N. 634 - Prezzi delle esportazioni, qualità dei prodotti e caratteristiche di impresa: un'analisi su un campione di imprese italiane

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di Matteo Bugamelligiugno 2007

Il deludente andamento delle esportazioni italiane, misurate in quantità, a partire dalla metà degli anni novanta viene attribuito a tre fattori: 1) la specializzazione settoriale incentrata sui prodotti tradizionali, più esposti alla concorrenza dei paesi emergenti a basso costo del lavoro; 2) la ridotta dimensione di impresa, che ostacolerebbe la capacità delle imprese di espandersi sui mercati internazionali e innovare; 3) la dinamica dei prezzi all’esportazione (tipicamente misurata sulla base dei valori medi unitari), molto elevata nel confronto internazionale, che avrebbe depresso le quantità vendute sui mercati esteri.

Il lavoro si concentra su quest’ultimo fattore. In primo luogo, affronta alcuni aspetti di misurazione, confrontando i dati dei valori medi unitari con informazioni a livello di impresa sui prezzi all’esportazione. In secondo luogo, il saggio valuta la rilevanza empirica di due diverse ipotesi esplicative della sostenuta dinamica dei prezzi all’esportazione. Secondo una prima ipotesi, l’intenso processo di selezione innescato dalla globalizzazione avrebbe determinato la fuoriuscita dai mercati esteri delle imprese italiane meno efficienti, produttrici di beni di minor qualità, innalzando così il livello medio della qualità e quindi dei prezzi dei beni esportati, a scapito delle quantità. Una seconda possibile spiegazione è che — in un contesto di mercati internazionali segmentati, nei quali le imprese hanno un certo potere di mercato — le imprese esportatrici italiane abbiano privilegiato la massimizzazione di breve periodo dei margini unitari di profitto, rispetto al mantenimento delle quantità vendute e delle quote di mercato.

L’autore utilizza i dati dell’indagine condotta annualmente dalla Banca d’Italia su un campione di imprese manifatturiere italiane con almeno 50 addetti. La disponibilità nell’indagine di dati sui prezzi all’esportazione a livello di impresa fornisce un’utile alternativa ai valori medi unitari elaborati dall’Istat. La rappresentatività del campione dell’indagine rispetto all’universo delle imprese manifatturiere con almeno 50 addetti, che generano quasi l’80 per cento delle esportazioni italiane di beni, consente di attribuire una valenza piuttosto generale ai risultati dell’analisi. Le informazioni, a livello di impresa, sulla qualità dei prodotti e sulla discriminazione di prezzo tra mercato estero e mercato interno permettono una valutazione diretta delle due ipotesi prima menzionate. Secondo i risultati del lavoro, nella media del periodo 1996-2005 la dinamica dei prezzi all’esportazione sarebbe stata inferiore di circa 2 punti percentuali all’anno a quella dei valori medi unitari dell’Istat. I prezzi all’esportazione calcolati mediante i dati dell’indagine sono invece sostanzialmente in linea con i valori medi unitari calcolati dall’Eurostat, che utilizza i medesimi dati elementari dell’Istat ma una diversa metodologia di aggregazione.

Di riflesso, la perdita di quote di mercato dell’Italia, a prezzi costanti, sarebbe stata, nel medesimo periodo, pari al 30 per cento, invece del 40; si tratta di una revisione significativa, ma non sufficiente a colmare il ritardo competitivo rispetto a Francia e Germania. Comparando i prezzi qui stimati con il costo del lavoro per unità di prodotto a livello di settore industriale, emerge, in linea con le conclusioni di altri lavori, che nell’ultimo decennio le imprese esportatrici italiane avrebbero compresso i margini unitari di profitto sui mercati esteri.

I dati dell’indagine non sembrano sostenere l’ipotesi di un forte effetto di ricomposizione delle esportazioni italiane verso beni di qualità mediamente più elevata; questa conclusione va tuttavia presa con qualche cautela, considerando la misurazione alquanto approssimativa della qualità dei prodotti e la scarsa copertura del campione dell’indagine rispetto alle imprese più marginali, quelle che producendo beni di qualità meno elevata hanno una maggiore probabilità di uscire dai mercati.

Emergono, infine, differenze nelle strategie di prezzo tra imprese: le imprese più grandi e con una quota maggiore di fatturato esportato tendono a contenere di più la dinamica dei prezzi esteri rispetto a quelli interni, a riprova dell’evidenza aneddotica secondo cui sarebbero soprattutto i piccoli esportatori marginali a massimizzare i margini unitari di profitto quando le condizioni sui mercati internazionali divengono favorevoli.

Pubblicato nel 2007 in: Economia e Politica Industriale, v. 34, 3, pp. 71-103