N. 635 - Apertura al commercio internazionale e dispersione dei costi nei settori industriali.Alcune evidenze empiriche su dati di imprese italiane

Go to the english version Cerca nel sito

di Massimo Del Gatto, Gianmarco I.P. Ottaviano e Marcello Pagninigiugno 2007

Il grado di apertura al commercio internazionale di un paese o di uno specifico settore industriale è tipicamente considerato dagli economisti come un fattore importante, correlato positivamente con l’efficienza di un sistema economico. Alcuni ritengono che il nesso sia dovuto al fatto che la maggiore concorrenza indotta dalla crescente apertura al commercio con l’estero stimoli le imprese ad accrescere la propria produttività. Altri economisti hanno invece sostenuto che gli effetti positivi dell’apertura al commercio internazionale sono legati all’operare di un meccanismo di selezione, in base al quale il maggiore grado di concorrenza dei mercati provoca l’uscita delle imprese meno efficienti e, quindi, una redistribuzione di quote di mercato in favore delle imprese più produttive.

Nel presente lavoro gli autori fanno riferimento al secondo tipo di spiegazione per analizzare gli effetti del grado di apertura al commercio internazionale sulla produttività delle imprese italiane. Mentre la letteratura empirica sull’argomento si concentra sugli effetti in termini di produttività media, in questo lavoro l’analisi viene estesa all’impatto in termini di dispersione nei livelli di efficienza tra le imprese. L’idea di fondo proposta dagli autori è che un sistema economico maggiormente esposto alla concorrenza internazionale dovrebbe mostrare una maggiore omogeneità nei livelli di efficienza tra le imprese presenti sul mercato, grazie all’operare del suddetto meccanismo di selezione.

Nella prima parte del lavoro viene presentato un modello teorico di commercio con concorrenza monopolistica e imprese eterogenee in termini di struttura dei costi di produzione. Nell’ambito di tale modello si derivano: 1) una relazione positiva tra apertura al commercio internazionale e produttività media delle imprese; 2) una relazione negativa tra apertura al commercio internazionale e dispersione nei livelli di efficienza produttiva.

La seconda parte del lavoro riguarda la stima empirica del modello, effettuata utilizzando i dati di circa 20.000 imprese italiane, tratti dalla Centrale dei bilanci e relativi al periodo 1983-1999. La procedura scelta per misurare la produttività totale dei fattori a livello di impresa è robusta all’ipotesi di mercati non perfettamente concorrenziali. Il costo di produzione medio (definito come il reciproco della produttività totale dei fattori) e la dispersione dei costi vengono considerati funzioni del grado di apertura, misurato al livello di diciotto settori del comparto manifatturiero italiano.

I risultati dell’analisi econometrica indicano che i settori maggiormente aperti al commercio estero si caratterizzano per un costo medio di produzione più basso e una minore dispersione nei livelli di efficienza tra le imprese. Questi risultati sono confermati da una serie di controlli di robustezza sulla misurazione delle variabili e sulla specificazione del modello.

Le conclusioni del lavoro sono quindi coerenti con quelle dei modelli che sottolineano l’importanza degli effetti del commercio internazionale attraverso i processi di selezione di imprese con livelli di costo differenti. Inoltre, una possibile implicazione dei risultati sulla dispersione è che gli interventi di liberalizzazione dei mercati dei beni hanno un impatto differenziato sulle varie imprese, favorendo quelle più produttive a svantaggio di quelle meno efficienti; quest’ultimo aspetto dovrebbe facilitare il consenso sociale verso le riforme e la loro accettabilità da parte dell’opinione pubblica.

Pubblicato nel 2008 in: Journal of Regional Science, v. 48, 1, pp. 97–129

Testo della pubblicazione