N. 529 - È la definizione dell'ILO una misura completa della disoccupazione?

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di A. Brandolini, P. Cipollone e E. Vivianodicembre 2004

Il lavoro esamina l’adeguatezza dei criteri statistici che definiscono la condizione di disoccupazione fissati dall’International Labour Office (ILO) e utilizzati dagli istituti di statistica europei.
Secondo la definizione dell’ILO, una persona è classificata come disoccupata se è senza lavoro, in cerca di un impiego, immediatamente disponibile a lavorare e ha compiuto almeno un’azione di ricerca nel mese precedente all’intervista. Chi non rispetta anche uno solo di questi requisiti viene classificato tra gli inattivi. Di conseguenza, quest’ultima categoria risulta molto eterogenea, comprendendo sia persone che non cercano alcun impiego, sia persone che lo cercano seppur meno attivamente dei disoccupati. “Meno attivamente” significa che l’ultima azione di ricerca risale a più di 30 giorni dal momento della rilevazione. Questo requisito temporale stabilisce un limite minimo per l’intensità applicata nell’attività di ricerca di un impiego che discrimina tra lo stato di “disoccupato” e quello di “forza di lavoro potenziale”.
Le definizioni dell’ILO, necessarie per garantire la comparabilità delle statistiche internazionali, possono tuttavia rivelarsi troppe rigide in alcuni paesi o in particolari fasi congiunturali. Secondo i dati del Panel Europeo dell’Eurostat, in media in Europa circa un quinto di coloro che cercano lavoro non sono classificati tra i disoccupati, ma tra la popolazione non attiva perché è passato più di un mese dal momento in cui hanno cercato un impiego. Data la rilevanza numerica di questo gruppo, è importante valutare se sia corretto escluderlo dal novero dei disoccupati e quindi dalle forze di lavoro.
Obiettivo dello studio è verificare se la condizione dei “potenziali” sia effettivamente differente da quella dei disoccupati, così come da quella della popolazione non attiva. Per valutare l’adeguatezza dei criteri di classificazione dell’ILO, si considerano i mutamenti che intervengono nelle storie lavorative degli individui senza lavoro. Le diverse condizioni di occupato, disoccupato, potenziale e persona che non cerca un’occupazione definiscono stati del mercato del lavoro che possono essere analizzati dal punto di vista dinamico studiandone le probabilità di transizione da una condizione all’altra. Se due categorie di persone (ad esempio i disoccupati e le forze di lavoro potenziali) fanno registrare transizioni sistematicamente simili, allora si può ritenere che anche le condizioni iniziali siano simili, a prescindere dalla classificazione adottata. Confrontando le rispettive probabilità di transizione, è possibile stabilire se i potenziali costituiscono una categoria a sé stante di persone alla ricerca di impiego, differente da quella dei disoccupati. Analogamente, confrontandone le transizioni con quelle delle persone che non cercano un impiego è possibile stabilire se i potenziali debbano essere considerati come gli altri inattivi o se invece siano caratterizzati da un maggiore grado di attività nel mercato del lavoro.
I test statistici presentati nello studio mettono in evidenza due risultati principali. In primo luogo, in Europa, le persone classificate come “forze di lavoro potenziali” (circa l’1 per cento della popolazione in età lavorativa e circa un quinto delle persone in cerca di occupazione) si distinguono, nel senso appena specificato, sia dai disoccupati sia dalle persone inattive. Un criterio quale quello dell’intensità della ricerca risulta in generale utile per discriminare tra persone che si applicano con impegno diverso alla ricerca di un lavoro. Tuttavia, quelli che lo fanno meno intensamente non sono comunque assimilabili agli inattivi. La classificazione dell’ILO non è quindi pienamente adeguata a caratterizzare le condizioni effettive del mercato del lavoro in Europa.
In secondo luogo, utilizzando l’informazione sul tempo trascorso dall’ultima azione di ricerca – disponibile nella rilevazione dell’Istat sulle forze di lavoro, ma non nelle indagini corrispondenti degli altri paesi europei – si verifica che in Italia lo stato di forza di lavoro potenziale è in molti casi assimilabile a quello di disoccupazione, purché l’ultima azione di ricerca non sia troppo lontana nel tempo. L’inclusione di queste forze di lavoro potenziali tra i disoccupati porterebbe a elevare il tasso di disoccupazione italiano di circa due punti percentuali.
Accanto alla necessità della comparabilità delle statistiche internazionali, si sottolinea quindi anche per l’Europa l’importanza di una più articolata conoscenza delle modalità di non partecipazione e di una migliore comprensione delle dinamiche del mercato del lavoro.

Pubblicato nel 2006 in: Journal of the European Economic Association, v. 4, 1, pp. 153-179

Testo della pubblicazione