N. 592 - L'internazionalizzazione produttiva italiana e i distretti industriali: un'analisi degli investimenti diretti all'estero

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di Stefano Federicomaggio 2006

Negli ultimi anni notevole attenzione è stata dedicata, in Italia come in altri paesi, al fenomeno del decentramento di fasi produttive all’estero, cui un numero crescente di imprese sembra fare ricorso. Il presente lavoro si concentra sugli investimenti diretti all’estero (IDE), che costituiscono una delle modalità più diffuse con cui viene realizzata l’internazionalizzazione della produzione. I dati impiegati sono quelli elaborati dall’Ufficio italiano dei cambi nell’ambito della compilazione della bilancia dei pagamenti e si riferiscono ai flussi di IDE, per provincia e settore, nel periodo 1997-2001.

Lo studio intende individuare le caratteristiche delle strutture industriali locali che determinano una maggiore propensione a investire all’estero. In particolare, l’indagine mira a valutare il ruolo delle agglomerazioni di piccole e medie imprese, comunemente indicate con il nome di “distretti industriali”.

Dall’analisi empirica emerge che i flussi di investimenti diretti all’estero provengono in larga parte da centri metropolitani, quali Milano e Torino, dove hanno sede alcuni tra i maggiori gruppi industriali del Paese. Le aree distrettuali sono caratterizzate da una quota di IDE inferiore a quella detenuta in termini di addetti e, soprattutto, di esportazioni.

Anche controllando per un insieme di fattori suscettibili di influire sul grado di internazionalizzazione di un’area, la presenza di distretti industriali non sembra esercitare un effetto positivo sulla propensione a investire all’estero, a differenza di quanto avviene per le esportazioni. I flussi di IDE risultano inoltre più elevati nei settori ad alta intensità di capitale e laddove ci sono imprese di grande dimensione.

Tali risultati, oltre a contribuire alla letteratura sui distretti industriali, consentono anche di spiegare perché l’economia italiana, caratterizzata dalla specializzazione in beni tradizionali e da una bassa dimensione di impresa, presenti livelli di IDE, in rapporto al prodotto interno lordo, inferiori a quelli delle altre economie avanzate.

Per i distretti industriali la minore importanza dell’internazionalizzazione produttiva rispetto a quella di tipo commerciale può essere interpretata in diversi modi. In primo luogo l’organizzazione della produzione in un paese straniero è solitamente molto più onerosa rispetto alla semplice vendita; per molte imprese distrettuali di piccola e media dimensione, i costi fissi necessari per investire all’estero possono costituire un ostacolo difficile da superare. In mancanza di uno spostamento dell’intera filiera produttiva, che può rivelarsi di difficile realizzazione, l’incentivo a recarsi all’estero può essere limitato per un’azienda distrettuale, tipicamente legata al territorio di origine.

Due note di cautela nell’interpretare i risultati sono necessarie. In primo luogo, le informazioni di bilancia dei pagamenti potrebbero registrare più facilmente le poche operazioni di investimento estero di maggiore importo rispetto alle più numerose operazioni di importo contenuto, che presumibilmente riguardano le piccole imprese che operano nei distretti. Questo problema non dovrebbe tuttavia avere dimensioni tali da inficiare le conclusioni dello studio, che trovano conferma anche nell’analisi di un campione di imprese industriali italiane.

In secondo luogo, i dati sugli IDE non comprendono le modalità non-equity di internazionalizzazione, quali collaborazioni produttive e accordi con subfornitori stranieri, che possono essere di particolare rilevanza per i settori tradizionali e, di conseguenza, per i numerosi distretti specializzati in tali comparti.

Pubblicato nel 2005 in: L. F. Signorini, M. Omiccioli (a cura di), Economie locali e competizione globale: il localismo industriale italiano di fronte a nuove sfide, Bologna, il Mulino