspramente nel dibattito politico corrente se la “globalizzazione” – il processo di integrazione economica e finanziaria mondiale – abbia portato a un aumento o a una diminuzione della disuguaglianza globale dei redditi. I numerosi studi che hanno affrontato la questione danno risposte contrastanti, anche per la varietà delle ipotesi metodologiche adottate. Nonostante le divergenze nei metodi e nei risultati, questi studi condividono l’uso di strumenti che sono tradizionalmente usati nell’analisi della distribuzione a livello nazionale.

La tesi avanzata nel lavoro è che questa prassi sia insoddisfacente e che vi siano buone ragioni per ripensare i fondamenti della misurazione della disuguaglianza. In primo luogo, le differenze di reddito a livello mondiale sono assai più ampie che all’interno di un singolo paese. All’inizio degli anni novanta il rapporto tra il reddito del 10 per cento più ricco dei cittadini e quello del 10 per cento più povero era all’incirca pari a 25 nel mondo preso nel suo insieme, rispetto a 6 negli Stati Uniti, il paese avanzato con la distribuzione dei redditi più sperequata, o a 3 in Svezia. L’ampiezza dei divari di reddito nel mondo è tale da richiedere misure distributive più flessibili di quelle comunemente usate nell’analisi nazionale. Secondariamente, soprattutto su scala mondiale è opportuno tenere conto sia delle differenze assolute sia di quelle relative. Nel 2005, a parità di potere d’acquisto il reddito pro capite della Cina era circa un decimo di quello degli Stati Uniti. Il ritmo di crescita cinese deve quindi essere dieci volte quello americano per generare lo stesso aumento assoluto nella produzione di beni e servizi pro capite. Un uguale tasso di crescita percentuale manterrebbe immutate le posizioni relative, ma allargherebbe considerevolmente i divari assoluti. Infine, occorre riconciliare la misurazione della disuguaglianza con quella della povertà: poiché i risultati per l’una non coincidono necessariamente con quelli per la seconda, va data preferenza a uno dei due indicatori o vanno considerati congiuntamente? È possibile costruire una misura che incorpori entrambi i concetti?

Partendo da queste considerazioni, nel lavoro si propone una nuova “funzione di benessere sociale”, lo strumento che rappresenta la valutazione che la società dà a una data distribuzione dei redditi. L’elemento chiave della formalizzazione analitica è il “valore sociale marginale del reddito”, ovvero il valore che la società attribuisce a un dollaro, o un euro, di reddito in più ricevuto da persone che si collocano in posizioni diverse nella distribuzione dei redditi. Il modo in cui questo valore sociale cambia lungo la scala dei redditi determina la forma della funzione di benessere sociale. La funzione proposta nel lavoro ha natura assoluta ed è resa flessibile dall’introduzione di vari parametri: uno può essere visto come il livello di perdita di reddito che si è disposti ad accettare nel processo di ridistribuzione, un secondo misura l’avversione alla disuguaglianza e un terzo è interpretabile come soglia di povertà (un quarto parametro svolge un ruolo puramente strumentale). Combinazioni diverse dei valori assegnati a questi parametri permettono di incorporare nozioni di disuguaglianza alternative e di attribuire un peso diverso alla povertà e alla disuguaglianza.

Applicando la nuova misura ai dati sulla distribuzione del reddito tra i cittadini del mondo stimati da F. Bourguignon e C. Morrisson (American Economic Review, 2002), si mostra come si possano trarre indicazioni assai diverse sull’evoluzione della disuguaglianza nel periodo 1820-1992. Questa diversità di indicazioni deriva dai diversi valori assegnati ai parametri della funzione di benessere sociale. Per esempio, la disuguaglianza mondiale risulta in costante diminuzione dal 1950 in poi se si considerano valori dei parametri che avvicinano la misura a un indice di intensità di povertà; risulta invece in aumento dal 1950 al 1970 e stabile nei venti anni successivi se si prende una combinazione dei parametri che rende la misura più simile al coefficiente di Gini.  L’analisi evidenzia quindi come le conclusioni che si raggiungono sull’entità dei divari mondiali di reddito e sui loro cambiamenti nel tempo dipendano strettamente dai giudizi di valore sottostanti alla misurazione della disuguaglianza.

Pubblicato nel 2010 in: World Bank Economic Review , v. 24, 1 , pp. 1-37

Testo della pubblicazione