N. 448 - I consumatori traggono benefici dalle fusioni? Un’analisi delle operazioni realizzate nel mercato dei depositi bancari in Italia

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di Dario Focarelli e Fabio Panettaluglio 2002

Il lavoro analizza l’effetto che le fusioni bancarie esercitano sui tassi sui depositi in conto corrente detenuti dalle famiglie italiane.

Le fusioni possono influenzare i tassi bancari in due opposte direzioni. Da un lato, l’unione di intermediari caratterizzati da sovrapposizione territoriale delle strutture di offerta può accrescere il potere di mercato e condurre a una riduzione dei tassi pagati ai depositanti. Dall’altro lato, i potenziali guadagni di efficienza realizzati attraverso il conseguimento di economie di scala o di scopo o mediante il miglioramento delle capacità manageriali (la cosiddetta x-efficency) possono consentire alle banche di aumentare la remunerazione dei depositi. Il lavoro analizza empiricamente quale di questi due effetti abbia prevalso in Italia nel decennio scorso, concentrandosi sui mercati locali (le province).

Il potere di mercato derivante dalla fusione può essere esercitato con rapidità. Al contrario, il conseguimento dei guadagni di efficienza richiede tempi più lunghi (dell’ordine di due-tre anni). Pertanto, analisi incentrate su un periodo troppo breve successivo alla fusione potrebbero dare eccessivo peso all’incremento del potere di mercato e non risultare invece in grado di identificare con precisione i guadagni di efficienza. Il presente lavoro analizza quindi gli effetti delle fusioni in un orizzonte temporale esteso.

I risultati mostrano che nelle province interessate da fusioni in-market (ovvero quelle in cui prima dell’operazione erano attive sia la banca acquirente, sia quella acquisita) il tasso sui depositi delle banche interessate dall’operazione mostra una temporanea riduzione, pari in media a 13,5 centesimi di punto percentuale. Dopo il primo anno successivo alla fusione la remunerazione dei depositi torna però a crescere, fino a collocarsi nel lungo periodo, permanentemente, 12,6 centesimi di punto al di sopra del suo livello prima della fusione. Dopo una fase iniziale, i guadagni di efficienza hanno pertanto il sopravvento sul potere di mercato, determinando un beneficio permanente per i consumatori. Per un ipotetico risparmiatore con un deposito di 10.000 euro, il valore attuale del guadagno derivante dalle fusioni (in termini di tassi più elevati) è stimabile nell’ordine di 200-250 euro.

Per le province interessate da operazioni out-of-market (ovvero quelle in cui è attiva solo una delle banche interessate dalla fusione) non si rilevano aumenti del potere di mercato. Anche queste operazioni determinano un beneficio permanente per i risparmiatori in termini di maggiore remunerazione dei depositi.

L’aumento di lungo periodo dei tassi sui depositi si riscontra anche per i gruppi di risparmiatori e per i mercati locali più vulnerabili a un incremento del potere di mercato. Il lavoro mostra, in particolare, che le fusioni apportano benefici anche ai consumatori che detengono depositi di ammontare più contenuto (inferiore a 25.800 euro) e a quelli che risiedono in province caratterizzate da maggiore concentrazione del mercato creditizio. Vantaggi di lungo periodo per i depositanti emergono inoltre a seguito delle operazioni che danno luogo al trasferimento di quote rilevanti del mercato creditizio locale.

Di grande importanza per interpretare gli effetti delle operazioni risultano le motivazioni alla base dell’aumento dei tassi. L’incremento potrebbe infatti riflettere, invece che guadagni di efficienza, un deterioramento della qualità dei servizi offerti dalle banche interessate: al fine di evitare perdite di quote di mercato, queste potrebbero decidere di compensare i clienti per lo scadimento dei servizi attraverso un aumento della remunerazione dei depositi. In tal caso il vantaggio per i risparmiatori sarebbe solo apparente.

I risultati indicano che l’aumento dei tassi discende da guadagni di efficienza, non dal deterioramento della qualità dei servizi bancari: solo le fusioni che danno luogo a significative riduzioni dei costi delle banche sfociano nel lungo periodo in una maggiore remunerazione dei depositi. Questa conclusione non viene modificata dalla inclusione, nelle analisi econometriche, di variabili proxy della qualità dei servizi bancari quali il numero di dipendenti dedicati alla cura della clientela, la capacità della banca di offrire una gamma ampia di prodotti, il grado di capillarità della rete distributiva.

Negli anni novanta la deregolamentazione dell’attività creditizia e l’espansione della rete territoriale delle banche italiane hanno dato luogo a un forte aumento della concorrenza. In tale contesto le operazioni di fusione, muovendo da bassi livelli iniziali di concentrazione dei mercati bancari locali, hanno generato guadagni di efficienza che sono stati trasferiti ai consumatori.

Pubblicato nel 2003 in: American Economic Review, v. 93, 4, pp. 1152-1172