N. 604 - L'economia politica della protezione dell'investitore

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di Pietro Tommasinodicembre 2006

La letteratura economica ha mostrato che il buon funzionamento del sistema finanziario richiede adeguate garanzie giuridiche a protezione degli investitori, in particolare dei creditori e degli azionisti di minoranza. Il presente lavoro mira a spiegare perché l’adeguatezza e l’applicazione di tali norme variano in misura considerevole da nazione a nazione, evidenziando allo stesso tempo il rapporto tra l’infrastruttura giuridica del sistema finanziario di un paese e le sue istituzioni politiche.

Alla base del lavoro c’è la constatazione che, sebbene un maggior grado di protezione dell’investitore comporti benefici per il sistema economico nel suo complesso, alcune categorie ne sono danneggiate. Infatti, un maggior grado di protezione faciliterebbe l’accesso al finanziamento da parte di soggetti dotati di validi progetti imprenditoriali ma sprovvisti di fondi propri, aumentando quindi la concorrenza nel mercato dei beni; le aziende già operanti vedrebbero così ridursi il loro potere di mercato. Tali soggetti potrebbero quindi esercitare pressioni al fine di ostacolare eventuali riforme.

Il lavoro utilizza un modello teorico estremamente stilizzato: si assume l’esistenza di un unico bene di consumo, la variabile di policy (il grado di protezione dell’investitore) è unidimensionale, produttori incumbent e potenziali entranti sono organizzati in gruppi di interesse coesi, il sistema politico è modellizato come un unico policy-maker.

Nell’ipotesi che tale policy-maker non tenga in considerazione soltanto il benessere complessivo dei cittadini, ma sia anche interessato ad ottenere risorse dai diversi gruppi di interesse, è possibile dimostrare che la protezione degli investitori rimarrà scarsa, in quanto i produttori incumbent si trovano in una posizione privilegiata per stringere accordi con i policy-makers al fine di limitare la concorrenza dei potenziali entranti.

Si dimostra inoltre che, in presenza di imperfezioni sul mercato dei capitali, mercati del lavoro rigidi rappresentano una ulteriore barriera all’ingresso: riducendo i profitti attesi dai potenziali entranti, rendono infatti ancora più difficile per loro trovare i fondi necessari ad avviare la produzione. Una bassa protezione degli investitori tenderebbe quindi ad essere associata con mercati del lavoro poco flessibili e con una ridotta competizione sul mercato dei prodotti. Alcuni recenti studi empirici sembrano confermare questa conclusione.

Nell’ultima parte del lavoro si tratteggiano più in dettaglio alcune caratteristiche che, riducendo l’influenza dei gruppi di interesse sui politici e sui regolatori, potrebbero garantire una adeguata protezione dell’investitore: un sistema elettorale maggioritario, un elettorato ideologicamente poco polarizzato, mezzi di comunicazione che facilitino la diffusione di informazioni corrette riguardo agli effetti delle diverse scelte di policy.

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